venerdì 28 giugno 2013

Crollo oro, sotto $1.200. "Panic selling lo porterà a $800"

wsi
I prezzi sono scesi anche sotto la soglia psicologica, che corrisponde al costo per produrre un'oncia. Alert per i colossi di estrazione: aumentano i disoccupati nel settore. Titoli: -50% da aprile. Analisi tecnica. Grafico.

NEW YORK (WSI )- La fuga dall'oro non si ferma. Le quotazioni del metallo prezioso hanno testato il livello minimo dal 2010 poche ore fa, capitolando sotto la soglia dei $1.200 l'oncia. Un valore cruciale, visto che è proprio questo il costo che le società di estrazione devono sostenere per produrre un'oncia di oro. Le ripercussioni saranno pesanti, e gli analisti intervistati da Cnbc hanno affermato che i gruppi che estraggono oro saranno colpito "in modo grave" se le quotazioni rimarranno inferiori al costo di produzione.

Andrew Su, amministratore delegato pressoCompass Global Markets rende noto che il costo medio per produrre una oncia di oro in Australia, paese che ospita i colossi di estrazione più grandi al mondo, è balzato da $500 nel 2007 a più di $1.000 nel 2013. "Ma io credo che i costi reali siano significativamente più alti di $1.000. Per questo, alcune miniere sono state costrette a chiudere in Australia, oltre a tagli di dipendenti da parte di società come Newcrest, Barrick, and Silver Lake Resources."

Basta guardare la performance di alcuni titoli di gruppi minerari: Newcrest Mining, terzo produttore di oro a livello mondiale, ha visto le quotazioni crollare più del 52% da aprile. Barrick Gold, numero uno nel settore, ha assistito a un calo del titolo di quasi -50% da aprile.ù

Il crollo dell'oro dallo scorso aprile si sta acuendo; le quotazioni hanno chiuso il trimestre peggiore da almeno il 1968, con gli investitori che hanno scontato le preoccupazioni continue sul rischio che la Fed stacchi la spina al programma di quantitative easing. I prezzi sono scivolati fino a $1.180,48 l'oncia nelle contrattazioni asiatiche e sono in calo di quasi -14% o di $200 dall'inizio della scorsa settimana. 

"Quando il mercato segue un trend, la gente vuole semplicemente seguirlo e ora siamo in una fase ribassista molto pesante, dunque sul piano psicologico la situazione è terribile", ha detto in una intervista a Bloomberg Donald Selkin, responsabile strategist di mercato presso National Securities Corp, a New York. L'oro potrebbe scendere a suo avviso fino a $800 l'oncia, in preda a un vero e proprio "panic selling". Dall'inizio dell'anno, le quotazioni sono in calo -28% dopo aver guadagnato per 12 anni consecutivi. 

L'oro ha raddoppiato il suo valore dalla fine del 2008 al record di $1.923,70 nel settembre del 2011, sulla scia della decisione della Fed di tagliare i tassi a livelli record. Il metallo è entrato in un mercato orso ad aprile. Il risultato è che nel trimestre ha perso -24%. 

ANALISI TECNICA ORO DI FXCM ITALIA

"Su un time frame giornaliero i prezzi si trovano ancora lontani dalla media mobile a 21, prossimO livello di attrazione quando partiranno le correzioni, ma sarà importantissimo seguire le evoluzioni di oggi per comprendere se si vorranno tentare ulteriori approfondimenti, tutt’altro che poco probabili vista la grossa presenza di ordini sotto i punti di minimo. Se dovessimo di fatto superare l’area che passa sotto 1,175.00 ci sono possibilità di assistere ad estensioni fino ai prossimi punti precedenti, passanti intorno a 1,150.00, livelli che non si vedono da luglio 2010. Per assistere a rimbalzi decisi, crediamo che le aree di resistenza poste intorno a 1,225.00 e da qui, ogni 25 punti circa, troviamo delle aree di resistenza che potrebbero intervenire sulle correzioni".

martedì 25 giugno 2013

Analisi dei mercati di BlackRock


Interessante analisi dei mercati fatta da blackrock


alcuni passaggi:
Riteniamo che questa volatilità sia destinata a persistere nei prossimi mesi ma non dobbiamo dimenticare una cosa fondamentale. Il motivo per cui la FED sta iniziando a parlare di uscita dal QE è il miglioramento del ciclo economico americano. Siamo quindi in una fase transitoria complessa; la fine tuttavia di questo percorso non è un mercato ribassista ma la ripresa di un mercato rialzista sugli asset più rischiosi,specialmente azionari guidata però da fattori diversi: non più dal sostegno della liquidità ma bensì dall'economia e dagli utili. Allo stesso modo la restrizione monetaria voluta dalla banca cinese rappresenta un problema nel breve termine ma nel medio termine un fattore di stabilizzazione della crescita. in più i dati che arrivano dall'Europa sono in continuo miglioramento.

Letta: "ancora dubbi sulla tenuta dell'euro"

wsi
"Se l'Europa si ferma è perduta", così il premier. "Le ombre sulla tenuta della moneta unica non sono state ancora fugate definitivamente".

ROMA (WSI) - "Le ombre e i dubbi sulla moneta unica non sono ancora fugati del tutto". Come dimostra il fatto che "sono bastate due notizie da Karlsruhe, con la sentenza della Corte costituzionale tedesca, e Atene, con la chiusura della televisione pubblica, per dare il segno che la crisi non è ancora finita, per riportare immediatamente la tensione sui mercati, far salire i tassi di interesse sul nostro debito e di altri Paesi Ue". E' l'avvertimento lanciato dal premier Enrico Letta, nel suo intervento alla Camera.

A Bruxelles "ci attende un duro confronto". Così il premier Enrico Letta, intervenendo alla Camera, disegna la prossima missione in Europa per il consiglio Europeo. "Se l'Europa si ferma è perduta", così il premier Enrico Letta, in aula alla Camera.

"Le ombre sulla tenuta della moneta unica non sono state ancora fugate definitivamente". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Enrico Letta, intervenendo alla Camera.

Stamattina l'incontro tra il premier Enrico Letta e il segretario del Pd Guglielmo Epifani. Il colloquio, che sarà seguito in giornata da un incontro con Silvio Berlusconi, rientra nel giro di consultazioni che il capo del governo sta facendo con i partiti della maggioranza in vista del Consiglio dei ministri atteso per mercoledì e del vertice europeo di giovedì e venerdì.

"Nei prossimi mesi vareremo un secondo pacchetto di intervneti" proprio per dare attuazione alla 'Garanzia per i giovani', il piano che il prossimo Vertice Ue dovrebbe approvare sull'occupazione giovanile. Lo ha detto il premier Enrico Letta in Aula. (AGENZIE)

lunedì 24 giugno 2013

Italia, rischio default nei prossimi sei mesi. L'allarme di Mediobanca

L'Huffington Post  |  Pubblicato:   |  Aggiornato: 22/06/2013 15:35 CEST

L'Italia ha sei mesi di tempo per evitare di dovere bussare alla porta dell'Europa e chiedere un piano di salvataggio. L'allarme arriva da un rapporto di Mediobanca securities, citato oggi da Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano. Secondo la controllata londinese della banca, il Paese deve al più presto ritrovare la via della crescita servendosi delle riforme varate dal governo Monti, altrimenti l'aggravarsi della crisi, scrive l'analista Antonio Guglielmi, "potrebbe costringere il Paese alla richiesta di salvataggio".
Secondo il report la situazione è persino "peggiore" a quella del 1992 anche perchè l'Italia "non può più contare sulla leva della svalutazione".
Il rapporto di Guglielmi sottolinea un fenomeno inquietante: di recente sul mercato in vari momenti (anche ieri) il rendimento dei Btp ha superato quello dei Bot di pari durata. Perché i mercati chiedono un interesse più basso per un Bot che dovrà essere rimborsato tra sei mesi rispetto a un btp ventennale emesso 19 anni e sei mesi fa? "Questa differenza di rendimento non ha alcuna ragione di esistere a meno che i mercati non stiano facendo differenza tra i bond a rischio ristrutturazione (Btp) e quelli non soggetti a ristrutturazione (Bot e strumenti di mercato monetario)". Traduzione: gli investitori si aspettano che nei prossimi sei mesi l'Italia possa dichiarare una parziale bancarotta sul suo debito.
I rimedi. Per invertire la rotta, e dare una sforbiciata pesante agli oltre 2000 miliardi di debito pubblico, il report valuta si possano reperire fino a 75 miliardi "senza danneggiare i consumi". Da un innalzamento delle aliquote sulle rendite finanziarie, con esclusione dei titoli di Stato, a un prelievo una tantum al 10 per cento più ricco della popolazione - con un patrimonio superiore a 1,3 milioni di euro, da cui si potrebbe ottenere, secondo Guglielmi, fino a 43 miliardi di euro. Altri 20 miliardi potrebbero essere recuperati dai capitali nascosti in svizzera. Due miliardi, infine, da un condono edilizio.
Tempi stretti. Una sorta di ultimatum, quello lanciato dal report, che arriva mentre il governo si appresta a rinviare proprio in autunno tutte le principali inizative economiche, dal blocco dell'innalzamento dell'iva, alla rimodulazione dell'Iva, fino a una più incisiva riforma del mercato del lavoro, per la quale il ministro Giovannini non è riuscito a reperire le risorse già a giugno. Il tutto, mentre la cornice europea e mondiale rischia di infuocarsi. Dalla nuova esplosione della crisi greca (e anche da Cipro nei giorni scorsi sono suonati diversi campanelli di allarme), alla possibile chiusura progressiva dei rubinietti della Federal Reserve, annunciata tre giorni fa da Ben Bernanke. Segnali di incertezza e preoccupazione che potrebbero impattare direttamente sullo spread. Ecco perchè la politica del "ne riparliamo" messa in atto dal governo Letta, fra qualche mese, potrebbe presto diventare carta straccia. Perché tra qualche mesi potremmo avere altro di cui parlare.

Alert: "debito pubblico Italia al 144% Pil"

wsi
Grazie Monti: troppo tardi per ridurre il buco di bilancio, dopo che la ricetta di austerity ha creato una tra le peggiori recessioni della storia. E le banche italiane soffrono per la crisi dell'euro.

ROMA (WSI) - Il deficit di bilancio dell'Italia si attesterà al 3 per cento del Pil nel 2013, mentre ildebito pubblico segnerà un picco al 144 per cento del Pil. Le previsioni sono contenute nel rapporto annuale della Banca dei regolamenti internazionali, e sono state elaborate in base alle cifre previsionali di Ocse e Fondo monetario internazionale.

Nell'area dell'euro le tensioni sui debiti pubblici "hanno compromesso la qualità degli attivi" delle banche, mentre il ristagno dell'economia ne ha abbassato i ricavi. "Sono cresciute le sofferenze, specie presso le banche italiane e spagnole, portando a un brusco aumento degli accantonamenti per perdite su crediti". Lo rileva la banca dei regolamenti internazionali nel capitolo sulle banche inserito nel suo rapporto annuale.

Da una tabella, emerge che nel 2012 le banche italiane monitorate, tre, sono state le uniche a registrare come insieme un livello negativo di utili al lordo delle imposte, un meno 0,06 per cento rispetto agli attivi totali. Gli accantonamenti sulle perdite hanno raggiunto lo 0,95 per cento degli attivi, ma in questo caso il dato più elevato è quello della Spagna con un 1,49 per cento.

Detto questo, "il culmine della crisi è passato", afferma la Banca dei regolamenti internazionali, e ora l'obiettivo deve esser quello di tornare a una crescita forte e sostenibile. Ma secondo l'istituzione, che ha sede a Basilea questo, questo non può che passare per la strata del rigore sulle finanze pubbliche e delle riforme strutturali dell'economia. E mettendosi in antitesi con coloro che chiedono di allentare l'austerità sui bilanci, la Bri afferma nel suo rapporto annuale che "i governi devono raddoppiare gli sforzi sui conti pubblici".

Ma tutti sono chiamati a fare la loro parte. Gli organi di regolamentazione devono adeguare le regole a un sistema finanziario sempre più interconnesso e assicurare che le banche si dotino di risorse commisurate ai rischi.

E contestando un'altra argomentazione dei fautori della linea morbida, la Bri esorta esplicitamente le Bance centrali ad orientarsi verso lo studio delle opportune strategie di uscita dalle misure anticrisi tenute negli anni passati. 

In questi anni si sono viste costrette a cercare modi per allentare maggiormente le politiche monetarie. Ma le banche centrali non possono risolvere i problemi strutturali che impediscono il ritorno a una crescita, non possono risanare i bilanci delle famiglie e delle istituzioni finanziarie, dice la Bri, non possono garantire la sostenibilità dei conti pubblici e soprattutto non possono attuare le riforme strutturali economiche e finanziarie necessarie per ricondurre le economie sulla strada della crescita reale.

Le politiche di allentamento delle banche centrali durante la ripresa sono state un modo per "prendere in prestito" tempo: Ma ora questo tempo deve essere usato saggiamente, avverte l'istituzione, perché il saldo fra costi e benefici "si sta deteriorando".

L'Italia è tra i paesi con il minor bisogno di correggere i conti pubblici da qui al 2040, tenendo conto delle spese legate all'invecchiamento della popolazione. E' quanto emerge dal rapporto annuale della Banca dei regolamenti internazionali, che contiene una tabella proprio sul fabbisogno di risanamento dei paesi sui periodo 2014-2040.

Intanto l'istituzione afferma, riguardo al bisogno della correzione dei conti, che in Italia serve una correzione pari a 4 punti percentuali di Pil, il terzo dato più basso tra i paesi avanzati dopo Svezia (1,3 punti) e Germania (3,4 punti). 

La Francia ha bisogno di correggere i conti per 5,4 punti di Pil, prosegue la Bri, la Spagna per 10,4 punti, la Gran Bretagna per 13,2 punti e gli Usa per 14,1 punti. Maglia nera il Giappone, che avrà bisogno di una correzione da 14,9 punti.

Krugman: "Fed, compiuto errore madornale"

WSI
Con la decisione di ridurre le misure di allentamento monetario prima che la ripresa fosse assicurata, Ben Bernanke ha recato piu' danni di quanto immagini. Persa per sempre un'arma importante.

NEW YORK (WSI) - E' stata la notizia dell'anno. Quando Ben Bernanke ha annunciato che ridurra' la portata delle manovre espansive straordinarie a sostegno dell'economia maggiore al mondo a partire da quest'anno, i mercati hanno accusato un duro colpo.

Il Quantitative Easing, massicce iniezioni di liquidita' con cadenza mensile tramite l'acquisto di titoli pubblici, termineranno l'anno prossimo. Le Borse hanno fatto un bel tonfo e i tassi di interessi sui Bond sono schizzati al rialzo, un andamento esacerbato dalle parole dello stesso presidente uscente della banca centrale, che ha fatto sapere di non essere preoccupato di un eventuale rialzo dei rendimenti.

Secondo il premio Nobel per l'Economia Paul Krugman si tratta di un errore madornale. In un'editoriale sul New York Times, il professore riconosce che se l'economia si riprende, allora la Fed scampera' la gogna. Altrimenti, se le cose tornano a peggiorare seriamente, Bernanke non potra' far altro che tornare sui suoi passi e tornare a premere sull'acceleratore delle politiche accomodanti. 

Il problema e' che dimostrando di voler scongiurare il rischio di inflazione e le eventuali bolle speculative, agendo da banca centrale responsabile, la Fed non puo' piu' fare un'altra svolta strategica e di immagine e comportarsi in maniera irresponsabile. Esattamente quello che servirebbe per evitare la trappola delladeflazione.

La Fed ha perso un'arma importante a sua disposizione, quella che le consetiva di poter segnalare che anche se il pericolo di un rialzo dei prezzi al consumo si dovesse fare pressante, non alzera' il piede dall'acceleratore fino a quando l'economia produttiva e' a pieno regime.

Secondo Krugman, agendo in modo preventivio proprio quando le cose sembrano sistemate, la Fed si e' giocata per sempre quella carta.

"E se la ripresa dovesse interrompersi e le previsioni inflative scendere ancora? La Fed potra' tornare indietro e mandare un messaggio credibile circa il fatto che non e' cosi' attaccata alle politiche monetarie convenzionali?" 

"Sarebbe difficile da credere". Prima che la festa avesse ancora inizio, ha gia' mostrato di essere pronta a ridurre le droghe di liquidita'. "Cosi' ha perso la partita in partenza".

"Spero che l'economia reale recuperi terreno a un ritmo che renda le mie paure ingiustificate. Ma se cosi' non dovesse essere, temo che la Fed abbia recato piu' danni di quanto immagini"

giovedì 20 giugno 2013

La Fed e la Cina pesano sulle Borse. Asia al peggior calo dal 2011, Europa in rosso

repubblica


Sui mercati finanziari domina la delusione dopo l'annuncio di Bernanke di andare verso la riduzione e il definitivo stop agli stimoli nel 2014. Tokyo cede l'1,7%, listini europei pesanti. Lo spread sale oltre 275 punti base. Si rafforza il dollaro, l'oro ai minimi da oltre due anni

MILANO - Ore 10.30. Doppio colpo pesante per i listini azionari mondiali, che nel giro di poche ore sono costretti a incassare l'annuncio della Federal Reservedi avviarsi verso lo stop alle misure di stimolo all'economia e poi i dati poco convincenti sull'economia cinese. Ieri il numero uno della Fed, Ben Bernanke, ha spiegato che il cielo sull'economia e sul mercato del lavoro a stelle e strisce si sta rasserenando. Per questo, se come da previsioni si andrà verso un tasso di disoccupazione al 6,5% nel 2014 (attualmente gli Usa sono al 7,6%), potrebbe essere "opportuno" ridurre gli acquisti di Bond (il programma è da 85 miliardi al mese) già alla fine di quest'anno per interromperli a metà 2014. Per il momento, comunque, i tassi restano al minimo storico tra lo 0 e lo 0,25% e la disponibilità a continuare gli acquisti - modulandoli secondo le necessità - è confermata.

Dall'altra parte del Pacifico, in Cina, arrivano segnali preoccupanti sull'espansione economica. L'indice Pmi manifatturiero dell'ex Celeste Impero - le previsioni dei responsabili degli acquisti, che anticipano il clima economico - è sceso ai minimi da 9 mesi a giugno. La rilevazione 
flash di Hsbc arretra a 48,3 punti, dai 49,2 punti di maggio, assestandosi ben al di sotto dei 50 punti che separano le fasi di espansione da quelle di contrazione dell'economia. Come da previsioni, continuando sulla debolezza di Wall Street di ieri sera, le azioni asiatiche hanno registrato pesanti ribassi. L'indice Msci Asia Pacific delle principali azioni della regione è arrivato a perdere oltre tre punti percentuali e mezzo, la peggior performance dal settembre 2011 e ai minimi da nove mesi. A Tokyo, l'indice Nikkei chiude in calo dell'1,74% mentre Seul perde 2%. Shanghai e Hong Kong arretrano di oltre due punti percentuali. Gli investitori sono rimasti scottati - quindi - del fatto che presto finiranno le iniezioni senza precedenti di liquidità sul mercato; una situazione, d'altra parte, che ha portato la finanza sempre più lontano dall'economia reale negli ultimi mesi. 

Anche in Europa la giornata dei mercati è all'insegna delle vendite. Piazza Affari contiene le perdite al -1,2%, facendo meglio delle altre. Londra retrocede infatti dell'1,85%, Francoforte del 2,3% e Parigi del 2%. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi, dopo un'iniziale stabilità, si allarga a 278 punti base; il rendimento dei titoli decennali italiani supera il 4,4% sul mercato secondario. Tra i singoli titoli milanesi si segnala Rcs, in controtendenza dopo la cessione dei periodici e con Diego Della Valle pronto a diventare primo socio al posto di Giuseppe Rotelli nell'aumento di capitale.

Le previsioni sulla ripresa economica americana portano l'euro sotto quota 1,33 dollari e il biglietto verde si rafforza. La moneta europea passa di mano a 1,3221 dollari, il cambio con lo yen è a 129,65. Non ha influenze sui mercati il fatto che l'indice Pmi composito della produzione della zona euro sia salito a 48,9 in giugno (47,7 a maggio), il valore massimo su 15 mesi. In Italia, invece, la produzione e gli ordinativi dell'industria sono migliorati ad aprile grazie all'estero. In Germania, infine, l'indice dei prezzi alla produzione è calato oltre le attese a maggio: -0,3% mensile e +0,2% annuo.

Molto attesi, nel pomeriggio, i dati sui sussidi per la disoccupazione americani, accompagnati dalla vendita di case esistenti, dal superindice dell'economia e dall'attività aziendale della Fed di Philadelphia. Ieri Wall Street, dopo il discorso di Bernanke, ha chiuso in netto calo: il Dow Jones ha lasciato sul terreno l'1,35% e il Nasdaq l'1,12%. Sul fronte delle materie prime, l'oro è in forte calo. Lo spot cede quasi cinque punti percentuali e scende verso 1.310 dollari l'oncia, ai minimi da oltre due anni. Tensioni anche sul prezzo del petrolio, in particolare dopo i dati negativi sull'attività manifatturiera cinese: il greggio Wti perde due punti percentuali e si porta in area 96 dollari al barile.

martedì 18 giugno 2013

Rating banche europee: Stress test per Unicredit, Intesa Sanpaolo e Commerzbank

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Il rating delle banche europee Unicredit, Intesa Sanpaolo e Commerzbank, sottoposte a stress test, mostra le tre banche come gli istituti in maggior difficoltà di liquidità rispetto ad altri istituti di credito europei, secondo uno studio della società di rating svizzera Independent Credit View. Dalla nota pubblicata l’agenzia sottolinea la fase di difficoltà a ridurre la propria leva finanziaria e la necessità di ulteriori capitali.

La società di rating Independent Credit View ha individuato 25 banche in Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Francia, Austria, Danimarca, Paesi Bassi, Polonia e Irlanda, con una carenza di capitale di 776 miliardi di euro, circa 1.040 miliardi dollari, “uno stress causato dall’elevata propensione a rischio su alcuni titoli di Stato”, ha dichiarato Christian Fischer, analista e partner bancario presso ICV, oggi a Zurigo. La società di rating non vede alcuna necessità di ulteriori iniezioni di capitale per le otto banche testate degli Stati Uniti e del Canada. “Le banche in Europa non ci hanno del tutto soddisfatti rispetto allo scorso anno”, ha detto Fischer. Gli Stati Uniti hanno già affrontato i problemi urgenti relativi al capitale, mentre in Europa le banche hanno ottenuto liquidità nella speranza ad un certo punto dell’avvento di tempi migliori. Questo flusso di denaro liquido non è riuscito a fluire verso l’economia, ma ad attivare una serie di operazioni di acquisto di titoli di Stato.
L’esposizione delle banche europee ai titoli sovrani dei paesi della regione supera i 1.000 miliardi di euro, una cifra colossale secondo ICV. Gli asset bancari sono aumentati del 9% tra il 2007 e il 2012, mentre le attività di rischio ponderato sono scese del 6% rispetto allo stesso periodo. Tutto ciò fa scaturire che le banche abbiano semplicemente sostituito alcune attività con dei titoli di Stato, con il fine di alleggerire il bisogno di mantenere meno capitale secondo ICV, ma non del tutto. Unicredit, la più grande banca d’Italia, possiede più di 96 miliardi di euro di titoli di Stato dell’Unione Europea, aumentando così le proprie necessità di capitale per un importo pari a quasi il 17% della sua capitalizzazione di mercato, se venissero richieste le riserve in possesso su tali attività. Procedono intanto positivi gli scambi a piazza affari a poco più di un’ora dalla chiusura, dove Unicredit guadagna l’1,76% a 4,04 e Intesa Sanpaolo registra un progresso dello 0,30% a 1,35 euro per azione. Indice Ftse mib a +0,15%.

Sofferenze bancarie mai così alte: niente prestiti

wsi
Sofferenze ai massimi in aprile (133 miliardi). In calo continuo da oltre un anno i finanziamenti a famiglie e aziende. Sale il numero di aziende ritardarie nei pagamenti.

ROMA (WSI) - Prestiti bancari in calo continuo da oltre un anno: secondo i dati dell'Abi, a maggio i finanziamenti a famiglie e imprese sono scesi di nuovo, per la tredicesima volta consecutiva, a 1.455,5 miliardi (-3,1% come ad aprile). 

Il totale degli impieghi è calato per il decimo mese a 1.893,5 miliardi (-2,7%).

ABI: SOFFERENZE AI MASSIMI, AD APRILE A 133 MILIARDI 

Le sofferenze delle banche italiane non sono mai state così alte. Ad aprile, secondo il rapporto Abi, le sofferenze lorde hanno superato i 133 miliardi, 2,3 in più rispetto a marzo (+22,3% annuo). Le nette hanno toccato i 66,4 miliardi, +2,2 mld su marzo e +32,9% su aprile 2012. L'Abi evidenzia la ancora "elevata rischiosità" dei prestiti.

ABI: PIU' IMPRESE RITARDATARIE SU PAGAMENTI, SONO OLTRE META'

Imprese italiane sempre più ritardatarie nei pagamenti dei loro debiti. Secondo quanto riferisce il Rapporto Abi riportando i dati dell'osservatorio Cerved sui protesti e i pagamenti delle imprese, oltre la metà delle aziende regola le proprie fatture in ritardo. In particolare, nel primo trimestre del 2013 la percentuale di imprese che regola le fatture con un ritardo fino a due mesi é salita al 45,6% dal 42,6% del primo trimestre del 2012, mentre la quota delle imprese che ritarda di oltre 60 giorni si é collocata al 9,2% dal 9,1%. 

Di converso la quota sul totale delle aziende che regola le fatture entro i tempi stabiliti con i fornitori è scesa al 45,2% dal 48,2%. Sempre secondo quanto emerge dall'Osservatorio sui protesti e i pagamenti delle imprese del Cerved Group, per le Pmi si osserva una quota più contenuta rispetto al totale delle imprese dei ritardi oltre i due mesi, salita nel primo trimestre del 2013 al 7,9% (7,6% nel primo trimestre 2012). 

La quota di imprese con ritardi inferiori a due mesi è passata dal 51,9% al 55,3%, mentre quella che regola le fatture entro i tempi stabiliti con i fornitori è scesa al 36,9% dal 40,5%. L'aumento dei ritardi con cui le imprese regolano le fatture verso i fornitori riguarda tutta l'economia, ma i dati confermano il perdurare delle difficoltà nell'edilizia. Si rileva, inoltre, come l'aumento dei tempi medi di liquidazione delle fatture delle Pmi è un fenomeno che riguarda tutta la Penisola, anche se i ritardi sono molto maggiori al CentroSud rispetto al Nord del Paese. 

Le regioni che mostrano una più elevata quota sul totale di imprese con gravi ritardi nei pagamenti (oltre 2 mesi) sono Calabria (17,6%), Sicilia (16,1%), Campania (14,7%), Molise (13,3%) e Lazio (12,6%). Su lato opposto, troviamo la Valle d'Aosta (1,8%), Trentino Alto Adige (3,3%) e Veneto (4,4%).

Il mutuo, nel frattempo, resta affare difficile per gli italiani ma l'impresa è decisamente più ardua in alcune regioni e più semplice in altre. Mutui.it, in collaborazione con Facile.it, ha analizzato oltre 5.000 fra richieste di finanziamento presentate e mutui erogati nel periodo gennaio-maggio 2013, rilevando un leggero aumento della percentuale di ottenimento del finanziamento (si passa dal 5% al 7%), ma seppur in salita continua a essere molto basso il numero delle domande presentate che si concretizzerà in un mutuo casa.

I più avvantaggiati sono i cittadini delle Marche, della Lombardia e della Liguria: qui siamo al di sopra della media nazionale, con percentuali di approvazione prossime o superiori al 10%. Seguono, sempre con cifre più alte della media nazionale, regioni come Piemonte (8,7%), Lazio e Umbria (entrambe al 7,5%).

Per trovare una regione del Mezzogiorno occorre andare oltre la metà della classifica, e scendere sotto la media italiana: in Campania ottiene il mutuo solo il 5% dei richiedenti, in Basilicata il 4,8%, in Puglia il 4,7%, mentre il fanalino di coda della classifica è rappresentato dalla Calabria, dove nemmeno 4 richieste su cento vengono accordate. (Ansa-TMNews)

giovedì 13 giugno 2013

Banca Mediolanum e il Mobile Payment

Ci sono mille modi per usare il telefonino.. ma dovremo abituarci ad usarlo così!
il futuro si avvicina..
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