Repubblica
Se non ci sarà un'intesa entro questa sera, scatteranno indiscriminati aumenti delle tasse e tagli di spesa. Il presidente: "La colpa sarà dei repubblicani". Il nodo è sempre quello delle imposte sui redditi più alti
NEW YORK - Il tempo stringe, al baratro del 'fiscal cliff' mancano ormai poche ore e il presidente degli Stati Uniti Barack Obama lancia l'ultimo appello al Congresso perché si raggiunga un accordo che eviti un immediato ed indiscriminato aumento delle tasse e dei tagli alla spesa, destinato a colpire duramente l'economia americana. In un'intervista alla Nbc, nella popolarissima trasmissione della domenica Meet The Press, il capo della Casa Bianca avverte con toni durissimi gli avversari politici: "Senza un'intesa ci sarà una reazione negativa dei mercati". E la colpa - continua - sarà tutta dei repubblicani, "che hanno bloccato ogni compromesso fin da quando sono iniziati i negoziati, all'indomani della mia rielezione". Parole che evidenziano il nervosismo e la tensione che regna a Washington. Col presidente che prende un azzardo nell'attaccare i repubblicani nel pieno del fragilissimo negoziato.
Eppure la domenica era iniziata sotto i migliori auspici, con alcuni esponenti repubblicani che davano l'accordo per fatto, con voci su un'apertura del Grand Old Party sull'aumento delle tasse ai più ricchi e con Camera e Senato già convocati per votare. A frenare gli entusiasmi, però, non solo le parole di Obama ma anche le dichiarazioni che nel pomeriggio sono arrivate a Washington dai leader di maggioranza e minoranza del Senato: l'accordo è ancora lontano su molte delle questioni sul tavolo. Questo quando il tempo è oramai quasi scaduto.
La maratona al Congresso dunque continua. Il tentativo in extremis sarebbe quello di una sorta di accordo al ribasso che affronti soprattutto parte della questione fiscale, per impedire dal primo gennaio un aumento delle tasse che riguraderebbe tutti i contribuenti e colpirebbe in modo particolare la classe media.
Obama insiste per far pagare di più a chi guadagna oltre 250.000 dollari l'anno e i repubblicani sarebbero disponibili a considerare la soglia dei 400.000 dollari. Ma per molti commentatori quella che si profila nella migliore delle ipotesi è un'intesa ancor più ridotta di quel 'mini-accordo' di cui si parla da giorni. Con tutti i principali nodi legati alla riduzione del deficit che rimarrebbero irrisolti.
In questa situazione il presidente ha ribadito con forza la sua linea: se non si raggiunge un compromesso sul 'fiscal cliff' si voterà sul mio piano. E se questo sarà bocciato, allora l'amministrazione presenterà, subito dopo l'insediamento del nuovo Congresso in gennaio, una legge per ridurre le tasse alle famiglie della classe media. Classe media che - secondo i calcoli del prestigioso Tax Policy Center - nel 2013 verrebbe a pagare un conto molto più salato dei 2.000 dollari l'anno previsti da Obama: la stangata ammonterebbe esattamente a 3.446 dollari in più per ogni famiglia.
Intanto nell'ultimo giorno dell'anno, come già annunciato dal segretario al Tesoro Timothy Geithner, il debito pubblico raggiungerà i 16.400 miliardi di dollari, tetto fissato alla fine del 2011 al termine di un lungo braccio di ferro tra democratici e repubblicani. L'amministrazione Obama varerà dunque "misure eccezionali" per fare in modo che lo Stato continui a funzionare, mettendo sul piatto 200 miliardi di dollari che però - spiegano gli esperti - basteranno per arrivare solo a fine febbraio. Dopo di che, senza un nuovo accordo sul debito pubblico, l'America rischia il default: proprio come avvenne nell'estate del 2011, quando Standard&Poor's tolse la prestigiosa 'tripla A' agli Stati Uniti.
Eppure la domenica era iniziata sotto i migliori auspici, con alcuni esponenti repubblicani che davano l'accordo per fatto, con voci su un'apertura del Grand Old Party sull'aumento delle tasse ai più ricchi e con Camera e Senato già convocati per votare. A frenare gli entusiasmi, però, non solo le parole di Obama ma anche le dichiarazioni che nel pomeriggio sono arrivate a Washington dai leader di maggioranza e minoranza del Senato: l'accordo è ancora lontano su molte delle questioni sul tavolo. Questo quando il tempo è oramai quasi scaduto.
La maratona al Congresso dunque continua. Il tentativo in extremis sarebbe quello di una sorta di accordo al ribasso che affronti soprattutto parte della questione fiscale, per impedire dal primo gennaio un aumento delle tasse che riguraderebbe tutti i contribuenti e colpirebbe in modo particolare la classe media.
Obama insiste per far pagare di più a chi guadagna oltre 250.000 dollari l'anno e i repubblicani sarebbero disponibili a considerare la soglia dei 400.000 dollari. Ma per molti commentatori quella che si profila nella migliore delle ipotesi è un'intesa ancor più ridotta di quel 'mini-accordo' di cui si parla da giorni. Con tutti i principali nodi legati alla riduzione del deficit che rimarrebbero irrisolti.
In questa situazione il presidente ha ribadito con forza la sua linea: se non si raggiunge un compromesso sul 'fiscal cliff' si voterà sul mio piano. E se questo sarà bocciato, allora l'amministrazione presenterà, subito dopo l'insediamento del nuovo Congresso in gennaio, una legge per ridurre le tasse alle famiglie della classe media. Classe media che - secondo i calcoli del prestigioso Tax Policy Center - nel 2013 verrebbe a pagare un conto molto più salato dei 2.000 dollari l'anno previsti da Obama: la stangata ammonterebbe esattamente a 3.446 dollari in più per ogni famiglia.
Intanto nell'ultimo giorno dell'anno, come già annunciato dal segretario al Tesoro Timothy Geithner, il debito pubblico raggiungerà i 16.400 miliardi di dollari, tetto fissato alla fine del 2011 al termine di un lungo braccio di ferro tra democratici e repubblicani. L'amministrazione Obama varerà dunque "misure eccezionali" per fare in modo che lo Stato continui a funzionare, mettendo sul piatto 200 miliardi di dollari che però - spiegano gli esperti - basteranno per arrivare solo a fine febbraio. Dopo di che, senza un nuovo accordo sul debito pubblico, l'America rischia il default: proprio come avvenne nell'estate del 2011, quando Standard&Poor's tolse la prestigiosa 'tripla A' agli Stati Uniti.
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