di Roberto Abata
Tuttavia, le tesi allarmistiche del quotidiano della City faticano a trovare appigli oggettivi
Non fatevi illusioni, dopo il rally di venerdì e gli spread odierni con il Bund tornati sotto il livello di guardia. Perché oltreoceano c'è già chi sta scommettendo sulla spaccatura dell'euro. Lo scrive stamane a caratteri cubitali il Financial Times, quotidiano da sempre assai critico nei confronti della divisa comune europea, e che torna a riproporre visioni allarmistiche sulla crisi dei debiti nell'Ue. Lo fa però citando fonti anonime, secondo cui le banche di Wall Street starebbero manovrando per evitare di "vedersi pagare in dracme o pesetas" in uno scenario di uscita di un paese dall'euro.
In particolare, riporta il quotidiano della City, questi istituti avrebbero esortato clienti e controparti a tentare di ristrutturare, ove possibile, i contratti in modo da mettersi al riparo da eventualità di questo genere. Tuttavia, come fanno notare non pochi osservatori di casa nostra, quando si vanno a cercare riscontri oggettivi, le tesi allarmistiche del FT faticano a trovare appigli.
Il quotidiano, per esempio, cita dati della Securities and Exchange Commission, l'autorità di vigilanza sulla finanza Usa, sull'esposizione delle banche americane ai vari paesi dell'area euro ritenuti a rischio, i cosiddetti Piigs (o Giips),ossia Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia. Ma in questo caso, il quotidiano finanziario londinese deve riconoscere che ad oggi "nessuna banca ha drasticamente modificato la sua esposizione sui cinque paesi".
Morgan Stanley è scesa dai 6,5 miliardi di dollari di fine 2011 a 4,2, Goldman Sachs a 2,4 miliardi dai 5,2 del primo quarto dello stesso anno; mentre Bank of America mantiene un'esposizione netta ai Piigs di 9,6 miliardi (erano 12,7 a fine 2011), così come JP Morgan (12,5 miliardi dai 16 dello scorso anno). Insomma, forse è ancora presto per parlare di fuga dall'Eurozona. Ma domani forse chissà...
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