venerdì 30 novembre 2012

Crollo utili banche Ue

da italia oggi


I principali gruppi bancari europei hanno chiuso i primi 6 mesi del 2012 con un utile netto aggregato di 26,1 miliardi di euro, -30,2% rispetto al primo semestre del 2011 e pari al 10,4% dei ricavi totali. Il margine di intermediazione è diminuito del 6% a 250,2 miliardi di euro per la caduta del margine d'interesse (-3,4%) e soprattutto delle commissioni nette (-14,6%). È quanto emerge dallo studio di R&S Mediobanca sulle 20 principali banche europee per totale attivo, compresi i due maggiori gruppi italiani (UniCredit (EUREX: C2RI.EX - notizie) e Intesa Sanpaolo (Dusseldorf: 575913.DU - notizie) ).
Il crollo si è appesantito nei primi 9 mesi, con l'utile netto in calo del 37,8% a 23,99 miliardi (considerando i dati di solo 18 banche), mentre il margine di intermediazione è diminuito dell'1,7% e le rettifiche su crediti sono scese del 4,5%.
Questo nonostante il 2011 fosse appesantito da svalutazione di titoli governativi greci per 9,1 miliardi e di avviamenti per 8,7 miliardi (essenzialmente da parte di Unicredit, tanto che senza considerare l'istituto milanese l'utile netto complessivo per le rimanenti società risulterebbe addirittura dimezzato). Sui risultati del 2012, spiega lo studio R&S, ha inciso ancora l'applicazione della «fair value option», con un apporto negativo per 20 miliardi. Solo sei istituti sui 18 considerati hanno registrato al 30 settembre un marginale miglioramento dell'utile netto. Inoltre, le maggiori banche europee detenevano, a fine giugno, circa 276 miliardi di euro in titoli di stato emessi dai 5 paesi cosiddetti Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), ovvero 49 miliardi in meno rispetto ai 325 miliardi di fine giugno 2011. Per l'aggregato, le più vistose diminuzioni hanno riguardato i titoli di stato italiani (-22,5 mld) e greci (-19,7 mld).

giovedì 29 novembre 2012

prova

Prova

Asta Bot a 6 mesi, il tasso torna sotto l'1% dopo due anni

COLLOCATI TITOLI PER 7,5 MILIARDI DI EURO

In crescita la domanda, pari a 1,65 volte l'offerta contro le 1,52 volte di ottobre (quando il tasso era risultato pari all'1,347% lordo annuo)

Torna sotto la soglia dell’1% per la prima volta dopo due anni il rendimento medio lordo del Bot a sei mesi. Oggi il il Tesoro italiano è riuscito a collocare 7,5 miliardi di euro di titoli (il massimo previsto) a un tasso medio lordo pari allo 0,919%, contro l’1,347% pagato lo scorso ottobre. In crescita la domanda, pari a 1,65 volte l’offerta contro le 1,52 volte dell’asta precedente.

martedì 27 novembre 2012

Pubblicità Ogni Mese Mediolanum



Per altre informazioni : Ogni Mese Mediolanum

Banche cambiano idea: Italia potrebbe essere la sorpresa positiva

di Francesco Manacorda - lastampa

Nonostante la posizione pericolante delle banche, il chief economist di Goldman Sachs Jim O'Neilldice di "scommettere sull’Italia". Nel 2013 come i BRIC. In estate aveva venduto i Btp. Deutsche Bank convinta che Roma guidera' la ripresa dell'Eurozona. A cosa si deve la svolta?

Milano - Crediamo che l’Italia possa diventare una sorpresa positiva nel 2013, specie considerando il basso livello da cui parte e le opinioni negative che la circondano». Firmato Jim O’ Neill, che per i non addetti ai lavori è il «guru» degli investimenti del colosso bancario americano Goldman Sachs. 

Dunque, mentre la fiducia dei consumatori italiani è ai minimi da oltre tre lustri e il barometro della crescita pare fisso sul segno meno, a vedere la luce in fondo al tunnel non è un politico in vena di ottimismo, ma un nome di gran peso a Wall Street. 

La nostra economia, spiegano infatti O’ Neill e i suoi analisti, potrebbero dare presto soddisfazioni perché «anche se la recessione continua, i nostri indicatori più recenti per l’Italia suggeriscono che abbiamo oltrepassato il punto più basso del ciclo» economico. Dette dall’uomo che è passato alla storia della finanza anche per aver coniato nel 2001 l’acronimo Bric - ossia Brasile, Russia, India e Cina, considerati all’epoca, e non solo all’epoca, i mercati emergenti con più alte prospettive di crescita - sono parole incoraggianti. 

Anche perché, guardacaso, nel suo studio mensile appena pubblicato Goldman Sachs torna proprio ai Bric in una versione leggermente rieditata e per noi inedita: «Crediamo che il mercato azionario cinese possa finalmente correre e che le azioni in Russia, Brasile e Italia possano andare anch’esse bene». Solo qualche anno fa essere inseriti in questo pacchetto di mischia avrebbe rischiato di provocare l’incidente diplomatico. Adesso, quasi inutile dirlo, non c’è imprenditore o azionista che non speri di vedere l’Italia accomunata a quei Paesi, nuovi Eldorado della crescita globale. 

La scommessa italiana di Goldman Sachs è tanto più significativa se si pensa che appena cento giorni fa - era agosto - la stessa banca aveva annunciato un taglio drastico alla sua esposizione sue debito sovrano italiano: dai 2,5 miliardi di dollari in Bot e Btp che aveva in portafoglio alla fine del secondo trimestre era passata a soli 191 milioni di dollari al termine del terzo trimestre. Come a dire una riduzione del 92%

E’ vero che le dinamiche dei titoli di Stato - e le preoccupazioni sulla loro affidabilità - non hanno necessariamente un legame diretto con l’andamento dell’economia reale. E di sicuro, tra le alte muraglie che Goldman Sachs ha certamente eretto tra i suoi settori, gli uomini della ricerca economica non influenzano quelli che si occupano di debito sovrano. Ma resta il fatto che la stessa banca che ad agosto scaricava sul mercato l’Italia adesso avvisa che da queste parti potrebbe esserci qualche sorpresa positiva. 

Non aspettatevi però un esercizio di cieco ottimismo da Goldman Sachs, che del resto non si sbilancia in previsioni puntuali sulla crescita italiana, limitandosi a pronosticare uno 0,2% per il Pil della zona euro nel 2013 e un 1,5% l’anno successivo. Nel suo studio la banca mostra come l’Italia, sola tra i Paesi della periferia dell’euro, non sia riuscita in questo decennio a ridurre il costo del lavoro relativo per unità di prodotto. «Il rischio» per la possibile crescita, si avverte, «è il ritmo a cui vengono applicate le riforme strutturali», in particolare quelle sul mercato del lavoro.

Non sono i soli, comunque, gli americani, a consigliare ai loro clienti di scommettere sul nostro Paese. Solo poche settimane fa anche gli analisti finanziari di Deutsche Bank hanno scritto che«l’Italia guiderà la ripresa della zona euro». Il ragionamento, semplificando all’estremo, è che i prestiti delle banche alle imprese si sono ridotti sensibilmente, ma al tempo stesso le aziende hanno ridotto in modo sostanziale le loro scorte. Un doppio rallentamento a cui bisognerà mettere presto mano e che, secondo gli analisti della banca tedesca, «potrebbe rimettere l’Italia sulla strada della crescita. E crediamo che là dove va l’economia italiana, anche l’economia europea seguirà». Anche in questo caso un bel cambio di rotta, visto che un anno e mezzo fa la Deutsche Bank aveva ridotto repentinamente - un taglio dell’88% - la sua esposizione in titoli di Stato italiani. 

Le grandi banche e i loro analisti non sono infallibili - il caso Lehman Brothers e i giudizi espressi fino alla vigilia del suo crollo stanno là a ricordarcelo - ma mentre l’industria vive con un’orizzonte breve, che in Italia appare per molti ancora plumbeo, la finanza cerca sempre di gettare lo sguardo un po’ più avanti per individuare possibili guadagni. C’è da sperare che questa volta siano buoni profeti. 

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Goldman Sachs e la paura di Unicredit

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"Unicredit Scare": così scrive Bloomberg. La banca d'affari americana sta disertando le varie offerte lanciate dall'istituto di Piazza Cordusio, oltre a quelle di altri istituti sudeuropei.

New York - Goldman Sachs prende le distanze dalle banche europee. Nel pieno della crisi di liquidità, l’istituto americano sta rifiutando offerte di finanziamenti nei confronti delle principali banche italiane e spagnole per paura di andare incontro a forti perdite nelle attività delle due economie periferiche europee.

Fonti ben informate hanno riferito che Goldman si è finora rifiutata di partecipare al finanziamento pari a 2,5 miliardi di euro del Banco Popular Espanol, che ha visto come protagoniste Jp Morgan e Morgan Stanley.

Sempre nel corso dell’anno, l’istituto statunitense non ha sottoscritto la vendita di azioni dell’italiana Unicredit e della portoghese Banco Espirito Santo, di cui si sono fatte carico Bank of America e Citigroup. 

Sul sistema bancario italiano, oggi, Fabio Panetta, vice direttore generale di Bankitalia, durante il suo intervento al convegno 'Banche, valore e riflessioni sul sistema' organizzato dall'associazione degli analisti finanziari Aiaf ha detto che "sembra caratterizzato da eccesso da capacita produttiva". 

Di conseguenza, ha aggiunto, "interventi decisi su costi e struttura distributiva difficilmente potranno essere evitati nel prossimo futuro". Anche perché, ha precisato, le nuove norme richiedono più capitale, penalizzano il trading, il costo del funding "difficilmente scenderà ancora sui livelli precrisi".

domenica 25 novembre 2012

Risultati Record per il gruppo Mediolanum

Chiusi i primi 9 mesi dell'anno con un utile in salita del 380%

 

ASCA - Roma, 8 nov - Corrono i profitti di Mediolanum che nei primi 9 mesi realizza un utile netto di 291,5 milioni di euro con una progressione del 380% sullo stesso periodo dell'anno scorso. Mediolanum ha inoltre proceduto alla svalutazione della partecipazione in Mediobanca pari a 66 milioni di euro. Escludendo l'operazione l'utile netto sarebbe stato di 357 milioni.

Il cda di Mediolanum inoltre ha deliberato la distribuzione di un acconto sul dividendo di 0,10 euro per azione. La societa' indica che i risultati dei primi 9 mesi ''confermano l'eccellente andamento del business, e sono stati positivamente influenzati dal forte aumento anno su anno dei ricavi ricorrenti (commissioni di gestione e margine da interessi), delle commissioni di performance, e dei proventi da investimenti al fair value''.

L'utile netto del mercato domestico e' stato pari a 280,1 milioni, +335% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.

Il totale delle masse gestite e amministrate si e' attestato a 50.804 milioni, in crescita del 13% rispetto al 30 settembre 2011 e del 10% da inizio anno.

Piu' nel dettaglio, relativamente a Banca Mediolanum la raccolta netta e' stata positiva per 1.928 milioni complessivi. Particolare attenzione merita il dato di raccolta netta di Fondi e gestioni, positiva per 1.351 milioni, in netta controtendenza con il resto del mercato.


venerdì 23 novembre 2012

Anche i BRICS perdono i colpi. Sudafrica in difficoltà?

da: http://intermarketandmore.finanza.com/anche-i-brics-perdono-i-colpi-sudafrica-in-difficolta-51078.html


Il rallentamento non è solo visibile nei mercato sviluppati (core) ma anche nei mercati emergenti. Già abbiamo parlato della Cina (la quale però ultimamente sembra ripartire con vigoria). Ma in linea di massima un po’ ovunque i tassi di crescita sono meno buoni rispetto al passato.
E se si parla di mercati emergenti, il pensiero di tutti va subito al BRIC (Brasile, Russia, India, Cina). A questi quattro, la comunità economica internazionale ha aggiunto un quinto stato, il Sudafrica, molto noto anche ai risparmiatori italiani soprattutto per il rand sudafricano, la valuta locare conosciuta come ZAR.
In realtà, se i BRIC originari, non sono più tonici come una volta ma restano ancora protagonisti, un occhio di riguardo lo merita appunto il Sudafrica. Ma non in chiave positiva.
Per la cronaca, il Sudafrica è uno dei pochissimi (Argentina a parte) ad avere un merito creditizio in peggioramento ().
Al momento è ancora investment grade ma attenzione, il rischio di essere declassato a junk bond è molto elevato.

Grafico : al momento non ci sono problemi però…


Anche se al momento il CDS è tranquillo, non si possono ignorare una serie enorme di problemi. Certo, una buona parte di questi sono “storici” ma altri sono assolutamente attuali.
a) La dipendenza dall’esportazione di oro e materie prime,
b) la criminalità e le tensioni sociali,
c) una disoccupazione che non accenna a diminuire e
d) la forte disuguaglianza di reddito,
e) la corruzione e il malgoverno,
f) la sindacalizzazione e la rigidità del mercato del lavoro,
g) un clima di investimento sfavorevole culminato in nuove minacce di nazionalizzare le società minerarie.
A questi elementi storici, andiamo però ad aggiungerci alcuni dati molto più rcenti.

Sostenibilità del debito

Un rapporto fra debito del governo centrale e PIL intorno al 43% – o al 60% comprese le garanzie fornite alle aziende di Stato – può sembrare gestibile, ma il dato non riflette le crescenti passività di amministrazioni locali e municipali. È difficile ottenere dati precisi sull’indebitamento dei governi locali, ma la situazione finanziaria di diverse municipalità appare insostenibile, senza contare le gravi falle del sistema informatico per cui migliaia di fatture non risultano contabilizzate. Anche le utility pubbliche, inefficienti nella gestione e nell’esazione delle bollette, vantano ingenti crediti nei confronti degli utenti. Le stesse amministrazioni locali sono a volte in arretrato con i pagamenti per beni e servizi forniti dalle aziende idriche o da altre società pubbliche e private. Come in Grecia e in Italia, tali arretrati possono rappresentare una porzione significativa del “debito” pubblico, solitamente ignorata dalle statistiche ufficiali.

Limitato margine di bilancio

Secondo uno studio di Fitch, il 90% della spesa pubblica sudafricana è destinata alle partite correnti, come retribuzioni, sussidi e interessi: resta quindi ben poco da stanziare agli investimenti a lungo termine a favore di una crescita sostenibile. Nello stesso tempo, risulta limitata la capacità di assorbire un eventuale marcato aumento dei costi di finanziamento o possibili shock esogeni. In questo contesto, il fatto che il 90% del debito pubblico sia denominato in valuta locale indica una minore vulnerabilità a una brusca variazione del tasso di cambio. Tuttavia, ora che buona parte del debito è in mani straniere, la volatilità dei cambi potrebbe avere un impatto notevole sulla capacità di rifinanziamento del Sudafrica.

Il sostegno implicito al settore bancario aumenta il passivo dello Stato

Un’altra questione critica riguarda la separazione fra Stato e settore bancario. Sinora l’opinione pubblica e molti investitori hanno sempre dato per scontato l’appoggio del governo ai cinque maggiori istituti di credito, che insieme rappresentano il 90% dei depositi. Di qui, il ritardo nell’introduzione di assicurazioni sui depositi, per non parlare di riforme di sistema come quella relativa ai regimi di risoluzione. Il settore bancario, quindi, resta essenzialmente una “sopravvenienza passiva” nel bilancio dello Stato. Le banche locali hanno a loro volta contratto forti debiti all’ingrosso e acceso prestiti a breve scadenza, sviluppando una notevole dipendenza dai depositi monetari in valuta locale di assicuratori e fondi pensione interni. Tali soggetti hanno così assunto una massiccia esposizione al settore bancario, confidando appunto nell’intervento del governo, se necessario.
Soffermiamoci un attimo su questi dati. Se al debito pubblico attuale si aggiungono ulteriori passività pari a circa il 90-100% del PIL per sostenere le banche (e anche di più, qualora assicurazioni e fondi pensione avessero bisogno di aiuto a causa della concentrazione degli investimenti nel settore bancario), lo Stato si ritrova chiaramente con un onere insostenibile. Il Sudafrica si sta gradualmente rendendo conto che non può proseguire questa politica di implicito sostegno alle banche e nello stesso tempo mantenere il rating investment grade: le due cose sono incompatibili, come hanno scoperto anche tanti Paesi europei. Tuttavia, l’introduzione di un programma di risoluzione che eviti al contribuente di farsi carico delle banche richiede una radicale riforma strutturale, che contempli l’assicurazione sui depositi, la conversione delle passività all’ingrosso e una riduzione del bilancio, tutte misure certamente impopolari nell’immediato.

Deficit delle partite correnti

Nonostante il boom delle commodity dello scorso decennio, e nonostante il fatto che il 42% delle esportazioni attuali è costituito da materie prime, dal 2003 il Sudafrica presenta un disavanzo delle partite correnti. Per di più, la mancanza di investimenti in settori chiave come quello minerario non solo ha causato recenti proteste dei lavoratori, ma ha anche contribuito a un calo della produttività e della competitività proprio in aree vitali per l’economia sudafricana (un rappresentante del Tesoro incontrato a inizio anno ha citato i mancati investimenti come uno dei problemi più gravi del Paese e le recenti tensioni non incentiveranno certo gli investimenti esteri diretti). Nel frattempo, il consumo di prodotti finiti di importazione è progressivamente aumentato in seguito al calo della produttività interna in questi ambiti. La sempre maggiore dipendenza dalle esportazioni di oro, che rappresentano il 25% del totale, nonché dalla Cina, verso cui si dirige il 15% dell’export, rendono il Paese sempre più vulnerabile a eventuali shock esterni. In particolare ci preoccupa la dipendenza dalla Cina, che a nostro parere attraversa una fase di rallentamento strutturale anziché ciclico, come abbiamo già spiegato. Se la nostra tesi è corretta, ci saranno importanti ripercussioni sulla domanda globale di hard commodity e materie prime e, quindi, sui Paesi esportatori. Anche in questo caso, il Sudafrica presenta evidenti analogie con l’Australia.

Ma il Sudafrica merita ancora il rating di Investment grade?

Certo, i quattro punti sopra illustrati valgono in minore o maggior misura per vari Paesi avanzati e in via di sviluppo, ma alla luce di quanto osservato il Sudafrica non sembra certo meritare il rating investment grade. Se anche le agenzie di valutazione sposano questa tesi – e dagli ultimi interventi si direbbe di sì – le implicazioni per il debito sudafricano e il mercato dei cambi potrebbero essere rilevanti.
Il Sudafrica è appena entrato nel noto indice Citi World Government Bond (il che gli è valso abbondanti sottoscrizioni da parte degli investitori esteri), ma sarebbe costretto a uscirne con grande imbarazzo se venisse retrocesso a debito spazzatura. Ne conseguirebbe un aumento – anche brusco – dei tassi di interesse sia per lo Stato che per banche e imprese, oltre a un possibile crollo del rand (il Sudafrica ha poche riserve con cui intervenire sui mercati FX).
Se il Sudafrica venisse declassato, che cosa succederebbe sui mercati obbligazionari emergenti? In termini di effetti diretti, data una ponderazione del 10% nell’indice del debito emergente in valuta locale, un’ipotetica flessione del 10% per il rand e del 5% per i prezzi delle obbligazioni comporterebbe una perdita dell’1,5%. L’impatto sugli indici del debito sovrano in valuta estera e dei corporate bond sarebbe invece inferiore in quanto è minore il peso del Sudafrica in tali benchmark (solitamente il 2-4%). Gli effetti indiretti non sono quantificabili; nella migliore delle ipotesi verrebbero colpiti altri Paesi africani (molti dei quali con deficit delle partite correnti anche più ampi), che però rappresentano appena una piccola parte degli indici del debito emergente. Gli investitori potrebbero inoltre riscoprire i rischi idiosincratici delle piazze emergenti e altre regioni sarebbero contagiate.
Non sopravvalutiamo quindi i rischi sistemici e ricordiamoci che sulla performance dei mercati obbligazionari emergenti pesano molto di più l’eurozona, gli USA e la Cina che il Sudafrica. Ma il messaggio è chiaro: il debito emergente non è poi così sicuro. (Source)
Ed in merito al Sudafrica la morale è questa: al momento non è ancora successo nulla. Però teniamone conto, per il futuro.

giovedì 22 novembre 2012

Unicredit a giudizio per truffa sui derivati

L'istituto di Piazza Cordusio e uno dei suoi funzionari piu' alti rinviati a giudizio: reato di truffa aggravata nei confronti del comune di Acqui Terme per sei derivati venduti tra il 2004 e il 2006. Il processo a luglio 2013.

Milano - Dopo la Procura di Milano, anche quella di Acqui Terme decide di rinviare a giudizio una banca per i derivati venduti a un ente territoriale. Ieri, infatti, un alto funzionario di UniCredit e la stessa banca di Piazza Cordusio sono stati rinviati a giudizio (il processo si terrà l'11 luglio 2013) per il reato di truffa aggravata nei confronti del comune di Acqui Terme per i sei derivati venduti tra il 2004 e il 2006.

Il Gup del tribunale piemontese, Laura Galli, ha infatti accolto le richieste delle parti civili (tra cui Adusbef) rappresentate dall'avvocato Giuseppe Ciullo e del Pm Antonio Rustico che già nel novembre del 2009 aveva chiesto e ottenuto dal Gip il sequestro preventivo di 1.201.648 euro presso la sede milanese della Bayerische Hypo und Vereinsbank A.G. (Hvb, subentrata alla Ubm del gruppo UniCredit).

Nonostante il Comune (non costituitosi parte civile) e la banca (interpellata ha fatto sapere che «nella convinzione che non sia stata commessa alcuna irregolarità, confida che in sede dibattimentale emergerà l'infondatezza delle accuse mosse») si fossero accordate stragiudizialmente nel giugno del 2010, il Gup ha configurato ugualmente la condotta illecita in capo agli indagati. Con la decisione di ieri, quindi, sono due i processi (l'altro è quello in corso a Milano) che vedono imputate banche che hanno venduto derivati a enti locali.

La vicenda trova origine dall'esposto presentato in Procura nell'ottobre del 2008 dagli avvocati Ciullo e Bistolfi in difesa di alcuni cittadini acquesi intimoriti dalla forte esposizione debitoria (circa 2.100.000 euro) nei confronti di UniCredit a causa dei derivati. A seguito dell'attività investigativa la procura piemontese ha contestato al funzionario UniCredit (originariamente gli indagati erano sei) il reato di truffa aggravata ai danni di un ente pubblico (oltre le circostanze aggravanti di cui all'articolo 61, n.5, 7, 11) in quanto con la propria condotta ha messo in atto «artifici e raggiri» che «hanno indotto in errore» il Comune di Acqui Terme nello stipulare i sei derivati.

A UniCredit, invece, la procura acquese ha contestato l'illecito amministrativo dell'inosservanza di modelli di organizzazione idonei a prevenire il rischio di reati (decreto legislativo 231 del 2001) con riferimento al reato di truffa aggravata. Anzi, per il Pm l'istituto di credito «sembra essersi dotato - data la ripetitività delle condotte e il coinvolgimento di numerosissimi enti pubblici nelle contrattazioni - di un modus operandi deliberatamente finalizzato a che i medesimi reati siano commessi».

UniCredit, poi, avrebbe adoperato un vero e proprio occultamento del conflitto di interessi non dichiarando all'ente locale che si proponeva come consulente «tacendo la contemporanea qualità di futura parte contrattuale» (violando così l'articolo 27 del regolamento Consob 11522/98).

La banca di piazza Cordusio, inoltre, ha ottenuto dai rappresentanti dell'ente locale la firma della dichiarazione di operatore qualificato (articolo 31, regolamento Consob 11522/98) «senza che tale condizione sussistesse realmente» e senza rendere edotta la controparte che la firma l'avrebbe esposta alla mancanza di tutela predisposta dal legislatore nella contrattazione di valori mobiliari. Non solo. La banca avrebbe omesso di dichiarare la reale natura dell'upfront: cioè, che lo stesso non è una forma di anticipazione di credito ma una somma di denaro dovuta per riequilibrare - almeno nel momento della stipulazione del contratto - le posizioni dei contraenti, in particolare quella maggiormente svantaggiata, ovvero il Comune di Acqui Terme.

La banca avrebbe prospettato la "vantaggiosità" dei derivati e ingannato così l'ente locale. Infatti, si legge nel decreto di sequestro, emerge la difformità tra la reale natura degli swap («vere e proprie scommesse al buio sull'andamento dei tassi») e i termini in cui gli stessi furono proposti e presentati all'ente locale (dovevano essere dei contratti di copertura rispetto all'indebitamento dell'ente con la Cassa depositi e prestiti ammontante all'epoca a circa 40 milioni di euro). Infine, una "bacchettata" non manca agli amministratori pubblici che hanno avuto una «parziale responsabilità per la negligenza con cui tutta la tematica fu affrontata, semplicemente attratti dalla facilità di incasso immediato di contanti, sotto forma di upfront».

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martedì 20 novembre 2012

Banche: nei bilanci una bomba a orologeria da 23 miliardi

In Italia si tende a sottostimare i prestiti già concessi che non possono più essere recuperati o possono solo in parte. Alix Partners: potenziali perdite miliardarie. Allarme su incognita mattone.


Roma - Al di là delle frasi di rito, il vertice di ieri in Banca d’Italia tra il governatore Ignazio Visco e i rappresentati delle principali banche italiane non si è svolto certo all’insegna della serenità e la spensieratezza. E non solo per l’invito del governatore ad avviare una nuova ondata di processi di ristrutturazione accompagnati da ulteriori tagli dei costi. Tra i temi dell’incontro, infatti, c’era la questione di come disinnescare le bombe ad orologeria nascoste tra bilanci delle banche italiane che stanno accelerando il loro ticchettio.

Se infatti è stato fatto notare che l’aumento delle sofferenze "risulta ancora in linea con quanto verificatosi nelle precedenti fasi recessive dell’economia", la riunione ha però confermato "la necessità di assicurare l’adeguatezza dei processi di individuazione e gestione dei crediti anomali e delle relative politiche di accantonamento".

Tanto più che se le trimestrali diffuse la scorsa settimana dai big del credito italiano hanno in molti casi evidenziato un ritorno all’utile, tuttavia guardar bene i conti si capisce come non sia tutto oro quello che luccica e come non manchino elementi di criticità potenzialmente molto insidiosi. Si tratta in particolare dei crediti di difficile esigibilità, ossia prestiti già concessi che non possono più essere recuperati o possono esserlo solo in parte, che continuano ad aumentare e che i bilanci tendono a sottostimare.

Come rileva la Banca d’Italia il tasso di copertura, ossia il rapporto tra il valore dei crediti in sofferenza e quanto viene effettivamente riportato a bilancio, è in media del 37,7% contro un livello vicino al 50% che si registrava nel 2007. La copertura è un po’ più elevata, dunque più prudente, per le prime 5 banche italiane (40%) e tende poi a scendere di pari passo con la dimensione dell’istituto di credito fino a toccare il 25% delle banche minori. Per Unicredit e Intesa San Paolo è intorno al 46-48%, per Mps si scende al 41%, per Ubi al 30%.

Nei primi 9 mesi del 2012 Unicredit ha portato a casa 1,4 miliardi di profitti nonostante abbia alzato di 5 miliardi di euro l’ammontare di crediti che non rivedrà più o rivedrà solo in minima parte. Nello stesso periodo però i crediti deteriorati che pesano sulla banca hanno raggiunto quota 80 miliardi di euro, un balzo di 10 miliardi in un solo anno. A sua volta Intesa San Paolo, ha guadagnato nello stesso periodo 1,6 miliardi e ha messo in bilancio rettifiche sui crediti per 3,5 miliardi il 48% in più dell’anno prima. Il gruppo Monte dei Paschi, grande malato del settore bancario italiano, ha chiuso invece il periodo gennaio-settembre con una perdita di 1,6 miliardi e ha alzato da 830 milioni a 1,3 miliardi il valore delle sue "sofferenze" sui crediti.

In periodo di crisi con aziende che falliscono, disoccupazione che aumenta e con un generale peggioramento della situazione economica è normale i crediti di sofferenza aumentino. Senza contare che molti grandi gruppi ci hanno messo del loro. Dalla FonSai su cui i Ligresti hanno scaricato un miliardo e 200 milioni di debiti, al crack San Raffaele di don Verzè da 1,5 miliardi di euro, passando per i 440 milioni di debiti lasciati in mano alle banche da Luigi Zunino e la sua Risanamento o i 3 miliardi di debiti che la Tassara di Roman Zaleski fatica a restituire nonostante la moratorie concesse.

Il problema è che l’incremento sta avvenendo a ritmi molto rapidi (+ 17% in un anno, secondo uno studio di Credit Suisse) e il settore immobiliare, sinora sostanzialmente immune, potrebbe a sua volta iniziare a creare problemi. La situazione rischia insomma di sfuggire di mano. Un’opera di pulizia dei bilanci c’è stata, soprattutto tra i più grandi, ma l’impressione è che si sia usato il "braccino corto" e che un po’ di polvere sia stata semplicemente nascosta sotto il tappeto. Nelle scorse settimane la società Alix partners ha diffuso uno studio che mostra come le banche italiane dovrebbero incamerare ben 23 miliardi di ulteriori perdite se riportassero nei bilanci una fotografia realistica della situazione dei loro crediti dubbi. Come? Riportandoli nei bilanci con il loro effettivo valore di mercato, il cosiddetto "fair value". Facile immaginare che in tal caso gli utili sbandierati con gli ultimi bilanci non sarebbero altro che un effetto ottico.

Oltre a questo c’è un altro elemento ancora più pericoloso. Sinora il mercato immobiliare italiano ha retto. Nulla a che vedere con quanto accaduto ad esempio in Spagna dove il crollo dei prezzi delle abitazioni ha massacrato i bilanci delle banche nazionali (se un cliente a cui è stato concesso un mutuo smette di pagare, la banca si impossessa della casa, ma se poi la rivende a un prezzo inferiore al valore del mutuo concesso incamera comunque una perdita). Tuttavia qualche scricchiolio inizia a farlo sentire anche "il mattone" italiano. Secondo Banca d’Italia il 75% degli agenti immobiliari dichiara che i prezzi stanno scendendo e nel terzo trimestre 2012 il 44% di loro non è riuscito a vendere neppure un appartamento. Le banche italiane sono esposte sul settore immobiliare per circa 660 miliardi di euro e sempre Alix partners calcola che vista l’attuale evoluzione del mercato da qui potrebbero arrivare altri 9 miliardi di perdite. Una stima che viste le ultime indicazioni che arrivano dal mercato potrebbe risultare ottimistica.

Ultimo aspetto da tenere in considerazione è che i profitti ottenuti delle grandi banche italiane non vengono dalla classica attività bancaria (raccolgo risparmi e presto soldi incamerando la differenza di interessi) ma derivano in larga misura dall’attività di negoziazione. Vale a dire dalla compra vendita di titoli, Btp in primis. Si fa insomma sentire l’effetto del prestito Bce.

Le banche italiane hanno infatti ottenuto da Francoforte al tasso dello 0,75% circa 250 miliardi di euro e parte di questa somma è stata prontamente re- investita in titoli di Stato italiano. Una mossa che ha contribuito a ridurre lo spread italiano e che sinora ha fruttato per di più guadagni significativi visto che il valore dei buoni del tesoro è aumentato. Unicredit ha ad esempio visto i profitti da trading balzare dagli 864 milioni del 2011 a quasi 2 miliardi e 100 milioni di quest’anno. Intesa San Paolo ha raddoppiato il valore di questa voce passata da 750 milioni a 1,5 miliardi. Troppo bello e troppo facile perché possa durare.

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lunedì 19 novembre 2012

Fisco: Svizzera spera in accordo con Italia entro 21 dicembre

Berna ottimista, ora intesa tecnica da sottoporre ai governi. L'annuncio dell'ambasciatore Oscar Knapp, responsabile Divisioni Mercati della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie. Spuntacondono tombale.

New York - Le autorità della Svizzera sono "ottimiste" sulla possibilità di raggiungere un accordo tecnico con l'Italia sulla regolarizzazione dei conti di clienti italiani negli istituti di credito elvetici entro il 21 dicembre prossimo.

Lo ha riferito l'ambasciatore Oscar Knapp, responsabile Divisioni Mercati della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie, spiegando che per quella data si punta ad una intesa tecnica da sottoporre ai governi.

Berna aveva firmato accordi simili, cosiddetti di Rubik, con Austria, Regno Unito e Germania. Queste intese stabiliscono che i capitali in Svizzera vengano tassati con un'aliquota vicino a quella dei paesi di provenienza, ma che al contempo i clienti mantengano l'anonimato. 

I capitali detenuti nelle casseforti delle banche elvetiche da clienti tedeschi, britannici e austriaci, vengono tassati e l'imposta viene versata dalle autorità svizzere alle rispettive autorità fiscali tedesche, britanniche e austriache. 

L'intesa con Berlino, tuttavia, rischia di saltare, per viad ell'opposizione del land cruciale di Bade-Wurtenburg, che considera i termini dell'accordo troppo favorevoli per gli evasori e dunque un'ingiustizia nei confronti dei contribuenti onesti.

Oltre alle trattative che ha con l'Italia per un accordo di sanatoria sui conti bancari detenuti in Svizzera da parte di clienti italiani, e non conosciuti dal fisco italiano, Berna ha in corso "contatti formali" con vari altri paesi dell'Unione europea e non. 

Lo ha riferito il portavoce del Segretariato di Stato per le Questioni finanziarie, Mario Tuor, incontrando un gruppo di giornalisti italiani a Berna. Tuor ha precisato che al momento la Svizzera non rivela quali siano questi paesi. (TMNews)

Fiscal Cliff, che cos'è il "precipizio fiscale" che terrorizza i mercati internazionali


Sta spaventando l’economia internazionale. Il fiscal cliff, letteralmente “precipizio fiscale”, è lo spauracchio che può mettere in ginocchio la ripresa americana. Il baratro fiscale è la congiuntura di diverse scadenze relative alla politica economica statunitense che, senza un intervento politico nei prossimi 45 giorni, dal primo gennaio 2013 porterà il Paese alla recessione e il governo federale a rischio default. Ma cos’è il tanto temuto fiscal cliff?

Sono principalmente due gli elementi da analizzare. Il primo è la scadenza dei tagli fiscali decisi dall’amministrazione Bush nel 2001: l’allora presidente per far passare le misure che riducevano le tasse dei redditi più alti, aveva fissato il limite temporale alla fine del 2012. Quindi dal primo gennaio scatterà un aumento indifferenziato di tasse per tutte le fasce della popolazione, con le aliquote che torneranno a salire per tutti. Per semplificare lo scenario, questo aumento, unito ad altri balzelli, provocherebbe un crollo del Pil di circa quattro punti, facendolo passare da un cauto +2% stimato ad un -2, o secondo qualche analista più pessimista, addirittura a -4%. Il che significherebbe affossare la lenta e difficoltosa ripresa economica a stelle e strisce.

L’altro fattore da considerare quando si parla di fiscal cliff è il “debt ceiling”, ossia il tetto di indebitamento. E qui entra in gioco il Congresso. In America, infatti, è la Camera, insieme al Senato, a decidere quanto il governo federale può indebitarsi, fissando un tetto. La Camera dei rappresentanti, però, è a maggioranza repubblicana e non ha alcuna intenzione di avallare la proposta del presidente Obama sull’aumento delle tasse per i redditi più alti. Se l’autorizzazione all’aumento del tetto di indebitamento non viene data, il governo dovrebbe mantenersi con il denaro delle sole imposte già incassate, con il risultato di rischiare il fallimento. Già nel 2011 il Congresso aveva dato il via libera per l’aumento del debt ceiling, ma a patto di richiedere una nuova autorizzazione entro il 31 dicembre 2012. Una data non certo causale, in concomitanza con la rielezione di Obama alla Casa Bianca.

La situazione, adesso, si sposta sulla disputa politica. La Camera dovrà varare una nuova legge in tema fiscale, ma le posizioni dei repubblicani e quelle di Barack Obama sulle imposte dei redditi elevati sono oggi inconciliabili. Se non si dovesse trovare un accordo, dal 2013 scatteranno aumenti per tutti, con stime che parlano di circa 3mila e 500 dollari che ogni famiglia americana di troverebbe a spendere in più all’anno. La Camera potrebbe, allora, decidere di non votare per l’aumento dell’indebitamento, con la conseguenza di una crisi gravissima per l’economia americana e, di rimando, anche per quella del resto del mondo.

Una soluzione, ad ogni modo, bisognerà trovarla. L’incertezza, diversamente, rischia di pesare sugli umori dei mercati. Se repubblicani e democratici non dovessero arrivare ad un accordo sul “cliff”, la faccenda potrebbe essere sistemata a gennaio o febbraio con una legge retroattiva. La Camera può non cedere sulla proposta democratica di aumentare le tasse limitatamente ai redditi superiori ai 250mila dollari annui. Obama, da canto suo, può lasciare che l’aumento automatico di tutte le aliquote fiscali si realizzi, per poi farsi promotore a gennaio di una legge che ne preveda la riduzione retroattiva, tranne che per i redditi superiori a 250mila dollari.

Si tratta, comunque, di ipotesi su scenari futuri. Il presidente degli Stati Uniti e il Congresso dovranno trovare la quadra del cerchio prima della fine dell’anno per evitare che l’incertezza, come detto, sulla politica fiscale non porti altri effetti negativi pronti a gravare sulle spese delle aziende e delle famiglie. Ad un compromesso, quindi, si arriverà. Magari che non stravolgerà gli equilibri, ma sufficiente per non far sprofondare gli Usa nel baratro fiscale.


Argentina nuovamente allo sfascio. Da non sottovalutare.

Per alcuni risparmiatori tornare a parlare di default Argentina sarà come tirare fuori dall’armadio dei vecchi scheletri, dei brutti ricordi che vengono da una triste esperienza passata. Uno dei peggiori default che si sono dovuti subire i risparmiatori italiani, proprio nel periodo dove anche altre aziende (tra cui ricordiamo Parmalat e Cirio, tanto per dire alcuni noti nomi italici) sono saltate in Italia e nel mondo. Come dimenticare i disastri di Enron e Worldcom?
Dopo tanti mesi dalla ristrutturazione debito, e dopo diverse cedole normalmente pagate, ecco che sul paese del Sud America tornano ad addensarsi brutti nuvoloni. Anche perché proprio in questi giorni l’Argentina si ritrova a dover rispondere ad istanza di un grosso gestore di hedge fund, tale Singer il quale, non avendo aderito alla truffa della ristrutturazione, ora potrebbe aver diritto ad un mega risarcimento (occhio quindi, chi non ha aderito potrebbe avere delle interessanti sorprese).
Guardate questo articolo.
Yesterday, Argentina filed for a re-hearing of its arguments against hedge fund manager Paul Singer and other investors in its sovereign debt that neglected to restructure their debt in 2005 and 2010 (exchange bondholders).
Officially, their filing is called a “petition for panel rehearing and rehearing en banc.”
This spat has been going on for years (Singer and co. bought the debt in 2001) and it’s just now coming to a head since New York Judge Thomas Griese ruled that Argentina would have to starting paying exchange bondholders in December.
That could mean a whopping $3 billion payment next month to them, investors who restructured aside.
Singer himself his owed $1.3 billion. (Source)
Il tutto viene a crearsi in un momento non certo felicissimo per lo stato argentino.
Conti Pubblici Argentina: out of control!

Secondo alcune fonti istituzionali, sembra proprio che i conti pubblici argentini siano in forte deterioramento. Crolla il gettito fiscale e di conseguenza frenano i sussidi del governo a favore della popolazione che torna in piazza. Alcune voci in arrivo da Buenos Aires (conoscenze personali) mi dicono che è nuovamente molto difficile convertire i Peso Argentini con i Dollari USA.
E per completare l’opera, il governo argentino, famoso per la sua capacità di depauperare risorse, sta prosciugando tutto quello che può, pescando da tutte le casse a disposizione, comprese quelle della previdenza e probabilmente anche quella sanitaria.
Siamo nuovamente alla stregua del Far West? A dire il vero si. Infatti il governo, per agevolare il mercato del credito e le banche, ha avuto l’ottima idea (si fa per dire) di allargare i cordoni e, in barba a qualsiasi stress test, ha allentato persino i requisiti patrimoniali, esattamente il contrario di quanto facciano ad esempio le istituzioni Europee o Americane (a proposito, un plauso alla Napoleoni che ho letto essere convinta che il modello da seguire per sistemare il debito italiano sia proprio il modello argentino: è anche vero che se andiamo avanti così, rischiamo di finire nella melma, però da qui a dire che l’Argentina sia un benchmark per i paesi oberrati dal debito ce ne vuole).
Ve la devo dire in modo molto semplice?
Pronti: dopo la ristrutturazione e l’apparente ripartenza, l’Argentina torna a navigare in acque burrascose. Sia per la causa sui bond non ristrutturati e sia per le sue questioni interne.

martedì 13 novembre 2012

Estratto da Mercati che fare pt 74 Il punto di vista del Prof Carnevale Maffè sugli immobili.


.......In effetti la diversificazione non è solo geografica o settoriale ma anche di strumenti; per cui l'obiettivo fondamentale della banca e dell'intermediario finanziario è interloquire e dialogare con il cliente finale parlando il suo linguaggio e non solo leggendo anche nella testa del consumatore il quale in questo paese mi ricordo che sta riducendo i flussi di risparmio. Quindi abbiamo bisogno di convincerlo a liberare per esempio il capitale investito nell'immobile perché l'immobiliare in questo paese con la crisi demografica che abbiamo e con i tassi di crescita attesi non può crescere. Mente il capitale investito in azioni o anche i titoli obbligazionari in aziende di aree geografiche che crescono può rendere molto di più. Oggi bisogna rimettere mano al portafogli quindi consigliare l'investitore non solo di allocare la quota disponibile e cioè il risparmio, quello che avanza, ma smobilizzare anche gli investimenti tradizionalmente percepiti come sicuri e rischiare di più ma capendo di più.




Asta Italia: emessi Bot a 12 mesi, tasso all'1,762%

WSI
Il Tesoro ha collocato 6,5 miliardi di euro di titoli di stato con scadenza nel novembre del 2013. Rendimento in flessione rispetto al collocamento precedente. A 1,764 il rapporto bid to cover.

Roma - Il Tesoro italiano ha collocato 6,5 miliardi di euro di Bot con scadenza nel novembre del 2013, dunque a 12 mesi, a un rendimento lordo pari all'1,762%. Il rapporto bid-to-cover è stato pari a 1,764. 

Il tasso è sceso rispetto all'asta precedente, quando il rendimenti era stato pari all'1,941%, nella precedente asta del 10 ottobre.

lunedì 12 novembre 2012

Monti: sì a patrimoniale ma con placet grandi capitali

WSI
Premier: "Siamo in guerra". Il Governo intende introdurre una tassa sul patrimonio, ma senza blizt. Ovvero cercando di evitare la fuga di capitali all'estero. "Se mi piacerebbe restare premier? No".

Roma - "La crescita può tornare non appena sarà risolta la crisi della zona euro". Lo ha affermato il presidente del consiglio Mario Monti nel suo intervento al Ft Italy Summit sottolineando che "l'Italia non ha grandi squilibri a parte il rapporto debito/pil". Alcune misure adottate dal Governo contro l'evasione "potrebbero sembrare misure di guerra, e in realtà lo sono".

Poi Monti ha elencato le azioni del governo, sottolineando che "Abbiamo ridotto i costi della politica anche se per i cittadini non è mai abbastanza. Hanno ragione ma noi dobbiamo essere rigidi senza essere populisti". 

"No". Così il presidente del Consiglio, Mario Monti, ad una domanda del vice direttore del Financial Times al 'Ft Italy Summit' se vorrebbe o se gli piacerebbe rimanere premier. 

C'è una dichiarazione di Monti che comunque richiama l'attenzione dei cittadini italiani: intervistato dal Financial Times, il premier afferma che il governo ha intenzione di introdurre la patrimoniale, ma, continua, questa "non verrà introdotta notte tempo" e non dovrà "incentivare" la fuga dei capitali. 

"Vorrei sdrammatizzare la questione della tassa patrimoniale, esiste in alcuni paesi altamente capitalisti - ha detto - non verrà introdotta notte tempo in Italia, ci sono passi che stiamo verificando. Sì, vogliamo introdurre una tassa generalizzata sul patrimonio - ha proseguito Monti - ma non avendo gli strumenti non vorremmo incentivare un allontanamento dei capitali con un tassa non oculata". "Il mio approccio è abbastanza laico - ha concluso - molto dipenderà da come funzionerà e da come verrà utilizzata".

Il presidente del Consiglio spezza una lancia a favore delle condizioni in cui versa l'Italia. "Il debito dell'Italia , si attesta intorno al 120% del Pil ed è aumentato molto meno rispetto alla media dell'area euro durante il periodo della crisi". Monti ha inoltre messo in rilievo come l'Italia sia uno tra i maggiori contribuenti per quanto riguarda gli 'aiuti' ai Paesi in crisi come la Grecia.

"La nostra parte è attorno a un quinto del totale dell'area euro. Siamo i terzi in termini dicontributi a sostegno della Grecia dopo Germania e Francia e i primi se consideriamo che per Germania e Francia c'è un 'reinnesto' di questi fondi, considerato che le loro banche sono molto esposte verso la Grecia, a differenza degli istituti italiani". 

"La patrimoniale o si fa o non si fa. Cosa vuol dire farla senza blitz? Monti vuole forse il placet dei proprietari dei grandi patrimoni per approvare la patrimoniale?" Lo ha affermato il presidente del gruppo Idv alla Camera, Antonio Borghesi. 

"Le parole del premier confermano che questo governo è privo di idee e finora si è limitato a colpire i più deboli perché non aveva la forza di sfidare le grandi lobby e di toccare i grandi interessi".

mercoledì 7 novembre 2012

Draghi: "Crisi incomincia a farsi sentire anche in Germania"

Le parole pronunciate dal numero uno della Banca Centrale penalizzano l'euro, che scivola ai minimi di due mesi. "I tassi sui bund tedeschi sono piu' bassi di quanto dovrebbero essere". Sui mercati cresce l'avversione al rischio.

New York - Sui mercati, nell'azionario ma sopratutto il valutario, stava tutto andando per il meglio, con la moneta unica sui livelli di $1,29 e le borse in buon rialzo dopo la vittoria di Obama alle elezioni presidenziali statunitensi. Poi ha aperto la bocca Mario Draghi.

Il banchiere centrale europeo ha ammesso che anche la Germania sta incominciando a sentire il peso della crisi del debito. E che i tassi sui bund tedeschi sono piu' bassi di quello che dovrebbero essere in realta'. E' la crisi che gli sta mantenendo su livelli bassi.

Come conseguenza l'euro e' sceso ai minimi di due mesi a quota $1,2750. Ieri aveva chiuso la seduta europea intorno a $1,29.

La dicotomia paradossale in cui e' intrappolata l'Europa assume una forma sempre piu' definita: la Germania, che e' il motore economico dell'Europa, ha bisogno di un euro piu' debole se vuole continuare a esportare i suoi prodotti con successo.

Il problema e' che piu' e' fiacca la moneta unica e piu' cresce il rischio implicito dell'area euro. Cio' mette in difficolta' i paesi dalle finanze piu' fragili della periferia e costringera' la Spagna a ricorrere ad aiuti esterni.

martedì 6 novembre 2012

Seguite in diretta i risultati delle elezioni americane

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lunedì 5 novembre 2012

Imu: per chi affitta rincari fino a +2.200%

corriere della sera   di: Antonella Baccaro
Aumenti di imposta, rispetto all’Ici, fino al 207% per i contratti liberi (Milano) e al 2.330% per quelli concordati (Venezia). È quanto dovranno aspettarsi i proprietari di immobili locati facendo...

Milano - Aumenti di imposta, rispetto all’Ici, fino al 207% per i contratti liberi (Milano) e al 2.330% per quelli concordati (Venezia). È quanto dovranno aspettarsi iproprietari di immobili locati facendo i conti dell’esborso complessivo della nuova imposta sugli immobili, l’Imu, rispetto alla vecchia, l’Ici. Secondo i calcoli effettuati dall’Ufficio studi della Confedilizia, sarà proprio l’applicazione della maggiore aliquota deliberata dai vari Comuni, rispetto a quella base uniformemente adoperata per la prima rata e pari al 7,6 per mille, ad avere effetti molto pesanti, soprattutto per chi ha affittato con contratti «liberi», per i quali gli aumenti percentuali sono tutti a tre cifre e 13 capoluoghi su 20 hanno scelto l’aliquota massima.
«L’effetto finale — avverte il presidente di Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani—sarà che salteranno i contratti calmierati, quelli che erano stati accettati dai proprietari proprio in virtù del trattamento fiscale agevolato che li contraddistingueva. In questo modo i Comuni si ritroveranno con una richiesta di affitti agevolati che si tradurrà in una maggiore spesa». Va ricordato, per completezza, che la maggiorazione dell’esborso dell’imposta da Ici a Imu è determinata oltre che dall’aumento dell’aliquota, dall’incremento del 60% della base imponibile, dovuto alla variazione del moltiplicatore da applicare alla rendita catastale.

Contratti calmierati
Ma vediamo qualche esempio, cominciando dai contratti «calmierati » (3+2) e prendendo come campione un immobile di categoria A/2, cinque vani, in zona semiperiferica. Nelle città di Roma, Napoli e Perugia, ad esempio, dove per la seconda rata si applicherà l’aliquota massima del 10,6 per mille, l’aggravio complessivo dell’Imu rispetto all’Ici sarà rispettivamente del 269%, del 143% e del 142%. A Roma, partendo da una rendita catastale di 787,60 euro, se la prima rata è stata di 503 euro, la seconda sarà di 900, per un totale di 1.403 euro. Una bella cifra se si tiene conto che per l’Ici un’abitazione pagava in totale 380 euro. A Napoli, stesso discorso: partendo da una rendita catastale di 800,51 euro e da una prima rata di 511 euro, ci si ritrova a settembre con 915 euro, per un totale di 1.426. A Napoli l’Ici complessiva per un’abitazione di questo tipo valeva 588 euro. Sui contratti concordati è in corso un tentativo di riportare l’aliquota per legge al 3,8 per mille, cioè alla metà di quella base. La proposta è stata avanzata in sede di discussione della legge di Stabilità dai rappresentanti dell’Udc. Ma c’è un’altra richiesta che viene da Confedilizia e cioè quella di ricondurre la quota di canone detraibile ai fini Irpef almeno al 15% rispetto all’attuale 5%. «Si tratta di riconoscere l’esistenza di spese a carico del proprietario, come si fa negli altri Paesi europei» spiega Sforza Fogliani.

Chi paga meno 
Ma ci sono anche città in cui la seconda rata costerà di meno: è il caso di Milano, Trieste e Torino, dove l’aliquota scelta dal Comune è inferiore a quella base del 7,6 per mille: per le prime due si colloca al 6,5 per mille, per l’ultima a 5,75. Così, a Milano se per la prima rata per un immobile, sempre in affitto calmierato, con rendita catastale di 877,98 euro si è pagato 560 euro, per la seconda bisognerà sborsarne 399, per un totale di 959 euro rispetto ai 369 dell’Ici (+160%). A Torino, su una rendita catastale di 787,60 euro, si passa da un acconto Imu di 503 a un saldo 258 euro per complessivi 761 rispetto agli 83 dell’Ici (+817%). Vanno segnalate anche le città che manterranno invariata l’aliquota base del 7,6 per mille, come Ancona, Aosta, Bologna, Firenze, Genova e Venezia. In quest’ultima città si passerà da un esborso complessivo di soli 40 euro per l’Ici a un’Imu totale da 972 euro, con una maggiorazione record del 2.330%.

Contratti liberi
Passando ai contratti «liberi» (4+4), le cose peggiorano. Lo studio di Confedilizia individuarincari Imu rispetto all’Ici del 142%` a Roma, Torino, Firenze, Genova, Venezia e Bari, tutte città in cui l’aliquota applicata per la seconda rata sarà quella del 10,6 per mille. Ma il record dell’aumento spetta a Milano, dove l’aliquota della seconda rata sarà del 9,6 per mille, così per una casa con rendita di 877,98 euro, da un pagamento Ici di 461 euro complessivi si passerà a un esborso totale per l’Imu di 1.416 euro (+207%). 
Subito dopo c’è Aosta con un aggravio del 204%. Segue Bologna dove, partendo da una rendita catastale di 1.020 euro, se la prima rata è stata di 651 euro, la seconda sarà di 1.165, per un totale di 1.816 euro rispetto ai 610 per l’Ici (+198%). A Roma si passerà da 579 per l’Ici a 1.403 per l’Imu, a Napoli da 588 a 1.426. 
Nessuna città, tra le più grandi segnalate nello studio, registra aliquote inferiori a quella base per la seconda rata. Ce ne sono però alcune che la lasceranno invariata al 7,6 per mille, come Aosta e L’Aquila dove con una rendita di 632,66 euro si passerà da 465 euro di Ici a 808 di Imu, con una maggiorazione del 74%.