venerdì 29 giugno 2012

Merkel in ritirata, Monti strappa anche lui il risultato e un patto sullo 'scudo anti-spread'

WSI-TMNEWS

Merito della linea dura scelta dal premier, con la decisione di bloccare il patto sulla crescita finché non è stato ottenuto anche lo scudo anti-spread. I Paesi virtuosi potranno chiedere di utilizzare i fondi salva-Stati per acquistare titoli di Stato e contenere i tassi di interesse, e non dovranno sottostare a controlli aggiuntivi da parte della troika. Euro in rialzo +1%. Il premier: la trattativa "è stata dura", ma "il risultato è buono".


Roma - L'Italia incassa dal vertice europeo lo scudo anti-spread: i Paesi virtuosi potranno chiedere di utilizzare i fondi salva-Stati per acquistare titoli di Stato e contenere i tassi di interesse, e non dovranno sottostare a controlli aggiuntivi da parte della troika. E l'Italia, almeno per il momento, non intende ricorrere a questo strumento.

L’euro registra l’avanzata intraday più forte da inizio 2012, arrivando sino a +1,5% contro il dollaro, tornando dunque prossimo alla soglia di $1,26. Alle 7.40 italiane +1,17% a $1,2584.

Mario Monti esprime tutta la sua soddisfazione per le misure deliberate dal Consiglio Europeo "dopo una lunga discussione" anche con "momenti duri". Ma se "il processo è stato duro", è anche vero che "il risultato è stato buono". E' stato introdotto un meccanismo di stabilizzazione dei mercati - spiega Monti al termine della notte di trattative - per quegli Stati membri che rispettano le raccomandazioni specifiche al loro Paese, il Patto di stabilità e altri criteri, come l'Italia in questo momento rispetta.

E la novità importante è che Paesi che volessero usufruire di questi interventi dovrebbero naturalmente chiederli ma se osservano tutte le condizioni non dovranno sottoporsi ad uno specifico programma: dovranno firmare un memorandum of under standing ma non avranno la troika, e dovranno continuare ad adempiere alle condizioni alle quali già adempiono". Monti ha spiegato che "la Bce interviene come agente: vuol dire che per assicurare una efficiente gestione l'Efsf e l'Esm agiranno nel mercato come titolari di queste operazioni di acquisto e vendita di titoli, attraverso la Bce come agente che ha una familiarità con le condizioni di mercato e una capacità operativa che il Fondo salva-Stati non ha".

La trattativa "è stata dura", ma "il risultato è buono". Mario Monti lascia il Consiglio Europeo decisamente soddisfatto per le decisioni prese. Merito della linea dura scelta dal premier, con la decisione di bloccare il patto sulla crescita finché non è stato ottenuto anche lo scudo anti-spread.

"C'è stato un momento molto difficile ieri - ha spiegato Monti - perchè pur riconoscendoci pienamente e con soddisfazione nel patto per la crescita l'Italia ha impedito la sua approvazione seduta stante perché per noi era prioritario anche affrontare le misure a breve termine per la stabilità". Una mossa "molto utile" perché alla fine "misure soddisfacenti per la stabilizzazione sono state deliberate: la diretta ricapitalizzazione delle banche da parte dei Fondi senza passare attraverso il bilancio pubblico", e il meccanismo anti-spread a condizioni soddisfacenti per l'Italia.

Dunque ora Monti può dire che "abbiamo raggiunto l'accordo sul patto per la crescita, sulle prime linee di lavoro sul futuro dell'unione economica e monetaria, e sulle misure a breve per la stabilizzazione della zona euro. Il tutto è molto positivo per la zona euro e per l'Europa". Ma è molta anche la "soddisfazione" dell'Italia per "il ruolo molto importante riconosciuto agli investimenti pubblici, la forte valorizzazione del mercato unico, e si accenna ad una 'pista' per gli eurobond".
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Dopo ore di negoziati, accolta la richiesta avanzata con forza da Italia e Spagna. Dal summit Ue in corso a Bruxelles, accordo per frenare il rialzo del costo del prestito per Italia e Spagna. Il fondo di salvataggio verrà utilizzato per stabilizzare il mercato dei bond ed evitare costi di finanziamento eccessivamente onerosi per i paesi dell’Eurozona.

I paesi che beneficeranno di questo aiuto dovranno semplicemente siglare un memorandum d’intesa, nella quale vengano specificati gli impegni che verranno presi e le scadenze per il raggiungimento degli obiettivi, dunque senza il controllo della Troika o altri organi, come invece è il caso di Grecia, Irlanda e Portogallo.

"Il percorso è stato lungo e duro, ma i risultati sono molto buoni", ha detto il Primo ministro italiano Monti, soddisfatto degli accordi raggiunti ad ora, ricordando che allo stato attuale l’Italia non ha bisogno di alcun aiuto.

Raggiunto l’accordo anche per l’utilizzo del fondo permanente di salvataggio per la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà (dunque senza andare ad incrementare il deficit dei paesi membri), oltre alla creazione di un organo unico di supervisione delle banche europee entro fine anno, un passo verso una unione bancaria.

Il Presidente Ue Herman Van Rompuy ha definito tale accordo come un "grosso traguardo". Le banche potranno essere ricapitalizzate direttamente.

Nella prima parte del meeting Italia e Spagna si erano opposte all’introduzione del pacchetto pro-crescita da €120 miliardi, nel tentativo di rompere la barriera tedesca di opposizione a misure di aiuto per rilassare la pressione nel mercato dei bond.

Il meeting ha evidenziato proprio questa divergenza di opinione tra i paesi nordici e quelli più al centro della crisi, con i primi che puntano su riforme strutturali di lungo periodo, mentre i secondi che chiedono risposte urgenti per placare le tensioni nei mercati che portano in forte rialzo il costo di finanziamento.

giovedì 28 giugno 2012

RBS nella bufera: 12 milioni di clienti con depositi bloccati. E non solo

WSI
Conti bloccati per 6 giorni, apparentemente per "problemi tecnici". L'imbarazzo del numero uno che rilascia un comunicato e parla di "duro lavoro da compiere". E intanto il colosso sarebbe indagato per manipolazione del Libor.



New York - Non stanno facendo certo parlare bene di sé, in queste ore, i grandi colossi della finanza mondiale. Tra gli scandali più recenti, oltre a quello che continua a investire JPM - alle prese con ingenti perdite legate alle operazioni di finanza leggera che essa stessa ha messo in atto -, c'è anche quello della britannica Royal Bank of Scotland. Che è finita a dir poco nella bufera in quanto, per ben sei giorni, ben 12 milioni di clienti non hanno avuto accesso ai loro conti, totalmente bloccati, apparentemente per "problemi tecnici".

In poche parole, i correntisti non sono riusciti a prelevare contante, sono rimasti a secco. Grande imbarazzo per il numero uno della banca, l'amministratore delegato Stephen Hester che, con un primo comunicato, ha parlato "di un duro lavoro" da compiere per risolvere la situazione. Una situazione che potrebbe costare all'istituto di credito decine di milioni di sterline.

Intanto RBS, il cui titolo registra oggi un tonfo di quasi -12%, finisce nei guai anche per un'altra questione. Il suo nome appare infatti in un report citato dal Ministro delle Finanze britannico George Osborne, secondo cui la banca, insieme a Citigroup, UBS e HSBC avrebbe tentato di manipolare il Libor, il tasso benchmark su cui si basando transazioni per migliaia di miliardi di dollari. Facendo dunque la stessa cosa che ha fatto Barclays, multata ieri con $452 milioni.

Confindustria lancia l'allarme: «Crisi come guerra, colpite parti vitali del Paese»


corriere.it

Tagliate le stime del pil: per il 2012 al -2,4% (dal -1,6%). Un milione e mezzo di posti lavoro persi a fine 2013

L'immagine metaforicamente rende l'idea. Lo stravolgimento epocale post Lehman Brothers assomiglia a uno scenario economico da ricostruzione post conflitto bellico. Ecco perché - anche «se non siamo in guerra» - i «danni economici fin qui provocati dalla crisi sono equivalenti a quelli di un conflitto e a essere colpite sono state le parti più vitali e preziose del sistema Italia», rileva il centro studi di Confindustria. Settori trainanti come il tessile e il manifatturiero, soprattutto l'automotive, ma anche la farmaceutica e i settori di nicchia del made in Italy come l'arredamento e il design, l'alta moda, funzionano se puntano sulla domanda estera, soffrono drammaticamente se intercettano i consumi domestici.
ABISSO PIL - «Siamo nell'abisso», dichiara senza mezze misure il capoeconomista di Confindustria, Luca Paolazzi, illustrando le stime di via dell'Astronomia sul Pil tagliate rispetto alle precedenti previsioni: per il 2012 al -2,4% (dal -1,6%); per il 2013 al -0,3% (dal +0,6%). La recessione è «più intensa», la ripresa è ora attesa «dalla seconda metà del 2013».
DISOCCUPAZIONE - Il 2013 si chiuderà con un milione e 482mila posti di lavoro in meno dal 2008, inizio crisi (in termini di unità di lavoro equivalenti a tempo pieno) era -1 milione e 276mila a inizio 2012. La disoccupazione salirà al 10,9% a fine 2012 e toccherà il record del 12,4% nel quarto trimestre 2013 (13,5% con la Cig).
LA CRISI DELL'EURO - L'esito del Consiglio europeo di giovedì e venerdì - aggiunge lo studio di Confindustria - «è cruciale» per il futuro. Occorrono misure «per fermare e invertire la "disunione" creditizia da tempo in atto e che sta provocando un violento credit crunch proprio nei paesi maggiormente impegnati nello sforzo dei conti pubblici». Secondo Viale dell'Astronomia «è indispensabile cambiare strategia, mantenendo la barra dritta sul risanamento con misure strutturali che agiscano nel tempo e non impediscano di sostenere nell'immediato la domanda».
IL FISCO - La pressione fiscale effettiva - per effetto delle politiche di stabilizzazione del debito e i piani di rientro per rispondere alle tensioni sui debiti sovrani - «toccherà il 54,6% del Pil» nel 2013. Stima che «include l'aumento dell'Iva pronto a scattare dal 1 ottobre prossimo».
IL PIOMBO - La burocrazia è l'altro tema rilevante, su cui le elaborazioni della maggiore associazione datoriale del Paese pongono la loro attenzione:«Liberare l'Italia dal piombo della burocrazia è la via maestra per riportare il Paese su un alto sentiero di sviluppo», scrive Confindustria. Secondo le stime degli economisti di via dell'Astronomia «una diminuzione dell'1% dell'inefficienza della pubblica amministrazione è associata ad un incremento dello 0,9% del livello del Pil pro-capite». Per Confindustria «la rivoluzione del modo di operare della pubblica amministrazione è vitale per il rilancio dell'economia e per il percorso riformista del Paese».
LA CORRUZIONE - Tesi confermata anche dal procuratore generale presso la Corte dei Conti, Salvatore Nottola, nel giudizio sul Rendiconto generale dello Stato che punta il dito anche contro l'evasione e la corruzione: «L'interesse per il fenomeno corruttivo - ha aggiunto il procuratore - è dato dagli ingiusti costi che esso provoca all'economia e dalla necessità di individuazione dei possibili rimedi sia per la prevenzione, sia per la reintegrazione del patrimonio. I costi immediati o diretti, costituiti dall'incremento della spesa dell'intervento pubblico: c'è una lievitazione straordinaria che colpisce i costi delle grandi opere, calcolata intorno al 40 per cento».
Fabio Savelli28 giugno 2012 | 12:42

lunedì 25 giugno 2012

Schäuble e il dossier di Berlino: «Se crolla l’euro l’economia tedesca cadrà del 10%»


Il ministro tedesco dell' Economia: «No alla disintegrazione, ci saranno 5 milioni di disoccupati A rischio anche viaggiare»

BERLINO — È un vero incubo il futuro economico della Germania, e con lei di tutta l’eurozona, se la moneta unica dovesse crollare. A tracciare i dettagli di questo scenario pauroso è uno studio dei tecnici del ministero delle Finanze tedesco, il gigantesco palazzo della Wilhelmstrasse, già quartier generale di Hermann Göring e dell’amministrazione militare sovietica, dove ora regna Wolfgang Schäuble, uno dei protagonisti dell’europeismo tedesco. Il rapporto è stato rivelato, nei punti fondamentali, dal settimanale «Der Spiegel», che ha citato un funzionario del ministero, secondo il quale «di fronte a queste prospettive, anche un salvataggio dell’euro a caro prezzo appare come il minore dei mali».
IL DOCUMENTO - L’articolo dello «Spiegel», intitolato «Uno sguardo sull'abisso », è corredato da una serie di dati che confermano indicazioni «molto tetre» per tutti i Paesi dell’eurozona. In un grafico, una freccia nera indica l’aumento della disoccupazione nel primo dei due anni successivi alla eventuale fine della moneta unica, mentre una freccia rossa indica la contrazione dell’economia. E molti di questi valori percentuali, nei vari Stati, superano la doppia cifra, in particolare per quanto riguarda le nazioni più esposte, come per esempio l’Italia, dove il tasso di disoccupazione salirebbe al 12,3 per cento. Ma anche la locomotiva tedesca, e questo è il vero punto critico dello studio degli uomini di Schäuble, verrebbe pesantemente danneggiata. L’economia della Germania subirebbe una caduta del 9,2 per cento mentre il numero dei disoccupati salirebbe al 9,3 per cento.
DISOCCUPAZIONE - I senza lavoro supererebbero i 5 milioni, una cifra quasi doppia rispetto a quella attuale Il ministero della Finanze tedesco non ha smentito né confermato le rivelazioni dello «Spiegel », secondo cui il documento è stato tenuto fino a oggi riservato nel timore che i costi delle iniziative per salvare l’euro uscissero fuori da ogni controllo. «Non prenderemo parte a speculazioni su presunti rapporti segreti», ha detto una portavoce. Ma a fianco dell’articolo del settimanale di Amburgo, in una lunga intervista, è lo stesso Schäuble ad avvertire che una disintegrazione «sarebbe assurda» e che l’unione monetaria, non solo non è stato assolutamente un errore, come gli era stato chiesto, ma è stata la «logica conseguenza» dell’integrazione comunitaria. Il ministro, esponente di punta del partito cristiano democratico che fu di Helmut Kohl, avverte inoltre che una rottura della zona euro rimetterebbe in questione conquiste che sono ormai entrate nel patrimonio acquisito di tutti i cittadini, come il mercato unico e la libera circolazione.
PAREGGIO DI BILANCIO - Le rivelazioni sui calcoli che si sono fatti a Berlino sulle conseguenze di un collasso della moneta unica arrivano proprio in una settimana decisiva per il futuro europeo, con il vertice dei Ventisette che sarà chiamato il 28 e 29 giugno a trovare delle ricette in grado di contribuire a superare la crisi. In realtà, la linea cauta di Angela Merkel—convinta della necessità di non distaccarsi da un rigido controllo delle discipline di bilancio, contraria alla condivisione dei debiti con i Paesi meno virtuosi dell’eurozona, indisponibile a provvedimenti per stimolare la crescita che si traducano in nuove spese—è sempre partita dalla premessa, almeno a parole, di un impegno prioritario per la difesa della moneta unica. «La fine dell’euro — è stata una delle frasi più frequenti della cancelliera — sarebbe la fine dell’Europa». Intanto, sempre questa settimana, alla vigilia del summit di Bruxelles, Schäuble presenterà la nuova legge finanziaria che prevede nel 2013 il pareggio di bilancio. Questo dato era stato anticipato da alcuni istituti di ricerca, che avevano avvertito però nello stesso tempo delle pesanti conseguenze per i conti pubblici tedeschi di una escalation della crisi europea. In tutti i casi, insomma, la Germania non può dormire sonni tranquilli.
Paolo Lepri25 giugno 2012 | 8:57

Bri: banche centrali senza bacchetta magica, i problemi persistono

WSI
I governi avrebbero dovuto fare di più con gli strumenti fiscali a disposizione. Interventi monetari hanno ormai solo benefici lievi e di breve periodo. Circolo vizioso, rischiano di essere pericolosi.



New York - Gli istituti centrali dei paesi industrializzati hanno ormai sempre meno potere e capacità di stimolare la ripresa economica globale. Raggiunto un circolo vizioso dove maggiori stimoli monetari vogliono ormai dire maggiori problemi. Tocca ora ai governi, a lungo fermi, fare la loro parte. È quanto si legge nel report annuale pubblicato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri).

"Le banche centrali sono state praticamente forzate a introdurre nuovi stimoli monetari. I governi non hanno fatto altro che trascinarsi i problemi e rimandare le soluzioni", si legge nel report. "Misure monetarie accomodanti, convenzioni e non, corrono il rischio di perdere efficacia e hanno i loro limiti".

Nel grafico di fianco spiegata la trasmissione monetaria, il circolo vizioso per cui ormai ulteriori stimoli monetari vogliono dire nuovi problemi. Durante questa fase di rallentamento economico i vari governi sono stati poco efficaci nell’utilizzare gli strumenti di politica fiscale a disposizione. L’eccessivo interventismo degli istituti centrali ha poi portato ad esacerbare questa fase negativa.

"Ci sono dei chiari limiti a quello che le banche centrali possono fare. È diventato ormai critico, per il bene di tutto il sistema economico, che interrompano questa fase di interventi", ha detto Stephen Cecchetti, consigliere Bri. Praticamente quello che possono fare è guadagnare del tempo nel breve periodo.

"Sempre meno e incerti i benefici che derivano da misure monetarie accomodanti. In contemporanea crescono i rischi legati a un continuo aumento dei bilanci", ha detto Jaime Caruana, general manager della Bri.

venerdì 22 giugno 2012

Squinzi: attenzione, con il default dell'euro, il Pil crollerà 25-50%

wsi
Il presidente di Confindustria lancia l'allarme, parlando delle conseguenze che colpirebbero le quattro maggiori economie dell'Eurozona. In ciascuna di esse, "svanirebbero tra i 6 e i 9 milioni di posti di lavoro". Centinaia di banche fallirebbero. Effetti più gravi di quelli del crack Lehman.


Roma - "L'eventualità di un default porterebbe, soltanto nel primo anno, un crollo del Pil tra il 25 e il 50%" nelle quattro maggiori economie dell'eurozona. A lanciare l'allarme è il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, citando le simulazioni del centro studi di viale dell'Astronomia in occasione del convegno 'Europa federale, unica via d'uscita'. 

Sempre in base a tali simulazioni con il default dell'euro "svanirebbero tra i 6 e i 9 milioni di posti di lavoro" in ciascuna delle maggiori economie dell'Eurozona e "i deficit e i debiti pubblici raggiungerebbero valori da immediata insolvenza, perfino in Germania", ha aggiunto. Dunque "i dati purtroppo parlano chiaro: se non si agisce subito con fermezza, l'alternativa che si prospetta è delle più nere", ha chiarito Squinzi. 

Secondo le stime del Csc citate da Squinzi, la disgregazione dell'eurozona "condurrebbe rapidamente al fallimento di decine di migliaia di imprese e di centinaia di banche, alla perdita di milioni di posti di lavoro, all'esplosione di deficit e debiti pubblici nazionali". E del resto "le conseguenze a livello globale di un dissolvimento dell'euro - ha avvertito Squinzi - sarebbero molto più gravi di quelle successive al crac di Lehman Brothers". 

Per il numero uno di Confidustria la crisi che stiamo attraversando può essere considerata "irreversibile per un modello economico che ha retto il mondo occidentale per oltre due secoli". 

L'Europa, a questo punto, "può sostenere il confronto solo se compete come sistema, pena la marginalità - ha sottolineato - rispetto ai grandi del pianeta". Per questo "nessuno Stato, nemmeno la Germania, potrà avere ruoli attivi nelle nuove configurazioni che si stanno costruendo nell'economia mondiale", ha concluso.

Per Squinzi "la vera scelta è di stare tutti insieme in una Europa che sia veramente unita". E se la realizzazione di questo percorso "irto di ostacoli, ma essenziale per salvare questa nostra Unione europea - ha aggiunto - si vuole definire con l'espressione 'Stati Uniti d'Europa' allora usiamo questa espressione senza timore". 

Proprio per questa ragione Squinzi ha ricordato di aver invocato, nei giorni scorsi, "la buona politica, materia che scarseggia - ha aggiunto - e di cui avremmo estremo bisogno, nella considerazione che o ci salviamo tutti insieme o non si salva nessuno".

mercoledì 20 giugno 2012

G20: la resa dell'Europa agli Usa. "Piano di aiuti a Spagna e Italia"

lastampa


Come anticipato ieri da Wall Street Italia, e dopo le insistenze di Obama, il progetto sarà discusso il 28 giugno a Bruxelles. "Già pronti 745 miliardi" dal fondo salva-stati ESM per i bond di Madrid e Roma, anche se Monti minimizza: "il tema degli aiuti per noi non si pone proprio". Invece, e' proprio l'Italia ad aver chiesto HELP.


LOS CABOS - L'Italia non ha bisogno di un salvataggio, sul modello di Grecia, Irlanda o Portogallo, ma con gli altri europei sta discutendo la possibilità di usare le risorse del fondo salvastati per acquistare i titoli dei paesi in difficoltà e quindi abbassare il costo dei loro interessi. Lo ha detto il presidente del Consiglio Mario Monti, alla fine del vertice G20.

Wall Street Italia e il Financial Times avevanoanticipato la notizia, scrivendo che durante i colloqui Monti aveva proposto di usare i 440 miliardi del fondo Efsf per acquistare titoli dei paesi dell’Eurozona che hanno problemi. La cancelliera tedesca Merkel, però, era rimasta fredda. Il Daily Telegraph ha allargato il tema, scrivendo che Italia e Spagna hanno chiesto un vero e proprio bail-out da 745 miliardi di euro. «Questa notizia - ha chiarito Monti - è sbagliata. E’ vero invece che, tra le altre opzioni, abbiamo discusso la possibilità di usare le risorse del fondo salva stati per premiare i paesi più virtuosi, come l’Italia, con dei livelli meno abnormi di spesa per l’indebitamento. Di questo continueremo a discutere nell’incontro a quattro che avremo a Roma il 22 di giugno, e poi nel vertice europeo di fine mese».

La soluzione per la crisi europea non era attesa al G20 di Los Cabos, ma qualche passo nella direzione preferita dall’Italia c’è stato. L’accerchiamento della Merkel ha spostato l’agenda globale verso la crescita, e il documento finale prevede anche interventi per stimolare la domanda interna. Il resto si giocherà nei prossimi dieci giorni, per adottare misure concrete al Consiglio europeo del 28.

Monti ha detto che «ci siamo molto impegnati perché il documento del G20 riflettesse quella che è anche la posizione italiana, e cioé un maggior accento sulla crescita da porre come necessità». Il professore ha invitato a non fare distinzioni tra chi favorisce gli interventi strutturali o sulla domanda: «Il tema del mio discorso è stato il bisogno di un forte rilancio della crescita, ma non a scapito degli equilibri di bilancio. La nostra posizione è dare più spazio agli investimenti pubblici». Il premier ha aggiunto che ritiene «inutile perdersi in dibattiti ideologici tra chi vuole uno stimolo alla domanda e chi politiche strutturali. L’Italia favorisce politiche di offerta strutturalmente corrette, riconoscendo insieme che c’è bisogno di domanda». La strada da seguire è quella degli «investimenti rispetto ai consumi», e chiede alla Ue che le spese per gli interventi pubblici non siano contabilizzate nel deficit. La bozza del G20 sposa questa linea, quando dice che «se le condizioni economiche dovessero peggiorare significativamente, quei Paesi che hanno margine di manovra di bilancio sono pronti a realizzare misure fiscali discrezionali a sostegno della domanda interna».

Stesso discorso dove dice che gli europei «sono determinati a muovere speditamente verso misure per la crescita, mantenendo il fermo impegno a realizzare un consolidamento fiscale che va valutato su base strutturale».

Dunque il premier ha notato progressi, nonostante le voci di divergenze con Angela Merkel: «Ognuno in Europa, come una sorta di Gps, si muove riposizionandosi, e le decisioni saranno prese nei prossimi giorni. Un importante avvicinamento è il quadrilaterale a Roma di dopodomani», che riunirà proprio Merkel, Hollande, Rajoy e Monti. Il professore ha ricordato che i problemi dell’Europa «sono seri, ma non l’unico squilibrio nell’economia mondiale. Nella Ue siamo proiettati verso una sempre maggiore organizzazione, per una risposta alla crisi ed una maggiore integrazione». Sullo sfondo rimangono gli squilibri nei bilanci americani: «Pur essendo un tema noto e ricordato da tutti, anche da Obama, è stato considerato meno stringente di quello europeo». Ma la soluzione della crisi è più Europa, come chiede Roma, anche attraverso nuove misure come la messa in campo del fondo salvastati. (articolo di Paolo Mastrolilli)

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lunedì 18 giugno 2012

Summit Ue: senza accordo fiscale, via Italia e Spagna

wsi
Se alla riunione del Consiglio Europeo di fine giugno passa la linea di Angela Merkel l'area euro si sfaldera'. Europa a un vicolo cieco: Bundesbank, Merkel e Hollande hanno 10 giorni per scendere a compromessi. L'opinione di Wolfgang Munchau del Financial Times.



New York - Se tra 10 giorni alla riunione dell'Eurogruppo passa la linea di ferro di Angela Merkel, la cancelliera tedesca, allora l'area euro si sfaldera', con Italia e Spagna che abbandoneranno il blocco a 17.

E' l'opinione di Wolfgang Munchau, editorialista di punta del Financial Times, secondo cui i leader dell'Eurogruppo si trovano in un vicolo cieco. La Bundesbank ha gia' fatto sapere di essere contraria alla costituzione di un'unione bancaria, almeno fino a quando non verra' prima formata una unione fiscale completa.

Da parte sua Merkel non ha alcuna intenzione di appoggiare il progetto di unione fiscale senza che prima non venga avviata la formazione di un'unione politica. E François Hollande ha escluso l'ipotesi di un'unione politica senza un'unione bancaria.

Se nessuno riuscira' a interrompere questo ciclo vizioso in cui il gatto si morde la coda, l'eurozona si sfaldera'. I leader dell'Unione Europea hanno 10 giorni per sciogliere il nodo. 

La soluzione piu' ovvia sarebbe quella di accordarsi per impostare tutti i piani sopracitati in contemporanea: un'unione bancaria, fiscale e politica. Non e' escluso che sia proprio quello che succedera'. Ma perche' avvenga Merkel deve fare piu' di una concessione, deve proprio fare dietrofront. Altrimenti Italia e Spagna se ne andranno dall'Eurozona.

giovedì 14 giugno 2012

Eurozona, la grande fuga dei capitali

In Italia e Spagna, ma anche in Germania e Francia o in Spagna, il comportamento dei cittadini è inequivocabile. Ormai ci si prepara alla fine dell'euro. Esodo dei flussi dai paesi del sud verso le banche del Nord.
Roma - La grande ritirata ha avuto inizio circa quattro anni fa, ogni tanto accelera e solo di rado rallenta. Ma non si ferma mai. Non accenna in nessun momento, almeno per ora, a invertire il senso di marcia. È la ritirata del denaro: silenziosa e poco visibile per i cittadini, è la grande forza che sta mettendo alla prova centinaia di milioni di lavoratori e imprese nel continente.

Gli addetti ai lavori lo chiamano «sudden stop», arresto improvviso. Si trattasse di un corpo umano, sarebbe un infarto che impedisce al sangue di raggiungere le membra e alcuni degli organi vitali. Con l'euro questo fenomeno prende la forma di una fuga degli investitori esteri da qualunque parte dell'area e non solo dalla cosiddetta «periferia» composta da Italia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia. 

In realtà un po' ovunque banche e imprese stanno rimpatriando i fondi e i conti bancari dagli altri Paesi d'Europa verso il proprio Paese d'origine: il fenomeno della rinazionalizzazione dei capitali colpisce la Germania quanto l'Italia, la Francia come la Spagna; se Spagna e Italia ne soffrono più di Germania o Francia, è semplicemente perché le economie dell'Europa del Sud hanno molto più bisogno di capitali esteri per finanziare i propri debiti e così continuare a funzionare. 

È come se l'invisibile ragnatela del denaro che tiene unita l'area monetaria, l'infrastruttura dell'euro, si stesse sfaldando e ritraendo mese dopo mese. Chi ha bisogno del denaro altrui per vivere, perché ha troppi debiti, avverte questo fenomeno come una carenza di liquidità che rallenta i pagamenti, soffoca le imprese, distrugge i posti di lavoro.

Ma più questa infrastruttura dell'euro si ritrae, più si estende un secondo processo patologico: in certi Paesi deboli dell'area, i risparmiatori temono che le banche o lo Stato non reggano il colpo, non si fidano più e decidono di mettere in sicurezza i propri soldi. Decidono di portarli altrove. 

Nasce così l'altro fenomeno, parallelo al grande rimpatrio dei fondi: in Grecia o in Spagna, a Cipro o in Irlanda i cittadini e le imprese chiudono i loro conti in banca e portano i soldi in Germania, in Lussemburgo, in Olanda o anche in Francia. In Italia i deflussi di depositi di qualche mese fa si sono fermati, poi c'è stato un netto recupero da febbraio a aprile, anche se ora si aspettano dati affidabili su maggio e giugno.

Le due correnti, rimpatrio dei fondi e fuga dei capitali, viaggiano allo stesso tempo e sono alimentati da un timore comune: che l'euro un giorno potrebbe non esserci più; ma sono proprio queste due correnti che ne mettono in pericolo la sopravvivenza, ed è l'incertezza che ne deriva a sua volta alimenta i flussi perversi di capitale.

La spirale si può spezzare, occorre un accordo al massimo livello politico come lo fu Maastricht nel '91. Ma i dati della Banca centrale europea e quelli della Banca dei regolamenti internazionali mostrano che l'avvitamento è in corso ed è partito quando in Occidente l'accumulo di debito è arrivato a livelli insopportabili. 

Tutto è iniziato nella prima metà del 2008, alla vigilia del collasso di Bear Stearns e Lehman Brothers negli Stati Uniti. Dal marzo al giugno di quell'anno ha raggiunto il record di sempre l'esposizione delle banche francesi e tedesche sull'Italia (rispettivamente 531 e 269 miliardi di dollari), ma anche di quelle tedesche sulla Spagna (211 miliardi) o di quelle italiane su Francia e Germania (rispettivamente 88 e 427 miliardi di dollari). 

Da allora la crisi e poi i timori per il futuro dell'euro hanno suonato la grande ritirata per tutti. Alla fine del 2011 le banche francesi avevano ridotto i loro investimenti sull'Italia del 37%, cioè di duecento miliardi di dollari (84 miliardi solo negli ultimi sei mesi del 2011). Nel frattempo le banche tedesche hanno tagliato la loro esposizione sull'Italia del 50% e sulla Spagna del 53%. Solo da Germania e Francia su Italia e Spagna, si è consumato un rimpatrio di capitali sulla scala colossale di 600 miliardi di dollari in tre anni. Gli spread sui titoli di Stato sono esplosi così.

Di certo francesi e tedeschi erano preoccupati per la tenuta del debito dell'Italia o della Spagna, ma non è il solo motivo. A ben vedere, le banche italiane si sono comportate esattamente allo stesso modo: dal 2008 al 2011 hanno tagliato i loro investimenti in Germania del 46% (cioè di ben 200 miliardi di dollari) e in Francia del 54%. 

Ognuno è tornato con i propri soldi in casa propria, come se non si fidasse più di restare altrove nell'area-euro. Perché? Due ragioni: le autorità nazionali di controllo, dalla Bafin tedesca alla Banca d'Italia, hanno spinto in questo senso; ma soprattutto le banche (e le imprese) hanno deciso che forse in un giorno molto vicino l'euro non esisterà più, quindi è più sicuro tenere le proprie attività e le proprie passività tutte dentro la stessa giurisdizione nazionale, in modo da evitare rischi futuri con un tasso di cambio fluttuante fra l'Italia e la Germania, o la Spagna e la Francia: meglio non avere debiti in una moneta che si rivaluta e introiti in una moneta debole.

È questo comportamento che sta sfaldando l'infrastruttura dell'unione monetaria, in un panico che si autoalimenta. Il risultato è che l'Italia, la Spagna, il Portogallo, l'Irlanda o la Grecia hanno perso gli investitori privati esteri nel loro debito e faticano a finanziarsi. 


La tabella al centro, elaborata da Jean Pisani-Ferry e Silvia Merler del centro-studi Bruegel, mostra che i fondi privati dall'estero verso l'Italia sono crollati nell'ultimo anno di 200 miliardi: circa il 14% del Pil. Fuori dall'Italia, non ci sono più compratori privati di Bot o Btp. Li ha dovuti sostituire la Bce, comprando direttamente titoli di Stato oppure prestando alle banche italiane perché lo facessero. Il risultato è che nel sistema dei pagamenti interno alle banche centrali europee federate nella Bce, chiamato «Target 2», l'Italia o la Spagna sono sempre più in debito e la Germania sempre più in credito (tabella sopra).




E i conti in banca delle famiglie e delle imprese? Lì la grande fuga ha preso una forma diversa. Dalla Grecia sono defluiti il 16% dei depositi bancari fra marzo 2011 e marzo 2012, in tutto il 30% dal 2009: è già più di quanto accadde in Argentina con il default. In Spagna l'emorragia dei depositi è stata del 4-5% fino a marzo scorso e da allora è certamente proseguita. E in Italia? Secondo le stime della Bce, i depositi nel marzo di quest'anno erano del 2% superiori rispetto a un anno prima. Ma esistono delle fragilità: un principio di ritiri dai conti correnti alla fine dell'anno scorso fa sì anche ancora a primavera scorsa i depositi bancari italiani fossero dello 0,7% al di sotto dei livelli massimi raggiunti nel dicembre del 2010.

Molti in Italia, in Germania, in Francia o in Spagna si stanno comportando come se temessero la fine dell'euro. Cercano di prepararsi alla fine dell'unione monetaria. Ed è così che la stanno rendendo possibile.
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mercoledì 13 giugno 2012

Fate Presto sig.ra Merkel


Che cosa fare con i risparmi?

da: Corriere.it

Dai Btp ai conti di liquidità, come mettersi al riparo

Banche, e' un crollo epocale. Unicredit -75% in un anno

wsi

Scontano l'esposizione ai Btp, al rialzo dei tassi e al peso del debito sovrano del paese, che Deutsche Bank definisce una "minaccia potenzialmente letale". Valori di mercato a prezzi infimi.CHART Ftse Italia Banche: negli ultimi 12 mesi -56,28%.

Roma - Banche italiane in pericolo, il loro valore di mercato non smette di crollare dagli inizi dell'anno. Motivo: i sell off continui che colpiscono il settore, esposto al mercato dei titoli di stato italiani, dunque al problema debito Italia. Dagli inizi del 2012 i numeri sulla performance dei titoli bancari scambiati sul Ftse Mib sono da vero bollettino di guerra. 

Il valore di mercato di Unicredit, tanto per fare un esempio, e' ormai di soli 14,2 milardi di euro e la paura per l'impatto delle norme di Basilea III unita alla crisi del settore finanzairio spagnolo stanno spingendo gli analisti a scongliare di investire nel settore. "Suggeriamo agli operatori di mantenere un approccio improntato alla cauteale sulle banche italiane, anche nel caso di un rally a breve termine", ha scritto in una nota ai clienti Kian Abouhossein, analista di JPMorgan Chase. 

Tra i fattori citati dall'analista le questioni del debito sovrano, i problemi di regolamentazione sui requisiti di capitale e l'incapacita' di reperire finanziamenti sui mercati.

L'esposizione al debito sovrano italiano incomincia a fare pura: da novembre a fine aprile e' aumentata di un terzo a quota 295 miliardi, rendendo i gruppi finanziari piu' dipendenti dalla solidita' fiscale e finanziaria del governo. Ieri i rendimenti sui titoli a dieci anni sono saliti di 13 punti base a quota 6,16%, i massimi dal 31 gennaio.

D'altronde dopo il salvataggio a suon di 100 miliardi di euro della Spagna e delle sue banche, ora crescono i timori sul futuro dell'Italia. Gli analisti di Citi descrivono la gravità della situazione italiana senza usare mezzi termini, parlando di "posizione fiscale insostenibile" e di una situazione che "potrebbe diventare velocemente critica, visto che il paese è altamente vulnerabile al rischio che la crisi persista o si intensifichi". Per Citi, "l'Italia probabilmente dovrà chiedere aiuti esterni".

Severo anche il giudizio di Thomas Mayer, tecnico di Deutsche Bank, che avverte che, nel caso in cui l'Italia continuerà a far fronte a problemi di finanziamento sui mercati (e questo sta già accadendo, visto che i costi per rifinanziare il debito sono in forte crescita), allora l'Unione europea potrebbe trovarsi di fronte a una minaccia potenzialmente letale". 

Detto questo, la situazione creditizia degli istituti italiani ricorda piu' da vicino quella del Giappone e non quella della vicina Spagna, come gia' sottolineato dall'agenzia di rating Fitch. Anche perche', al contrario dei principali gruppi iberici, il settore nostrano non e' esposto alla bolla della speculazione immobiliare.

Ecco dunque che si spiega la situazione critica del settore bancario, descritta chiaramente dai numeri, i quali non lasciano spazio a interpretazioni alternative. In generale, l'indice settorialeFtse Italia Banche ha registrato negli ultimi 12 mesi un calo del -56,28%, scendendo nell'ultimo mese di quasi -10%. 

Banco Popolare - Nell'ultimo mese le quotazioni hanno fatto -8,75%, perdendo in un anno -42,57%.

MPS - Nell'ultimo anno valore più che dimezzato, con perdite -69,80%. Ultimo mese: -19,67%. 

Banca Popolare di Milano - Calo -6,54% in un mese, in un anno -37,80%.

Intesa SanPaolo - In un anno le quotazioni hanno perso -42,48%; nell'ultimo mese flessione -5,41%. Ultimi sei mesi: -15,79%. 

Unicredit - Tonfo del titolo, in un anno -75,19%. In un mese -13,87%, negli ultimi sei mesi -51,20%. 

Ubi Banca - Titolo -45% a un passo, -23,39% in 6 mesi, -5,68% a 1 mese.

Il piano B di Bruxelles "Se la Grecia esce dall'euro bloccare tutti i bancomat"


L'Eurogruppo studia l'ipotesi peggiore

MARCO ZATTERIN
corrispondente da bruxelles
Non succede, ma se succede sono pronti. L’Ue è convinta del meglio, pensa che la Grecia non uscirà dall’Eurozona, eppure non può fare a meno di ragionare sul peggio.

Lo chiamano «worst case scenario», la prospettiva peggiore possibile, Atene che cambia leadership politica, rompe i patti e dice addio a Bruxelles.

E’ necessario stimare anche quella. Fra le misure allo studio anche la limitazione d’imperio del prelievi ai bancomat, la reimposizione dei controlli di frontiera e anche di una ritorno alla piena e stretta vigilanza sui movimento di capitale all’interno dell’Eurozona. Tutto per evitare contagio, panico e ulteriore crisi.

Il voto greco fa paura. Se la coalizione della sinistra radicale, Syriza, dovesse affermarsi alle elezioni di domenica, esiste una possibilità (remota) che il nuovo governo faccia saltare il tavolo. Alexis Tsipras, il capo del raggruppamento, l’ha minacciato con decisione sino a qualche settimana fa.

Ora la sua retorica s’è fatta più conciliante, però la richiesta di ammorbidimento delle misure imposte da Bruxelles in cambio del salvataggio miliardario appare sistematicamente nei suoi discorsi. Le fonti europee negano che si possa trattare sul rigore.

In realtà, gli osservatori ritengono che - dopo la tornata elettorale - uno sconto ellenico è scritto nelle stelle. Come l’anno in più concesso per il risanamento alla Spagna.

Ciò non toglie che si lavori al piano, o ai piani, B. Ne ha dato diffusamente notizia ieri l’agenzia Reuters sottolineando anche lei che nessuna delle fonti ritiene che la fatica avrà un senso pratico. Il lavoro avviene in seno al comitato di lavoro dell’Eurogruppo, compagine formata dalle seconde linee politiche dei ministeri delle Finanze e dai direttori degli stessi.

Le opzioni sono state discusse nel dettaglio, si apprende. Come ha detto il ministro dell’Economia belga, Steven Vanackere, «fa parte del compito dei governi quello di essere pronti per ogni evenienza».

Ecco lo schema. Se la Grecia dovesse uscire dall’Eurozona, la Bce si troverebbe immediatamente costretta a interrompere i finanziamenti sul mercato della liquidità. Nel giro di una notte il sistema bancario fallirebbe. Con lui, le imprese. La conseguenza più evidente sarebbe una corsa dei correntisti alle filiali per recuperare il proprio denaro.

E’ per questo che si è pensato di intervenire sulla liquidità disponibile agli sportelli automatici e alla circolazione dei capitali, cosa che potrebbe essere estesa anche alle persone, dunque con vincoli per i patti di Schengen. La traccia, in fondo, servirebbe a rendere impossibile un impazzimento dei denari e una diffusione rapida del malessere oltre il confine greco. Anche la Svizzera, lo scorso mese, ha detto di essere pronta a introdurre nuove misure di controllo sui capitali.

Le fonti sottolineano che si tratta di opzioni teoriche per le quali non è nemmeno chiaro se esista la base legale. L’Unione monetaria è un matrimonio che non prevede divorzio. Da questo deriva che se la Grecia, o un altro paese, pensassero di lasciare il club, la procedura andrebbe inventata.

«La banca centrale non è al corrente di questo nostro lavoro» - ha detto alla Reuters una fonte greca. L’Eurogruppo tecnico ne ha parlato una teleconferenza il 21 maggio, ma i contatti sono giornalieri. «Se non ci fossero - ha commentato una fonte europea - dovreste essere anche più preoccupati».

martedì 12 giugno 2012

Ecco il piano per chi esce dall'euro

wsi
Controllo di capitali, limiti ai prelievi dai bancomat e frontiere bloccate. Queste alcune delle misure che hanno studiato in gran segreto i servizi tecnici dell'Unione Europea


New York - Le autorita' finanziarie europee hanno pronto un piano per chi esce dall'euro. Il peggior scenario possibile, se Atene dovesse decidere di abbandonare l'area della moneta unica, prevede che le autorita' dell'Eurozona assumano il controllo dei capitali della nazione. A questo si andrebbe ad aggiungere l'imposizione di limiti alla possibilita' di prelevare dagli sportelli bancomat e il blocco delle frontiere. 

Lo hanno riferito alcune fonti Ue a Reuters, che ha pubblicato un report esclusivo ripreso da La Repubblica. Il quotidiano riporta le misure di emergenza ipotizzate dai servizi tecnici e non i dettagli di un piano gia' messo in pratica.

Le iniziative sarebbero state discusse segretamente dai dirigenti dei ministeri del Tesoro e delle banche centrali, probabilmente sotto l'avallo della stessa Grecia.

Le elezioni del prossimo 17 giugno sono ormai alle porte e il futuro dello stato ellenico e' appeso a quel voto. Se dovesse vincere la sinistra anti-europeista di Syriza, la nazione firmerebbe la sua uscita dall'euro. Normale che, riferiscono le fonti, i funzionari Ue si stiano affrettando a preparare piani di emergenza. 

Nel caso di elezione di un partito diverso dai socialisti e dal centro destra di Nuova Democrazia, e' molto probabile che Atene rinneghera' il piano di aiuti Ue-Fmi e che pertanto si veda costretto ad abbandonare la valuta.

Lagarde: "Meno di tre mesi" per salvare l'euro

di: WSI-TMNews-Agi
Il direttore del Fondo monetario internazionale (Fmi), in un'intervista a Christiane Amanpour della Cnn, risponde a George Soros. Non ha tuttavia voluto fare previsioni su una possibile uscita della Grecia dall'Eurozona.


Roma - Sono rimasti "meno di tre mesi" di tempo per salvare l'euro: è quanto ha detto Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale (Fmi), in una intervista a Christiane Amanpour, celebre giornalista della Cnn.

Con queste parole Lagarde ha risposto a George Soros, il finanziere americano di origine ungherese che nel 1992 guadagno' oltre un miliardo di dollari speculando sulla sterlina, per il quale "le autorità europee hanno un margine di tre mesi per correggere i propri errori e invertire l'attuale inerzia".

Nell'intervista Lagarde non ha voluto fare previsioni su una possibile uscita della Grecia dall'Eurozona. "Sarà una questione di determinazione politica", ha detto.

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Trento, 2 giugno - Le autorita' Ue hanno tre mesi di tempo per assumersi la responsabilita' della crisi e invertire la tendenza, prima che sia troppo tardi. Lo ha sottolineato il finanziere George Soros, ospite del Festival dell'Economia di Trento.

"La responsabilita' della crisi e' in primo luogo della politica, non dei mercati finanziari - ha detto Soros - la salvezza dell'Europa passa dunque necessariamente per una piu' piena assunzione di responsabilita' politica, in particolare da parte della Germania".

Ma, secondo il magnate, "abbiamo solo tre mesi per farlo, prima che la situazione precipiti; la dinamica che si e' creata mette a rischio la stessa esistenza dell'Unione. Questa e' quella che io chiamo la 'bolla politica' della crisi".

"I paesi creditori dell'Unione europea, Germania in testa - ha proseguito Soros - hanno costruito un sistema bacato, e ne stanno scaricando i costi sulle 'periferie', Grecia in testa".

Ad avviso dell'esperto di finanza e filantropo internazionale, "la Germania ha accresciuto la propria competitivita' mentre altri paesi, grazie alla facilita' di accesso al credito, sono diventati meno competitivi e dal 2008 in poi hanno accresciuto il proprio disavanzo".

lunedì 11 giugno 2012

Italia senza fondi paga 50 miliardi per salvare banche altrui

Una spirale che si avvita su se stessa di esborsi, per evitare il crack agli altri PIIGS (Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo) con denaro che non abbiamo. E poi ci sono le altre tre rate di versamenti pro-quota del capitale dell'Esm entro la metà del 2014. All'Italia sarebbe richiesto un contributo aggiuntivo pari al 19,8% dei 100 miliardi.



ROMA - Ed ora si sono aggiunte le banche spagnole nella lista degli aiuti europei. È una buona notizia se si guarda all'auspicabile reazione positiva dei mercati al via libera di Bruxelles al sostegno del sistema del credito iberico in difficoltà. Ma è anche un nuovo impegno per tutti i Paesi dell'Eurozona. Non c'è da stupirsi quindi che - in attesa di conoscere i dettagli dell'accordo, che diventerà operativo solo dopo la decisione dell'Ecofin convocato per il 20-21 giugno - al ministero dell'Economia abbiano cominciato a fare i conti su quanto questo nuovo aiuto peserà sul bilancio.

Finora le cifre sono state in salita: nel 2010 il sostegno ai Paesi in difficoltà è costato all'Italia 3,9 miliardi, lo 0,3% del Pil. Nel 2011 la somma degli esborsi è salita a 9,2 miliardi (lo 0,6% del Pil) di cui 3,2 miliardi, 1,6 ciascuno, per gli aiuti a Irlanda e Portogallo erogati tramite il Fondo salva Stati europeo (Efsf-European Financial Stability Facility) ed il resto, 6,1 miliardi di prestiti diretti alla Grecia.

Nel 2012 il governo stima di concedere finanziamenti complessivi in favore di Grecia, Irlanda e Portogallo per 29,5 miliardi che saranno sempre erogati dall'Efsf. In più bisogna conteggiare i versamenti per la sottoscrizione della quota italiana al capitale dell'Esm, (l'European Stability Mechanism), il meccanismo permanente destinato a sostituire il vecchio Fondo salva Stati. Si tratta di circa 5,6 miliardi da versare in due rate. C'è da vedere, a questo punto, se i 100 miliardi di aiuti alle banche spagnole richiederanno un nuovo intervento, appesantendo il conto dell'Italia. Stando all'ipotesi su cui a Bruxelles e Madrid si sta lavorando, non dovrebbe, perché il finanziamento verrebbe dato a valere sul nuovo Esm che dovrebbe partire in luglio. Diversamente sarebbe se invece a scattare fossero ancora le regole dell'Efsf, perché si richiederebbe all'Italia un contributo aggiuntivo pari al 19,8% dei 100 miliardi.

In ogni caso il calcolo è già salato così, 48,2 miliardi di euro di esborsi entro il 2012 senza contare quindi le altre tre rate di versamenti pro-quota del capitale dell'Esm entro la metà del 2014. Nonché l'impegno per l'esaurimento degli aiuti già programmati dall'Efsf. Tanto per dare una cifra della crisi che l'Europa sta attraversando, secondo la sintesi elaborata dalla Banca d'Italia nella sua relazione all'Assemblea del 31 maggio, nel 2011 sono stati erogati prestiti per 110 miliardi di cui 74,9 da parte di Paesi e istituzioni finanziarie europei e 35,1 da parte del Fmi, di cui 34,5 a favore dell'Irlanda, 34 del Portogallo e 41,5 alla Grecia.

Nella prima parte del 2012 sono stati concessi ulteriori prestiti per 102,7 miliardi (91,8 europei e 10,9 del Fmi): 13,8 miliardi per l'Irlanda, 14,3 per il Portogallo e 74,6 per la Grecia. Complessivamente sono stati concessi più di 244 miliardi di prestiti a fronte di piani di sostegno che prevedono finanziamenti fino al 2016 per 391 miliardi. Cifre imponenti che testimoniano le difficoltà nella difesa dell'Eurozona. E che da quando la crisi si è aggravata fanno guardare con apprensione ad ogni riapertura dei mercati, ad inizio settimana. Quella di oggi non fa eccezione. Anche se è proprio puntando ad alleggerire gli umori degli investitori che ieri è stato raggiunto l'accordo sulle banche spagnole.

L'attesa è alta, come i timori, anche se il segnale dato, secondo molti esperti, è forte. Non tanto e non solo perché risponde alle aspettative che hanno condizionato quotazioni e prezzi nelle ultime due settimane. Ma perché spezza il legame tra finanziamenti europei e debito degli Stati. Il meccanismo individuato per Madrid (aiuti che transitano sul fondo iberico di ristrutturazione bancaria, Frob) interviene direttamente sul settore creditizio e non coinvolge lo Stato e il suo debito. Con l'effetto di non portare alla richiesta di misure di austerità al governo ma solo, come finora è emerso, di impegni di risanamento del settore bancario.

Le preoccupazioni e le previsioni buie certo non mancano, come quelle che esprime Citigroup su un possibile immediato contagio dell'Italia, ma ci sono anche analisi più positive come quella della Morgan Stanley. Il Tesoro, comunque, è fiducioso su un allentamento delle tensioni sui tassi dei titoli di Stato e sugli spread con i Bund tedeschi. Perlomeno per la parte che riguarda la Spagna, visto che per la definizione di uno scenario più disteso occorre aspettare il voto in Grecia e soprattutto le intese politiche in Europa. Quanto alle banche italiane, le incognite sui debiti sovrani possono coinvolgerle, ma sono nel complesso più solide delle spagnole e Bankitalia afferma che rispetteranno gli impegni di ricapitalizzazione chiesti entro giugno dall'Eba, l'autorità di vigilanza europea, e imposti, con l'inizio del prossimo anno, dall'accordo di Basilea3.

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