giovedì 31 maggio 2012

Povertà a effetto domino per chi lascia l'euro


http://www.corriere.it

L'allarme lanciato da Fitch Ratingsv nel Rapporto dedicato all'ipotetica uscita di uno Stato membro dall'Eurozona

MILANO - Un Paese che decidesse di lasciare l'Eurozona si troverebbe a dover affrontare «forti effetti negativi da recessione, inflazione, mancanza di credito, restrizioni sui depositi bancari e controlli sui capitali, così come instabilità politica e sociale». Instabilità e povertà a effetto domino è lo scenario disegnato da Fitch Ratingsv nel Rapporto dedicato all'ipotetica uscita di uno Stato membro dall'Eurozona . «Ne potrebbe derivare», si legge nel rapporto «un forte effetto di contagio, con conseguenti tagli ai rating sovrani, in altri Paesi dell'Eurozona che a loro volta alimenterebbero il circolo vizioso con il Paese in uscita».
IL CONTROLLO DI UE E BCE - Questo nel caso in cui l'uscita avvenisse in modo «disordinato», sostiene Fitch, che indica la Grecia come la candidata più probabile. Vale a dire in uno scenario in cui Ue e Bce non riescano a controllare la situazione con risparmiatori e investitori in altri Paesi periferici che danno il via a una fuga dai depositi bancari e di capitali e con chiusura del mercato dei capitali per il Paese in questione. Questo tipo di contagio «richiede un sostegno finanziario su grande scala da parte della Bce e, potenzialmente, dai fondi salva-Stati Efsf/Esm, verso la periferia dell'Eurozona con un conseguente forte aumento degli oneri per i Paesi '"core" dell'euro». Per Fitch Ratings «è altamente improbabile che si arrivi a uno smembramento totale e a un crollo dell'euro» nel suo insieme visti «gli enormi costi finanziari e politici collegati a un tale evento e il forte impegno politico nei confronti della Uem».

Banca Popolare di Milano non paga la cedola di 2 bond perpetui

http://www.investireoggi.it

Banca Popolare di Milano verso una seduta in affanno a Piazza Affari


anca Popolare di Milano potrebbe subire oggi nuove forti perdite, dopo quelle già messe a segno ieri a causa dell’arresto di Massimo Ponzellini. Ieri sera infatti BPM ha comunicato che non sarà pagata nessuna cedola sulle due emissioni di Tier1 (ISIN XS0372300227, XS 0131749623). Il mancato pagamento dell’interesse deriva dalla  chiusura in perdita dell’esercizio 2011 e dal mancato pagamento di dividendi. Secondo gli analisti il mancato stacco della cedola è una notizia negativa per BPM in quanto potrebbe far incrementare il rischio di nuovi accantonamenti sui crediti. 

Bill Gross (PIMCO): puntate sui bond di Usa, Messico e Brasile

wsi
I mercati obbligazionari di questi paesi sono promettenti. Quanto all'azionario, conviene investire sulle aziende in grado di generare alti flussi di cassa ed esposte ai mercati internazionali in crescita.


New York - I mercati obbligazionari di qualita' e con un debito sovrano in stile "maglietta mezza sporca" dovrebbero essere quelli preferiti dagli investitori in questi tempi incerti. Ne e' convinto Bill Gross, manager del maggiore fondo obbligazionario al mondo.

La bassa qualita' e i bassi rendimenti di debiti che prima erano considerati sacrosanti "costituiscono un potenziale punto di rottura nel sistema monetario da 40 anni", scrive l'AD di Pimco.

In molti casi i ritorni da investimento troppo bassi rispetto ai rischi intrapresi. Tanto vale puntare sui nomi sicuri. Per quanto riguarda l'azionario, ad esempio, secondo quanto espresso dal manager di bond nella sua ultima lettera mensile agli investitori, conviene puntare sulle aziende internazionali in grado di generare alti flussi di cassa ed esposte ai mercati in crescita. 

Dev'essere per questo motivo che Bill Gross ha lasciato commenti negativi su Facebook nel giorno del suo ingresso in borsa: "Non lo so usare, ma so riconoscere una bolla quando la vedo", aveva scritto sul suo account Twitter, commentando l'Ipo del social media. 

Il gruppo di Mark Zuckerberg riscontra dei problemi a generare ricavi, in particolare nel business della pubblicita' sui dispositivi portatili.

Piu' in generale e' in atto quella che Gross chiama la 'catena alimentare' dei mercati, che rispetta le leggi della natura, secondo cui il piu' forte vince. 

Il pesce piu' grosso e' rappresentato dalla Fed, che mangia il pesce delle banche che ingloba a sua volta il pesce piu' piccolo rappresentato dal 99% della popolazione.

I mercati sono ossessionati dagli sviluppi monetari e fiscali in Eurolandia. Ma e' solo un tumore localizzato. Ma e' il sistema globale a essere infetto. I cancri creditizi potrebbero essere gia' in fase di metastasi e il sistema monetario internazionale ha problemi gravi, che producono rendimenti inaccettabilmente bassi e comunque rischiosi. 

E' la causa della crisi del debito e delle risposte inefficaci delle autorita' politiche. Per spiegare cosa intende Gross e' tornato sulla metafora della nave e del mare in tempesta: "La balena bianca aspetta all'orizzonte. Gli investitori dovrebbero navigare con estrema cautela e l'1% della grande finanza di Wall Street dovrebbere incominciare a indossare un salvagente. Una tempesta inevitabile e' in arrivo e anche le cabine di prima classe saranno in pericolo".

Ex-Cancelliere: "Merkel sbaglia". Eccessivo quanto richiesto ad Atene

Schröder: "Quello che fa il governo tedesco, cioè dire alla Grecia che bisogna fare contemporaneamente le riforme e la politica di austerità, non ha alcun senso né politico, né economico".


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Roma — «Quello che fa il governo tedesco, cioè dire alla Grecia che bisogna fare contemporaneamente le riforme e la politica di austerità, non ha alcun senso né politico, né economico. È chiaro che hanno bisogno di più tempo. Non posso sottoscrivere in toto la poesia di Günter Grass sulla Grecia, ma ha un argomento forte: non abbiamo dato ad Atene molte chance». Il giardino dell’Hotel de Russie è un luogo speciale per Gerhard Schröder. Fu qui, alle pendici del Pincio nella primavera del 2005, che l’allora cancelliere tedesco rivelò al suo ministro degli Esteri verde, Joschka Fischer, l’intenzione di voler giocare la carta delle elezioni anticipate. Fu l’inizio della fine per la coalizione rosso-verde: «Joschka era molto deluso, ma io non avevo altra scelta». Schröder perse quella scommessa solo in parte: Angela Merkel divenne cancelliera, ma fu costretta per quattro anni a governare insieme alla Spd. La ragione di quell’azzardo politico ci riporta direttamente all’oggi. Schröder aveva varato la più radicale e dolorosa riforma del welfare tedesco dai tempi di Bismarck. La base socialdemocratica era in rivolta. La Spd veniva punita in ogni elezione regionale. Per di più la Germania e la Francia, con il permesso dell’Italia, avevano ottenuto di poter violare senza pagar dazio i criteri di Maastricht. «Nessun governo in una democrazia può imporre riforme strutturali e allo stesso tempo attuare una politica di austerità, pena gravi tensioni sociali. Questa fu la situazione tedesca nel 2003. Io avevo appena realizzato l’Agenda, oltre 20 miliardi di euro di tagli e una severa riforma del mercato del lavoro. Ma non potevamo strozzare ulteriormente l’economia. Così abbiamo chiesto un margine più ampio nel rispetto dei criteri. Poi ho perso le elezioni, la signora Merkel ne ha approfittato, l’economia è ripartita, ma questa è un’altra storia. La lezione di allora è che un Paese come la Grecia ha bisogno di più tempo».

C’è un reale pericolo che l’euro si disintegri?
«No, non credo. Analizziamo i termini del problema. Abbiamo un fiscal compact sottoscritto dai Paesi dell’eurozona. C’è stata un’elezione in Francia, con la vittoria di Hollande che chiede di rinegoziarlo. C’è qualche passo in direzione della politica economica comune, cioè verso l’unione politica. Cosa può ottenere in più il nuovo presidente francese? Probabilmente un completamento, non formale ma di sostanza, in direzione di un patto per la crescita, senza bisogno di rimettere in discussione il patto fiscale. Con il che potrà dire che la sua rivendicazione è stata recepita. Di questo faranno parte tre elementi: una concentrazione dei fondi strutturali e di coesione verso i Paesi che ne hanno più bisogno: ci sono ancora risorse significative disponibili per infrastrutture, ricerca, sviluppo. L’aumento della dotazione della Bei, attraverso i cosiddetti project bond, oppure l’aumento del suo capitale. Poi verranno gli eurobond, cioè il primo passo verso l’europeizzazione del debito…».

Ma è ciò che la Germania non vuole…
«È vero, la Germania in questo momento non lo vuole. Ma la questione è che contemporaneamente bisogna fare passi concreti verso il coordinamento delle politiche economiche e finanziarie. Non si possono fare gli eurobond, senza portare a termine le riforme strutturali di cui ogni Paese ha bisogno e senza muoversi allo stesso tempo verso l’unione politica. Queste cose devono marciare insieme. E a queste condizioni, la Germania non avrebbe più argomenti per dire di no».

Vuole dire che a queste condizioni, il governo tedesco potrebbe dire sì agli eurobond?
«Non posso affermarlo con certezza. Ma la cancelliera si è mostrata flessibile quando è stato necessario. Il punto è che non avrebbe più argomenti razionali per opporsi »

Però Frau Merkel è sempre apparsa in ritardo sugli avvenimenti. Perché ogni volta ci mette tanto a fare passo in avanti?
«Merkel pensa prima di tutto in categorie elettorali, cioè in termini di potere politico interno. E sbaglia».

Perché sbaglia?
«Io non credo che possa vincere le prossime elezioni in Germania. È possibile che la Cdu resti più forte della Spd. Ma anche se la Fdp superasse di poco la soglia del 5% questo non basterebbe più per governare insieme. Resterebbero per la Cdu la possibilità di una coalizione con i Verdi (che questi non faranno) oppure una Grande Coalizione, che la Spd rifiuterebbe. Quindi l’unica prospettiva rimarrebbe un governo rosso-verde, con una sorta di appoggio della Sinistra o dei Pirati. Non penso cioè che la cancelliera Merkel rimanga al potere dopo il 2013».

Ma alle elezioni manca ancora quasi un anno e mezzo. E l’Europa ha molto meno tempo a disposizione…
«Per questo sostengo che bisogna implementare subito questo pacchetto. Per i mercati è essenziale che i Paesi dell’eurozona indichino con chiarezza la linea e dicano: andiamo verso l’unione politica, con tutto ciò che comporta, indicando i passi concreti a breve, medio e lungo termine. Un commissario deve diventare una sorta diministro delle Finanze dell’eurozona. O si fa questa riforma istituzionale o la moneta unica è a rischio ».

Quindi a suo avviso la crisi è sostanzialmente politica?
«È chiaro. All’inizio abbiamo creduto con l’euro di poter fare un progetto politico, forse anche contro la razionalità economica, sperando che poi questo ci costringesse all’unione politica. Purtroppo non è successo. Adesso o ci arriviamo, o la moneta cadrà. Se la crisi prova qualcosa, è che non si può avere una moneta unica senza una politica economica, finanziaria (e aggiungerei sociale) comuni».

Ma tra la crisi e l’unione politica, c’è un problema immediato da risolvere di nome Grecia. Siamo ancora in tempo per salvarla?
«Sì. Dipende molto da loro, da come voteranno tra due settimane, se vogliono essere salvati. Se ci sarà un governo disposto a fare le riforme necessarie, possiamo salvarla. Come dicevo, occorrerà però dare più tempo al nuovo governo greco. L’errore più grave che abbiamo fatto è aver lasciato in bilico Papandreu. Lui era stato chiaro: datemi più tempo. Ora, i greci devono capire che le riforme strutturali vanno fatte, ma gli europei devono capire che queste cose non si fanno in una notte. Dovremmo dire subito che vogliamo salvare la Grecia, che questo può avvenire solo se loro riformano il Paese, ma anche che devono poterlo fare gradualmente. Al momento purtroppo esercitiamo su Atene soltanto pressione».

Con l’elezione di Hollande il binomio franco-tedesco è in crisi?
«No. Ogni presidente francese e ogni cancelliere tedesco imparano in breve tempo che in Europa nulla avanza se Berlino e Parigi non lavorano insieme. E sarà così anche con Hollande e Merkel, come fu tra me e Chirac, tra Schmidt e Giscard, tra Kohl e Mitterrand. È semplicemente un fatto della costruzione europea, anche se quando interagiscono gli altri si lamentano e parlano di direttorio, ma quando non lo fanno è pericoloso».

Ma un’eventuale uscita della Grecia dalla moneta unica secondo lei causerebbe il crollo dell’intera eurozona?
«Sarebbe una vittoria dei mercati sulla politica ».

E sarebbe in grado l’Ue di contenerne gli effetti?
«In generale, non amo discutere situazioni ipotetiche. Sinceramente non credo che Atene uscirà dall’euro. La Grecia rappresenta il 3% del Pil dell’Ue. E a quelli che predicono l’effetto domino, rispondo che basterebbe una forte presa di posizione politica per impedirlo».

Lei comunque non è pessimista. Su quali basi?
«L’Europa è sempre avanzata come la processione del martedì di Pentecoste a Echternach: due passi avanti uno indietro, ogni tanto addirittura uno avanti due indietro. È vero che questa crisi ha una qualità diversa, è probabilmente la più seria che abbiamo mai vissuto, perché a essere minacciata è la base economica. E si può risolvere solamente se ci sarà unità d’intenti e d’azione tra i grandi Paesi, a condizione che capiscano e dicano che la direzione sia quella dell’unione politica ».


Crisi euro: fuga di capitali dalle banche spagnole

da:WSI
In Italia situazione praticamente stabile in aprile, con l’aumento nel comparto retail che compensa il calo nel corporate. In Spagna depositi -€31 miliardi nel mese. Chiaro segnale di stress.


Roma - Forte segnale di stress e della gravità della situazione con crescente incertezza sull’evolversi della situazione nell’Eurozona. Banche spagnole sotto i riflettori e lo dimostrano anche gli ultimi dati in arrivo dalla Banca centrale europea, commentati dagli analisti di Goldman Sachs.

"La Bce ha ufficializzato i dati sui depositi nel mese di aprile. Se in Italia sono rimasti stabili, con un leggero aumento nel comparto retail (+ €7 miliardi) che ha più che compensato il lieve calo nei depositi aziendali, in Spagna si è assistito a una forte contrazione, -1,9% o €31 miliardi. Solo la metà è dovuta al comparto retail (-1,1% o €8 miliardi) e aziendale (-3,4% o €7 miliardi), con la restante parte attribuibile ad altri attori, quali istituzioni finanziarie, fondi pensione, e altri".

Intanto, ancora in forte aumento i rendimenti dei bond della Spagna a 10 anni. Non sono ormai lontani i massimi dello scorso novembre, come nemmeno il livello definito come "la soglia di non ritorno", del 7%, che ha già costretto Grecia, Irlanda e Portogallo a richiedere aiuti finanziari internazionali. Al momento il costo del prestito spagnolo sale al 6,656%, in rialzo di ben 21 punti base.


mercoledì 30 maggio 2012

Emorragia dai conti correnti italiani: spariscono 200 mld

di: WSI-MF-DOW JONES
Cifre ufficiali di Bankitalia. Spaventati dalla crisi, gli italiani stanno spostando grandi somme di denaro dalle banche domestiche verso il Nord Europa.. Solo a marzo, deflusso di 274 miliardi di euro.


Milano (MF-FJ) - Prosegue quasi inarrestabile il deflusso di capitali dall'Italia verso il Nord Europa. La chiave di volta di una notizia che tiene banco da mesi e che e' stata commentata anche dal premier Mario Monti, trova per la prima volta conferma ufficiale in un passaggio del Bollettino della Banca d'Italia sull'evoluzione "dei saldi del sistema di pagamento Target 2".

Dietro al titolo dell'analisi di certo non accattivante c'e' pero' un dato significativo: gli italiani stanno spostando ingenti masse di denaro dalle banche domestiche a quelle estere. Si tratta di una cifra molto consistente, che a marzo avrebbe toccato 274 miliardi di euro. 

Le cifre ufficiali si fermano pero' a dicembre del 2011, quando l'emorragia era da tempo in atto e sfiorava 200 miliardi; a tanto ammonta infatti la "passivita' verso l'Eurosistema" della Banca d'Italia, ovvero tutti i pagamenti, importazioni e investimenti all'estero, del sistema Italia, intermediati dalle banche del Belpaese per via della banca centrale e che diventano un debito nei confronti della Bce, che funge a sua volta da cassa di compensazione finale. 

"Dall'avvio della crisi del debito sovrano si e' registrato un forte incremento dei flussi di pagamento per il tramite del sistema di regolamento transeuropeo Target 2 dai Paesi dell'area maggiormente interessati dalla crisi verso quelli ritenuti piu' solidi dagli operatori di mercato", scrivono gli economisti di Palazzo Koch. "Tali andamenti hanno determinato ampie variazioni nella posizione creditoria o debitoria, registrata nella voce altri investimenti della bilancia dei pagamenti di un Paese, delle diverse banche centrali nazionali nei confronti della Banca centrale europea".

Via Nazionale addebita questa emorragia alle tensioni sul debito pubblico e alla crisi dell'economia italiana che fa fuggire gli investitori stranieri e anche i capitali domestici. Con effetti pessimi sulle banche.

lunedì 28 maggio 2012

Intesa Sanpaolo si prepara a tagliare mille filiali

da Bluerating


L'obiettivo del progetto che interessa circa un quinto delle sue filiali italiane è di ridurre i costi. Secondo quanto riportato dai sindacati...

Intesa Sanpaolo sarebbe pronta a fondere o chiudere quasi un quinto delle sue filiali italiane con l’obiettivo di ridurre i costi. Secondo quanto riportato ieri dai sindacati, infatti, nonostante Ca’ de Sass non abbia commentato la notizia, ci sarebbe l’intenzione del’istituto di credito di tagliare circa mille filiali, più del doppio rispetto ai 400 sportelli indicati nel business plan 2011-2013. Intesa ha una reter di circa 5.600 filiali. A Roma mercoledì, ha detto Nicola Manna, rappresentante della Sinfub (Federazione Nazionale Sindacati Autonomi Personale di credito, finanza e assicurazioni), i sindacati incontreranno l'amministratore delegato diIntesa Enrico Cucchiani a Roma per discutere.

Secondo gli analisti di Intermonte, “la decisione di aumentare il numero degli sportelli da chiudere ha sorpreso. Potrebbe tuttavia trattarsi di una mossa aggressiva della banca per arrivare ad ottenere dai sindacati un numero inferiore e più vicino ai 400 sportelli preventivati. Se assumiamo un numero complessivo di 800 filiali chiuse, il maggior risparmio di costi sarebbe quantificabile approssimativamente in una cifra tra i 250 e i 300 milioni all’anno a regime, senza tenere conto di eventuali impatti negativi sui ricavi”. 

sabato 26 maggio 2012

«La Germania non affondi l'Europa Sarebbe la terza volta in cent'anni»


Fischer, ex ministro degli Esteri tedesco: «La cancelliera miope. Se l'euro cade, noi saremo i grandi perdenti»

PAOLO VALENTINO (corriere della sera)

BERLINO - «Per due volte, nel XX secolo, la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l'ordine europeo. Poi ha convinto l'Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l'integrazione d'Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita, con mezzi pacifici e le migliori intenzioni, causasse la distruzione dell'ordine europeo una terza volta. Eppure il rischio è proprio questo». Joschka Fischer sceglie parole pesanti come pietre per lanciare un allarme fatto di passione e ragione, cuore e testa d'europeo. L'ex ministro degli Esteri tedesco è «preoccupato» da una situazione che definisce «seria, molto seria» per l'Europa. Ed è anche scettico, perché non vede in giro «forze e leader, disposti a fare i passi necessari», senza i quali «rischia di essere spazzato via il miracolo di due generazioni di europei: l'investimento massiccio in una costruzione istituzionale, che ha garantito il più lungo periodo di pace e prosperità nella storia del Continente». Lo incontro nella sede della «Joschka Fischer and Company», la società di consulenza strategica che ha fondato da pochi anni. Le finestre del suo ufficio danno sulla Gendarmenmarkt, la piazza dove i re prussiani facevano sfilare i loro reggimenti e il regime comunista della Ddr organizzava i suoi raduni. Ora è il cuore pulsante della nuova Berlino, magnifica capitale di una Germania cui l'Europa in crisi torna a guardare con diffidenza e malumore.
«Mi preoccupa - spiega Fischer - che l'attuale strategia chiaramente non funziona. Va contro la democrazia, come dimostrano i risultati delle elezioni in Grecia, in Francia e anche in Italia. E va contro la realtà: lo sappiamo sin dalla crisi del 1929, dalle politiche deflattive di Herbert Hoover in America e del cancelliere Heinrich Brüning nella Germania di Weimar, che l'austerità in una fase di crisi finanziaria porta solo a una depressione. Sfortunatamente, sembra che i primi a dimenticarlo siamo proprio noi tedeschi. Certo l'economia della Germania è in crescita, ma ciò può cambiare rapidamente, anzi sta già cambiando».
L'ex vice-cancelliere del governo rosso-verde invita a non farsi alcuna illusione: l'Europa è oggi sull'orlo di un abisso. «O l'euro cade, torna la re-nazionalizzazione e l'Unione Europea si disintegra, il che porterebbe a una drammatica crisi economica globale, qualcosa che la nostra generazione non mai vissuto. Oppure gli europei vanno avanti verso l'Unione fiscale e l'Unione politica nell'Eurogruppo. I governi e i popoli degli Stati membri non possono più sopportare il peso dell'austerità senza crescita. E non abbiamo più molto tempo, parlo di settimane, forse di pochi mesi».
Ma perché non sarebbe possibile limitare le conseguenze di un'uscita controllata della Grecia dall'Eurozona? 
«L'Euro è un progetto politico. Non è che avessimo bisogno della moneta unica agli inizi degli Anni Novanta. Doveva essere il vettore dell'integrazione politica: questa era l'idea di fondo. Nessuno oggi può garantire che se la Grecia abbandona l'euro, non si verifichino un crollo della fiducia, una corsa alle banche in Spagna, in Italia, probabilmente anche in Francia, cioè una valanga finanziaria che seppellirebbe l'Europa. Secondo, cosa pensa che farebbero i greci una volta fuori? Cercherebbero altri partner, come la Russia per esempio, che è già pronta e nessuno ne parla. Diremmo addio all'ampliamento verso Sud-Est, l'integrazione europea dei Balcani sarebbe finita. È una follia: si possono avere opinioni diverse sulla vocazione europea della Turchia, ma non c'è dubbio che i Balcani, regione intrinsecamente instabile, siano parte dell'Europa. Senza contare che la Grecia fuori dall'euro precipiterebbe nel caos».
La discussione attuale si concentra sugli eurobond. Ma per concretizzarli occorrerebbero mesi, se non anni. Non è un falso dibattito, rispetto ai tempi brevi di cui lei parla? 
«No, è un dibattito importante. In fondo dietro gli eurobond c'è uno dei prossimi passi da compiere. Gli elementi della soluzione sono quattro: Unione politica e Unione fiscale dell'Eurogruppo, crescita e riforme strutturali. Sono per esempio ammirato dal fatto che in questa fase, l'Italia abbia mobilitato i suoi istinti di sopravvivenza dando vita al governo Monti, che sta lavorando bene. Ma rimango perplesso che Hollande, il nuovo presidente francese del quale apprezzo l'impegno per la crescita, voglia riportare a 60 anni l'età pensionabile. Nessuno di questi elementi va trascurato o annacquato, devono viaggiare insieme se l'Europa vuole davvero superare la sua crisi esistenziale».
Perché la cancelliera Merkel non si muove dalla linea dell'austerità? 
«Angela Merkel pensa solo alla sua rielezione. Ma è un calcolo miope e fa un grosso errore. Perché sul piano interno è già molto indebolita. Merkel è forte finché l'economia tedesca è forte. In Germania non c'è crisi economica, ma stiamo attenti perché ci coglierà in modo brutale. Se non ci assumiamo la responsabilità di guidare l'Europa insieme fuori dalla crisi, saranno guai grossi, perché noi saremmo i grandi perdenti, sia sul piano economico che su quello politico».
Quale governo tedesco può fare ciò che lei propone? 
«Solo un governo di grande coalizione. Altrimenti, ogni partito all'opposizione sarebbe tentato di sfruttare questa situazione. Ma un governo di unità nazionale ce la farebbe. Non è un passo semplice. "Perché dovremmo farlo?", è la domanda prevalente in Germania"».
Già, perché dovreste farlo? 
«Semplice, perché altrimenti vanno a rotoli sessant'anni di unità europea. Fine. Rien ne va plus . Purtroppo non abbiamo più un Helmut Kohl a dircelo».
E come dovrebbero svolgersi gli avvenimenti, qual è il primo passo immediato? 
«L'europeizzazione del debito. Il problema, qui la Germania ha ragione, è di evitare che poi le riforme strutturali per migliorare la competitività si fermino o vengano ammorbidite. Non si tratta di europeizzare l'intero debito, ci sono proposte interessanti sul tavolo. Ma il punto di fondo è che la Germania deve garantire con il suo potere economico e le sue risorse la sopravvivenza dell'Eurozona. Bisognerà dire: siamo un'Unione fiscale, restiamo insieme. Sarà difficile, i mercati diranno la loro, le agenzie di rating toglieranno probabilmente la tripla A alla Germania, ma bisognerà resistere e per farlo abbiamo bisogno dell'Unione politica. E qui è la Francia che deve dire sì a un governo comune, con controllo parlamentare comune della zona euro. In gioco è il ruolo globale dell'Europa nel XXI secolo. Vogliamo averne uno? Solo insieme potremo dire qualcosa sul nostro futuro ed essere ascoltati».
Non è troppo tardi per tutto questo? 
«No, abbiamo una chance, che probabilmente si aprirà concretamente poco prima del crollo. Bisogna avere nervi saldi, il lusso delle illusioni non ci è concesso. Finora abbiamo solo reagito. Le decisioni dell'Ue hanno sempre inseguito gli avvenimenti. Non abbiamo mai agito in modo strategico. Non basta più».
Cosa vuol dire governo e controllo parlamentare comuni? 
«Dimentichiamo per un attimo i 27. Al momento decisivi sono i Paesi dell'Eurozona. I capi di governo agiscono già di fatto da esecutivo europeo, i Parlamenti nazionali hanno la sovranità sul bilancio. Dobbiamo fare passi concreti verso una federazione: nel 1781 c'era una situazione simile in America. Cosa fece Alexander Hamilton? Federalizzò il debito degli Stati, in bancarotta per le spese della Rivoluzione contro gli inglesi. Se non lo avesse fatto, la giovane Confederazione non sarebbe sopravvissuta. Ecco cosa dobbiamo fare anche noi, qui e subito. Purtroppo non siamo governati da leader politici, ma da contabili».
E d'accordo a eleggere un presidente dell'Ue a suffragio universale, come suggerisce Wolfgang Schäuble? 
«Non porterebbe nulla. Avrebbe molto più senso se le maggioranze e le opposizioni parlamentari di ogni Stato dell'Eurozona fossero rappresentate in una Eurocamera, dove discutere direttamente, con tutta la legittimità necessaria, l'attenzione mediatica e il coinvolgimento delle popolazioni. Non sarebbe più una creazione esterna come l'Europarlamento, che potrebbe diventare Camera bassa. Mentre i leader sarebbero membri del governo europeo».
L'intervista è finita. Ma Fischer, sempre affascinato dalla Storia, vuole ancora raccontare un aneddoto: «Sono stato spesso a Venezia, ma solo alcuni mesi fa, per la prima volta ho dormito in laguna. Un'esperienza indimenticabile: alle 7 della sera, la città era vuota, nulla sembrava vivo. E allora ho pensato alla Serenissima, alla grande potenza che ha dominato il Mediterraneo e parte del Medio Oriente, esercitando per secoli una forte egemonia economica, politica e culturale, ridotta a un bellissimo museo deserto. Vogliamo che anche l'Europa diventi questo? Non credo, ma potremmo esservi molto vicini».

venerdì 25 maggio 2012

I grandi fondi d'investimento europei mollano l'euro

wsi
Alcuni gestori dei fondi leader in Europa si stanno liberando degli asset espressi nella moneta unica, scrive in prima pagina il capofila degli anti-euro Financial Times. Motivo: i calcoli sulla possibile uscita della Grecia dall'Eurozona. Timori su Spagna e Italia.


Roma - Alcuni gestori dei fondi più grandi in Europa hanno ora una sola cosa in mente: liberarsi al più presto di asset in euro. Motivo: i timori sulla possibile uscita della Grecia dall'Eurozona che, a dispetto delle rassicurazioni cantilenanti dei leader Ue, sono ben avvertite dal mondo della finanza globale.

L'articolo sullo smobilizzo di asset in euro è firmato dalFinancial Times, che riporta come gli stessi gestori dei fondi abbiano confermato la notizia. Si spiega così il forte e improvviso calo dell'euro nel corso di questo mese: la moneta unica ha perso il 5% nelle ultime tre settimane, dopo una performance che è stata praticamente laterale nei confronti del dollaro, per gran parte dell'anno. Nella giornata di ieri, la valuta è precipitata al nuovo minimo degli ultimi 22 mesi, a $1,2514. 

Merk Investments, società attiva nel mercato valutario con sede negli Stati Uniti, ha comunicato di aver tagliato tutte le sue partecipazioni in euro nel mese di maggio. "Abbiamo venduto l'ultimo euro lo scorso 15 maggio - ha confermato Avel Merk, responsabile degli investimenti della omonima società - Siamo preoccupati per quanto il processo si stia mostrando pieno di disfunzioni (in Europa)".

Ma sono appunto gli stessi fondi europei che stanno scappando dall'euro. Tra questi Amundi, gruppo che gestisce gli investimenti di alcuni tra i più importanti fondi pensione e società del Vecchio Continente, e che è convinto che il rischio che la crisi contagi la Spagna e l'Italia stia aumentando, visto che le autorità europee non sono riuscite a convincere gli investitori di disporre di sufficienti protezioni per evitare il contagio. Creata attraverso la fusione tra Crèdit Agricole Asset Management e Société Générale Asset Management tre anni fa, Amundi - che gestisce asset per 659 miliardi di euro - è uscito dai bond denominati in euro per puntare sugli asset in dollari. 

C'è poi Hermes Fund Managers, che ha ridotto la sua esposizione all'azionario dei paesi periferici a un livello vicino allo zero. "I politici europei stanno fallendo nella loro impresa di convincere i mercati che stanno davvero affrontando i problemi dell'Eurozona", ha detto Neil Williams, responsabile economista del fondo.

giovedì 24 maggio 2012

Ennio Doris Banca Mediolanum: "L'Euro resterà. Serve a Berlino"


Barclays è pronta a dire addio all'Italia


Il colosso bancario britannico avrebbe intenzione di vendere tutte le filiali attive nel Belpaese per concentrarsi di più sulle sue attività core e migliorare i profitti...

Barclays si prepara a dire addio al Belpaese. Secondo quanto riporta il Wall Street Journal citando fonti vicine alla situazione, il colosso bancario britannico avrebbe intenzione di vendere tutti gli sportelli italiani per concentrarsi di più sulle sue attività core e migliorare i profitti. “La banca ha già ricevuto tre manifestazioni di interesse, due da entità italiane e una da una società estera, per le circa 180-200 filiali in Italia”, ha detto la fonte citata dal quotidiano.

L’operazione, su cui Barclays non ha voluto rilasciare commenti, è frutto di una revisione strategica condotta dalla banca e coinvolgerebbe circa quattro miliardi di euro di prestiti e altri quattro miliardi di depositi. “Non sarà comunque una vendita facile, perché le filiali italiane della banca stanno perdendo attualmente decine di milioni di euro ogni anno”, ha precisato la fonte. Barclays aveva aperto il primo sportello in Italia nel 2006.

mercoledì 23 maggio 2012

Dal New York Times: tra un mese banche italiane bloccheranno prelievi dai conti correnti. Fantascienza o Realtà?

Il prossimo mese la Grecia esce dall’Euro e in Spagna ed Italia, le banche bloccheranno il prelievo dai conti correnti. E’ l’ipotesi che scrive sul  New York Times del 13 maggio 2012 Paul Krugman: non un giornalista qualsiasi, ma il premio nobel per l’economia nel 2008.

Dal blog di P. Krugman: 
http://krugman.blogs.nytimes.com/2012/05/13/eurodammerung-2/?smid=tw-NytimesKrugman&seid=auto


Some of us have been talking it over, and here’s what we think the end game looks like:
1. Greek euro exit, very possibly next month.
2. Huge withdrawals from Spanish and Italian banks, as depositors try to move their money to Germany.
3a. Maybe, just possibly, de facto controls, with banks forbidden to transfer deposits out of country and limits on cash withdrawals.
3b. Alternatively, or maybe in tandem, huge draws on ECB credit to keep the banks from collapsing.
4a. Germany has a choice. Accept huge indirect public claims on Italy and Spain, plus a drastic revision of strategy — basically, to give Spain in particular any hope you need both guarantees on its debt to hold borrowing costs down and a higher eurozone inflation target to make relative price adjustment possible; or:
4b. End of the euro.
And we’re talking about months, not years, for this to play out.

Cina agli europei: "Avete gestito malissimo la crisi Grecia"

WSI
Mancanza di leadership. "Altri paesi potrebbero abbandonare la moneta unica". "Non c’è mai stato un piano concreto per risolvere la crisi". Giudizi (giusti) da Pechino dal gestore di China Investment Corp, il mega fondo sovrano cinese.



Pechino - Le autorità europee hanno mostrato mancanza di leadership nel risolvere la crisi del debito in corso nell’Eurozona. Il pericolo ora è che, in caso di uscita della Grecia dall’euro, altri paesi possano in turno decidere di abbandonare la moneta unica. È l’avvertimento lanciato da Jin Liqun, Presidente del board dei supervisori di China Investment Corp, il fondo sovrano cinese.

Atene potrebbe essere solo la prima pedina di una lunga serie. "Sin dall’inizio della crisi del debito nell’Eurozona, non c’è mai stato un piano concreto per la sua soluzione", ha detto Liqun, secondo quanto riporta Bloomberg. "I paesi core dell’Unione monetaria dovranno tenere gli occhi aperti per la possibilità che altri paesi seguano l’esempio della Grecia, in caso Atene riesca a scamparne indenne".

Lo scorso 9 maggio lo stesso Presidente di China Investment Corp, Gao Xiqing, aveva ufficializzato che il fondo aveva interrotto gli acquisti di debito governativo europeo, proprio a causa dei timori sull’evolversi della crisi in corso.

"È stato sprecato troppo tempo in negoziati inutili, su termini e condizioni degli aiuti finanziari. Non si può dire che non ci sia una strategia unica, ma la visione di breve periodo ha dominato la scena dei negoziati", ha continuato Liqun.

Necessaria una soluzione di lungo periodo. "I greci dovrebbero essere incoraggiati a lavorare più sodo, ma allo stesso tempo gli si dovrebbe concedere più tempo. I leader europei dovrebbero dire, ok, vi diamo 10 anni per diminuire l’indebitamento, a quel punto i mercati saranno fiduciosi perché si tratterà di un qualcosa di realistico".

In conclusione."Non credo che si siano esaurite tutte le possibili soluzioni per mantenere la Grecia nell’Unione monetaria".

Grecia fuori dall'euro: Gli scenari


Conseguenze ed effetti contagio sui vari mercati. Ma anche opportunita' per Atene. Chi ne soffrirà e in che misura. Per gli ellenici e' meglio uscire dall'euro ma restare nell'Ue, e continuare a ricevere aiuti finanziari.


New York - Uno degli argomenti più discussi al momento, che continua a muovere, più nel male che nel bene, i vari mercati internazionali. L’uscita della Grecia dall’euro avrebbe conseguenze di rilievo per l’intero sistema globale, ma per il paese potrebbe rivelarsi la via migliore, la più facile e la più veloce, per ripristinare delle buone basi economiche. Ecco quali sarebbero i possibili risultati, all’interno dei confini, di un’uscita di Atene dalla moneta unica.

Impatto per la Grecia.

Molti esperti, tra cui gli stessi del Fondo Monetario Internazionale, che ha prestato alla Grecia miliardi di dollari, credono che l’uscita dall'euro sia nel migliore interesse della nazione. I greci dovrebbero attraversare un periodo molto turbolento per circa due anni, in cui l’economia dovrebbe soffrire molto di più, e più velocemente, di quanto non stia soffrendo ora. Ma quando sarà finita, la ripresa sarà probabilmente più rapida di ogni altra alternativa sul tavolo.

Se i greci dovessero smettere di usare l'euro ed emettessero la propria valuta, questa varrà molto meno rispetto alla moneta unica. E' molto probabile che la svalutazione sarà del 50% circa, ma alcuni esperti non escludono anche fino all'80%. Tutte le aziende e le banche con debiti denominati in euro sarebbero impossibilitati a ripagarli, il che vorrebbe dire default. Ciò porterebbe a una recessione ancora più profonda.

Il Fmi stima che il PIL si ridurrebbe di oltre il 10% solo nel primo anno. Ma dopo un anno o due il quadro dovrebbe nettamente migliorare e l'economia dovrebbe riprendersi più rapidamente di quanto non sarebbe stato senza la svalutazione. Questo perché la moneta svalutata renderà più costose le merci importate - costringendo i greci ad acquistare più prodotti nazionali. In turno, le esportazioni del paese saranno più convenienti e più attraenti per i compratori esteri. Questo e' quanto successo in Islanda, che ripudiò il suo debito e ora ha un'economia in rapida crescita.

In aggiunta, pur non essendo più un membro delle 17 nazioni all’interno dell'Unione monetaria, sarebbe uno dei 10 paesi membri Unione europea che per vari motivi non utilizzano l'euro. In qualità di membro della Ue sarebbe comunque possibile per il paese ricevere assistenza finanziaria quando in gravi casi di difficoltà finanziarie.

Impatto per il resto del mondo.

Il rischio che una bancarotta della Grecia faccia sentire i suoi effetti anche in altre nazioni è nettamente diminuito nell'ultimo anno e mezzo. Durante questo periodo gran parte del debito è stato spostato fuori dal settore privato, mentre i governi hanno preso possesso del debito.

La Grecia è stata salvata per la prima volta nel maggio 2010, dall'Ue e dal Fmi. A quel tempo, i creditori in altre nazioni Ue avevano circa $68 miliardi di debito sovrano greco, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali. Se la Grecia fosse stata inadempiente, i creditori avrebbero perso $51 miliardi ad un tasso di recupero del 25%. Nei 15 mesi successivi, la quantità di debito detenuta da questi è calata di $31 miliardi. Ciò ha fortemente ridotto gli effetti di un contagio nel settore privato.

Ecco che il peso sarebbe principalmente concentrato sui governi. L'agenzia di rating Fitch stima che i crediti del settore pubblico sulla Grecia raggiungeranno $450 miliardi quest'anno. L'esposizione della Germania è nelle decine di miliardi di dollari.

Tra gli altri, l’impatto di tale evento si farà sentire nel mercato dei bond. Le nazioni più a rischio - Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda - stanno già vedendo aumentare il costo del loro debito. Se la Grecia dovesse ripudiare il suo debito, gli investitori diventeranno ancora più insicuri e dovrebbero domandare ancora di più per dare prestiti a queste nazioni. Questo a sua volta potrebbe causare un contagio nell’intero settore pubblico, contagio di gran lunga superiore rispetto a se avesse colpito semplicemente il settore privato.

Editoriale di Constantine von Hoffman, scrittore indipendente, i cui articoli sono stati pubblicati in alcuni dei più importanti magazine, tra cui Harvard Business Review, The Boston Herald, TheStreet.com, CSO, e il Boston Magazine.

martedì 22 maggio 2012

Aleggia lo spettro della fuga dai depositi bancari Ue

Ora si teme la fila agli sportelli in tutta Europa, come è avvenuto in Grecia. Intanto la Bce pensa al piano B...


Atto primo: fuga dai depositi. In una delle puntate dove, a fare da sfondo, è la tragedia greca con la paura, da parte dei mercati dell’addio di Atene, le banche europee temono una fuga dei depositi, che in parte sta già avvenendo. A lanciare l’allarme, per primo, è stato il Wall Stret Journal. Il timore, insomma, è che se la Grecia dovesse davvero lasciare la moneta unica, le file agli sportelli bancari dei clienti per ritirare i loro depositi (come accaduto in Grecia) possa ripetersi anche in altri paesi della periferia dell’area euro. 

Così, per fare fronte a questo rischio, pare che alcuni all’interno dell’Ue stiano considerando l’introduzione di un piano pan-europeo di garanzie sui depositi, che si andrebbe a sommare a quelli nazionali già esistenti. “Ancora non è chiaro”, si legge nelle pagine del Wall Street Journal, “quanto sia stato sviluppato il piano per offrire garanzie ai depositi. Secondo alcuni analisti, gli istituti bancari di Paesi come Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna potrebbero perdere rapidamente fra i 90 e i 340 miliardi di euro di depositi se la Grecia uscirà dall’area euro.

La Spagna, tra tutti, sarebbe il paese più colpito con una cifra compresa fra i 38 e i 130 miliardi di euro. E le conseguenze di una fuga di questo tenore potrebbero essere disastrose per le banche, alcune delle quali potrebbero trovarsi a corto di fondi e fallire, mentre le più solide si troverebbero a dover ridurre fortemente il credito e liberarsi degli asset per mantenere i fondi. La Banca Centrale Europea potrebbe evitare questa catastrofe con nuovi prestiti a basso costo. Spunta, insomma, un piano di garanzie della Bce. 

Quanto all’Italia, le garanzie offerte ai clienti oggi sui loro conti in banca ammontano a 103mila euro, in Gran Bretagna a 105,2mila, in Usa a 195,7mila, in Portogallo a 25mila, in Norvegia a 263,1mila euro mentre in Irlanda non c’è limite. 

venerdì 18 maggio 2012

Ue, ecco il piano di emergenza per traghettare la Grecia fuori dall'euro


Nel caso il Paese esca dalla moneta unica Commissione europea e Bce avrebbero elaborato un dispositivo di emergenza

da: corriere della sera

MILANO - La Commissione Europea e la Banca centrale europea stanno lavorando a uno scenario di emergenza nel caso la Grecia esca dalla moneta unica. Lo ha detto il commissario europeo al Commercio, Karel De Gucht, in un'intervista al quotidiano fiammingo De Standaard. «Un anno e mezzo fa poteva esserci il pericolo di un effetto domino», ha detto il commissario. «Ma oggi ci sono, sia alla Bce che alla Commissione Ue, servizi che stanno lavorando su scenari di emergenza nel caso che la Grecia non ce la faccia». Si tratta dei primi commenti da parte di un funzionario Ue che confermano l'esistenza di piani di emergenza.
IL CONTO ALLA ROVESCIA - «La fine della partita è iniziata, ora, e non so cosa succederà», anche perchè «la domanda è sapere se tutti sapranno mantenere il loro sangue freddo nelle settimane a venire», ha affermato l'ex ministro degli esteri belga, noto per il suo modo di parlare molto diretto che ha già suscitato più di una polemica sia nel suo paese che in seno all'esecutivo comunitario. Anche per De Gucht non ci sono quindi alternative al secondo piano di salvataggio messo in piedi dalla troika Ue-Bce-Fmi: «la Grecia deve mettere in atto gli accordi conclusi, è la sola opzione razionale che ha il paese» ma, ha avvertito, «questo è possibile solo se il popolo greco è in grado di giudicare razionalmente tramite le elezioni, solo che sono persone disperate». Ma Bruxelles non è pronta a piegarsi e a modificare gli accordi conclusi con Atene. «Non c'è margine di manovra, si arriva già appena a una diminuzione del debito con il programma che è attualmente sul tavolo», ha messo in chiaro il commissario Ue.
IL SUPERVERTICE - Giovedì l'atteso super-vertice (in attesa dell'odierno G8 di Camp David) a cinque tra Monti, Merkel, Hollande, Cameron e Van Rompuy sulle tensioni che riguardano l'Eurozona, sul quale c'è il massimo riserbo. C'è preoccupazione per l'ennesimo downgrade del titolo ellenico, con Fitch che ha declassato i conti i pubblici di Atene al livello CCC, il grado precedente al default. L'ipotesi fallimento con relativa uscita del Paese dalla moneta unica è ormai presa seriamente in considerazione, tanto che le reti protettive dell'Unione sarebbero pronte ad essere lanciate nello scenario peggiore, con relativo (e probabile) effetto domino su altri Paesi, a quel punto probabili destinatari di attacchi speculativi (qui vedi lo spread Btp/Bund nel dettaglio).

"La corsa Greca". Agli sportelli

‘The bank run’, titola l'Economist. Ovvero la corsa agli sportelli, un argomento tabu’ in Grecia, Spagna e Italia di questi tempi. Oltre 1 miliardo di euro pare siano stati ritirati dalle casse di Bankia. Tra lunedi' e venerdi' i greci hanno riscosso 1,2 miliardi di risparmi in due giorni.


New York - La ‘bank run’, titola l'Economist nel suo nuovo numero in uscita il 19 maggio. Ovvero la corsa agli sportelli, un argomento tabu’ in Grecia, Spagna e Italia di questi tempi. Non per il giornale pero'. Che in passato ha fatto anche di meglio: in quel caso non si parlava di sport (il riferimento e' chiaro alle Olimpiadi che prenderanno il via a Londra in luglio), ma di cinema.

Sotto il titolo "Acropolis Now", una Angela Merkel dallo sguardo torvo in tenuta militare si appresta a entrare negli abissi del cuore di tenebra della crisi del debito sovrano europeo, ormai fuori controllo. Il riferimento in questo caso e' al colossal Apocalypse Now, pellicola diretta da Francis Ford Coppola e liberamente ispirata al romanzo di Joseph Conrad "Cuore di Tenebrea".

Oltre 1 miliardo di euro pare siano stati ritirati dalle casse di Bankia (cosi' riportano le indiscrezioni stampa, ma a chiusura dei mercati e' arrivata la smentita della diretta interessata). Tra lunedi' e martedi' i greci hanno riscosso 1 miliardo e 200 milioni di risparmi, pari allo 0,75% del totale dei depositi. Un'eventuale uscita della Grecia dall'Eurozona scatenerebbe immediate fughe di fondi dai depositi dalle banche in Spagna, Italia e Portogallo. Secondo le stime di Societe Generale l'ammontare che verrebbe prelevato raggiungerebbe il 20-30% dei depositi.

giovedì 17 maggio 2012

Crisi euro, in Spagna e Grecia, banche e bancomat presi d'assalto

Madrid come Atene: tutti in coda agli sportelli delle banche per ritirare i risparmi. I clienti di Bankia hanno prelevato più di 1 miliardo di euro dei loro depositi.
da:WSI
MADRID - Madrid come Atene: tutti in coda agli sportelli delle banche per ritirare i risparmi. I clienti di Bankia hanno prelevato più di 1 miliardo di euro dei loro depositi, dopo che il Governo spagnolo ha salvato la banca in difficoltà la scorsa settimana. Secondo quanto scrive il quotidiano El Mundo, i numeri sono stati presentati al cda della banca ieri. Il management avrebbe riferito al consiglio che Bankia la scorsa settimana ha perso un ammontare di depositi paragonabile a quelli prelevati nell'intero primo trimestre dell'anno, cioè 1,16 miliardi. I depositi presso l'istituto di credito spagnolo a fine marzo ammontavano a 112 miliardi di euro. La banca ha sofferto pesanti perdite legate all'ampia esposizione al mercato immobiliare spagnolo. Il Governo la scorsa settimana ha preso il controllo del 45% dell'istituto di credito.

di Marco Pasciuti

ROMA - L’allarme non è scattato, «ma c’è il timore che la paura possa trasformarsi in panico», si legge nelle minute dell’incontro di ieri tra il presidente Papoulias e i leader politici. La paura è quella di uscire dall’eurozona, che negli ultimi giorni ha spinto i greci a ritirare dalle banche un miliardo di risparmi. Come avvenne 11 anni fa in Argentina, poi travolta dalla crisi dell’inizio dello scorso millennio.
In sociologia si chiama «profezia che si autoadempie». E’ una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa. Se ad esempio si diffonde la voce che una banca è insolvente, i correntisti correranno a ritirare i loro soldi, la banca diventerà davvero insolvente e fallirà. E’ l’incubo che in queste ore sta vivendo la Grecia. A fallire in questo caso potrebbe essere l’intero Paese. Per ora l’assalto alle banche non c’è stato, ma molti greci agli sportelli ci sono andati, hanno preso i loro risparmi e sono usciti, per timore che un eventuale passaggio euro-dracma possa abbatterne il valore: secondo dati ufficiali, negli ultimi 3 giorni sono stati 800 i milioni ritirati dai conti correnti. La cifra sale oltre quota 1,2 miliardi secondo fonti citate dal Financial Times, su un totale depositi che ammonta a 165 miliardi. Numeri che fanno dire ai banchieri che non ci saranno problemi di liquidità.
Quella che fino a pochi mesi fa era un tabù, la fuoriuscita del Paese dalla moneta unica, ora è diventata uno scenario possibile. «La nostra preferenza è che la Grecia rimanga nell’eurozona», ha detto il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi. «Credo che l'euro possa reggere anche senza Atene», gli ha fatto eco il ministro dello Sviluppo italiano, Corrado passera. Nelle stesse ore il rendimento dei titoli decennali greci sfondava per la prima volta la soglia del 30% e il tasso sul decennale ellenico schizzava al 30,23%, con lo spread Atene-Berlino a 2.878 punti base.
Il presidente della Commissione Ue, Barroso, riporta la lente d’ingrandimento sulla situazione politica ad Atene: il prossimo voto, fissato per il 17 giugno, «avrà un significato storico». Alle urne lo scontro sarà tra due fronti: il centrodestra, favorevole alla permanenza nell’euro, e una sinistra dalle posizioni più incerte. Nel mezzo, i socialisti di quel Pasok sconfitto il 6 maggio. Ma il panorama potrebbe variare ancora. La Coalizione delle Sinistre, dice un sondaggio di martedì, potrebbe ottenere anche il 32% delle preferenze, che in Parlamento si tradurrebbero in circa 146 seggi (151 su 300 sono necessari per formare il governo).
Nel pomeriggio, intanto, Papoulias ha dato l’incarico ufficiale a Pikramenos - 67 anni, di Patrasso - che ha subito cominciato a redigere la lista dei ministri del governo di transizione che gestirà l’ordinaria amministrazione sino al voto. 


SMENTITE. I banchieri, da parte loro, minimizzano affermando che non c'è stato sinora alcun assalto alle banche e che non ci sarà. Come non ci saranno problemi di liquidità perchè, spiegano sempre i responsabili degli istituti finanziari, nei conti di aziende e privati cittadini nelle banche greche sono depositati oltre 165 miliardi di euro. Dal canto suo, il presidente della Bce Mario Draghi, alla domanda se l'uscita della Grecia dall'euro lo preoccupa, ha tagliato corto con un «no comment», insistendo sul fatto che la Bce vuole fortemente che la Grecia resti nell'euro, anche se non spetta a Francoforte decidere. Quasi nelle stesse ore, però, il rendimento dei titoli decennali greci ha sfondato per la prima volta la soglia del 30% ed il tasso sul decennale ellenico è schizzato al 30,23% con lo spread Atene-Berlino a 2.878 punti base.

REAZIONI. Preoccupato è apparso invece il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, il quale - commentando la notizia delle nuove elezioni - ha detto che ora spetta ai greci prendere «consapevolmente le loro decisioni», ma è bene che sappiano che il loro prossimo voto «avrà un significato storico». La Commissione vuole che la Grecia resti nell'euro - ha aggiunto - ma, ha avvertito, «non c'è un'alternativa meno dolorosa al programma di risanamento concordato con l'Ue» e che rispetto a questo «non è possibile alcun passo indietro». La Grecia, comunque, va verso queste nuove elezioni in un clima di grande polarizzazione e pieno di incognite. Dalle prime dichiarazioni dei leader politici si capisce che alle urne lo scontro sar… fra due fronti: quello di centro-destra, nettamente a favore della permanenza della Grecia nell'Ue e nell'eurozona, e quello di sinistra, con posizioni non molto chiare che rischiano di mettere in forse il futuro europeo del Paese. Nel bel mezzo della mischia, incapace di reagire, si troverà il socialista Pasok, il grande sconfitto al voto del 6 maggio.

CAMBIAMENTI. Inoltre, a causa della forte polarizzazione della campagna elettorale, il panorama politico del Paese potrebbe subire di nuovo altri radicali cambiamenti. La Coalizione delle Sinistre (Syriza, radicale, di Alexis Tsipras), in base ad un sondaggio di ieri, potrebbe ottenere anche il 32% delle preferenze che in Parlamento si tradurrebbero in circa 146 seggi (151 su 300 è la maggioranza necessaria per formare il governo). Per questo oggi Antonis Samaras, leader di Nea Dimocratia (ND, centro-destra) ha incontrato Dora Bakoyannis (leader della minuscola Alleanza Democratica), da lui stesso espulsa da ND due anni fa, nel tentativo di riassorbirla con altri transfughi nel partito o quanto meno di fare fronte comune contro Syriza. Stamani, durante la riunione con i leader dei partiti per concordare il nome del nuovo premier, Papoulias aveva proposto (appoggiato da ND e Pasok) di estendere il mandato di Lucas Papademos fino al voto, ma si Š scontrato con l'opposizione di Tsipras.

INCARICO. Nel pomeriggio il capo dello Stato ha dato l'incarico ufficiale a Pikramenos - 67 anni, di Patrasso - il quale ha subito cominciato a redigere la lista dei ministri del governo di transizione che gestirà l'ordinaria amministrazione sino al giorno del voto. Tra i primi nomi diffusi ci sono quelli di Petros Moliviatis, ex diplomatico e collaboratore del premier Costas Karamanlis, che va agli Esteri; Christos Geraris, ex presidente del Consiglio di Stato e predecessore di Pikramenos, che va alla Giustizia, e Frangkos Frangkoulis, ex capo di Stato Maggiore che va alla Difesa. Stasera il neo premier ha giurato nel corso di una cerimonia al palazzo presidenziale alla quale ha preso parte, come vuole la tradizione, anche l'arcivescovo di Atene e tutta la Grecia, Ieronimos. Domattina sarà invece la volta dei nuovi ministri e un'ora dopo si svolgerà in Parlamento la cerimonia del giuramento dei deputati risultati eletti lo scorso 6 maggio. L'Assemblea sarà quindi disciolta ed avrà di nuovo inizio la campagna elettorale.