giovedì 7 novembre 2013

Bce sorprende, taglia i tassi allo 0,25%

Nuovi minimi storici. Spiazzata buona parte degli investitori, che non si attendevano un taglio così presto. Euro buca $1,34.

FRANCOFORTE (WSI) - Bce sorprende il mercato riducendo i tassi allo 0,25% ai nuovi minimi storici. Spiazzata buona parte della comunità degli investitori che si attendevano un taglio, ma non così presto.

A convincere Mario Draghi sono stati probabilmente due fattori su tutti: la forza dell'euro e i crescenti timori di uno scenario deflattivo. È un messaggio chiaro e forte quello del banchiere. 

Prima della decisione la moneta unica scambiava in calo dello 0,2% a $1,3486. Dopo buca quota 1,34, attestandosi a 1,3397 dollari (-0,87%). 

Abbassando ancora i tassi già ai minimi storici la Banca centrale europea ha spiazzato gli analisti e scosso il mercato del Forex. Se da un lato, dopo l'ultimo e più marcato rallentamento dell'inflazione, gli analisti di Bank of America, Ubs ed Rbs scommettevano su una riduzione del costo del denaro già da oggi, gli strategist di Bnp Paribas, Societe Generale, JpMorgan e Scotiabank vedevano più probabile un rinvio a dicembre, quando Francoforte pubblicherà le nuove proiezioni sull'economia nel blocco a 18.

Il supereuro, la caduta dell'inflazione e la persistente stretta creditizia nell'Unione valutaria sono al centro dei lavori del direttorio della Bce iniziato stamattina.

Per ora, in assenza di segnali espliciti dell'istituzione, nella maggioranza dei casi gli analisti non prevedono variazioni sui tassi di interesse rispetto al minimo storico dello 0,50 per cento. Le ipotesi su eventuali tagli sono piuttosto su dicembre, ma non sono escluse novità su liquidità supplementari al sistema economico.

L'annuncio sui tassi di interesse è atteso allo 13 e 45. Alle 14 e 30 il presidente Mario Draghiterrà la consueta conferenza stampa esplicativa, in cui solitamente vengono annunciate eventuali ulteriori decisioni operative.

Intanto negli ultimi giorni le pressioni sulla Bce si sono decisamente accresciute. Soprattutto dopo che lo scorso 31 ottobre i dati Eurostat hanno riservato una doppia doccia fredda alle speranze di ripresa dell'area euro. Da un lato l'inflazione ha accusato una moderazione ben più marcata del previsto, finendo sotto allo 0,7 per cento su base annua, un vero e proprio collasso con cui è tornata ai minimi dal 2009 , quando si era in piena recessione globale nel dopo crisi finanziaria del 2007-2008. Dall'altro la disoccupazione è rimasta inchiodata al massimo storico del 12, per cento.

Difficile quindi poter contare in energici contributi della domanda interna alla ripresa di Eurolandia. E al tempo stesso anche il canale estero sembra compromesso rispetto a qualche mese fa. Perché l'euro ha registrato una vera e propria impennata, fino a toccare 1,38 dollari di recente. Proprio le recenti attese di una reazione della Bce a questi sviluppi - assieme ad un ridimensionamento specularmente delle previsioni di linea soft della Federal Reserve negli Usa - hanno favorito una modesta retromarcia della valuta, che da ieri si è stabilizzata attorno a 1,35 dollari. 

Anche così, però, l'euro resta di quasi il 6 per cento più alto rispetto al minimo toccato sul dollaro nel luglio scorso. E un rafforzamento valutario è proprio quello che non ci voleva in una fase in cui l'Unione valutaria sta faticosamente cercando di ritrovare crescita, dopo una lunga fase di ricaduta in recessione. 

In questi giorni alla Bce, direttamente o meno, sono giunti richiami o sollecitazioni tanto autorevoli quanto inconsueti. Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, già direttore generale della Banca d'Italia quando governatore era ancora Draghi, ha messo in guardia da un euro che sui mercati "oggi è la valuta più forte del mondo, rispetto al dollaro, il renmimbi, la sterlina e il franco svizzero". E il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn, ha puntato il dito sul fatto che ormai l'inflazione è "chiaramente al di sotto dei livelli obiettivo della Bce", salvo poi puntualizzare di non voler prevaricare l'autonomia della Bce.

L'Eurotower ha il mandato istituzionale a garantire la stabilità dei prezzi. Che in tempi normali significa evitare che l'inflazione salga troppo. Ma in tempi difficili, come restano quelli attuali, può anche voler dire evitare che il caro vita cali troppo. Perché secondo la teoria economica dominante, l'assenza di inflazione, o peggio ancora la deflazione, mina il fatturato delle aziende e in questo modo le loro capacità di investire e creare occupazione. In pratica rischia di soffocare l'economia. Tanto che l'obiettivo ufficiale dell'istituzione di Francoforte è di una crescita dei prezzi al consumo che su 18 mesi circa di media si mantenga "inferiore ma prossima al 2 per cento su base annua".

Quando vuole contrastare le spinte al rialzo dell'inflazione una banca centrale tende ad alzare i tassi di interesse. Quando invece consumi e salari languono, allora può cercare di stimolare la domanda abbassando i tassi. Certo il margine di intervento della Bce in questa direzione è ormai ridotto a solo mezzo punto percentuale. D'altronde negli Usa la Fed ha tenuto i tassi a zero fin dalla recessione del 2009.

Posto che nell'era Draghi non si possono escludere sorprese, difficilmente però oggi verranno effettuate modifiche sul costo del danaro che prenderebbero il mercato in contropiede. Ieri i dati definitivi sulle indagini dell'attività delle imprese hanno in parte ridimensionato la portata del rallentamento segnato ad ottobre. Inoltre a dicembre il direttorio avrà un quadro più completo in base al quale prendere decisioni, con le previsioni aggiornate del proprio centro studi interno su crescita e inflazione.

Qualche novità invece si potrebbe avere sulle liquidità alle banche. Da tempo circola l'ipotesi di effettuare una nuova sta di rifinanziamenti agevolati di lungo termine (Ltro). E le ultime indagini della stessa Bce hanno evidenziato il protrarsi di difficoltà nell'approvvigionamento di credito bancario per l'economia reale. (TMNEWS)

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