Francoforte potrebbe cedere 40 miliardi di titoli al fondo
TONIA MASTROBUONI
Dopo le «fortissime pressioni» che secondo indiscrezioni continuano ad arrivare dal Fondo monetario internazionale perché la Bce partecipi alla ristrutturazione del debito greco, è arrivato ieri Jean-Claude Juncker a rendere ormai asfissiante l’accerchiamento di Francoforte. Il presidente dell’Eurogruppo ha detto a Le Figaro che la questione del taglio sui circa 40 miliardi di euro detenuti dall’Eurotower «si pone». E l’influente Joseph Ackermann, presidente dell’Iif, l’organizzazione dei creditori verso Atene, ha fatto eco al concetto analogo già espresso dal direttore generale Dallara giorni fa.
Tra i 23 banchieri di Francoforte la discussione sulla partecipazione ai sacrifici che i privati stanno negoziando con il governo greco continua, nonostante le smentite. Il nodo legale sembrava ad oggi - molto più delle ricadute economiche che verrebbero spalmate sulle 17 banche centrali - il vero scoglio insormontabile per una ristrutturazione dei bond detenuti dalla Bce. Ma fonti qualificate dell’Eurotower sostengono che si comincia a ragionare attorno alla possibilità di aggirare i vincoli dei Trattati, sfruttando il fondo salva-Stati Efsf. «L’idea è quella di girare i titoli ellenici al fondo salva-Stati. I vincoli dei Trattati sarebbero, in questo modo, rispettati», sostiene la fonte. Ad aiutare direttamente un Paese europeo partecipando a un negoziato su uno scambio di titoli di Stato fianco a fianco delle banche sarebbe, a quel punto, Klaus Regling e non Mario Draghi.
Tuttavia ai vertici della Bce si sarebbe creata, su questo delicato dossier, una divisione. Contrariamente ad alcune voci che parlano della solita spaccatura tra «falchi» e «colombe», cioè tra Paesi nordici, più rigorosi e guardiani dell’ortodossia, e meridionali, più propensi a far assumere alla Banca centrale la flessibilità necessaria a superare i momenti di crisi, «le cose non stanno così» secondo una fonte dell’Eurotower. Per fare un facile gioco di parole, «in questo caso non c’è in ballo l’inflazione ma l’esposizione», continua. Quanto a Draghi, agli osservatori più attenti è già saltato agli occhi che ha un approccio più pragmatico alla vexata quaestio rispetto al suo predecessore, Jean-Claude Trichet. Il francese aveva sempre ripetuto rigidamente che la Bce restava fuori dai negoziati sulla ristrutturazione greca. Di recente l’ex governatore della Banca d’Italia ha risposto alla domanda diretta «vedremo come va il negoziato (coi creditori privati, ndr) e poi ci faremo un’idea».
A guidare i ragionamenti dei membri del governing council anche di «area germanica», chiamiamola così, è il grado di esposizione verso la Grecia delle banche dei propri Paesi. Se i negoziati sulla ristrutturazione, che sono ripresi ieri sera ad Atene con un incontro definito «informale» tra Dallara e ilpremier greco Lucas Papademos si arenassero definitivamente, il Paese dell’Egeo fallirebbe, con conseguenze devastantisui creditori. Ovvio che i Paesi con gli istituti di credito più appesantiti da bond greci sono i più disponibili a ragionare su una partecipazione Bce alla ristrutturazione cosiddetta «volontaria». Anche in Germania, per dire, sull’ortodossia vince il portafoglio, in questo caso.
Ieri il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha detto a Reuters che «ci sarà bisogno di aumentare le risorse pubbliche» per aiutare Atene, «anche se non con cifre drammatiche». È la prima volta che la Commissione Ue ammette che il nuovo piano da 130 miliardi per salvare la Grecia concordato ad ottobre e strettamente vincolato alla ristrutturazione del debito non basterà. Fonti della troika parlano di progressi «catastrofici» del risanamento greco e stamane il ministro delle Finanze tedesco Schäuble sostiene su un quotidiano di averne «abbastanza degli annunci: il governo di Atene deve continuare ad agire». Altrimenti, niente nuovi aiuti.
I mercati, intanto, continuano a ignorare lo stallo sui negoziati, contrariamente a qualche settimana fa. Forse fanno già i conti con l’ipotesi peggiore. Ma intanto, la ricetta della Fed che ha fatto sapere mercoledì che manterrà i tassi ai minimi fino al 2014 e che è pronta a usare altre munizioni per scongiurare scossoni sui mercati, ha messo la ali ai listini. Effetti che si combinano positivamente con quelli della megaasta dicembrina della Bce da 489 miliardi e che stanno regalando anche al mercato dei bond statali un po’ di respiro. L’asta italiana con scadenza a gennaio del 2014 ha collocato tutti i 4,5 miliardi di Ctz offrendo un rendimento al 3,7 per cento. E anche i rendimenti sui nostri decennali è sceso per la prima volta da dicembre sotto il 6 per cento. Tradotto in differenziale con il Bund tedesco, ha chiuso a 418 punti.
Tra i 23 banchieri di Francoforte la discussione sulla partecipazione ai sacrifici che i privati stanno negoziando con il governo greco continua, nonostante le smentite. Il nodo legale sembrava ad oggi - molto più delle ricadute economiche che verrebbero spalmate sulle 17 banche centrali - il vero scoglio insormontabile per una ristrutturazione dei bond detenuti dalla Bce. Ma fonti qualificate dell’Eurotower sostengono che si comincia a ragionare attorno alla possibilità di aggirare i vincoli dei Trattati, sfruttando il fondo salva-Stati Efsf. «L’idea è quella di girare i titoli ellenici al fondo salva-Stati. I vincoli dei Trattati sarebbero, in questo modo, rispettati», sostiene la fonte. Ad aiutare direttamente un Paese europeo partecipando a un negoziato su uno scambio di titoli di Stato fianco a fianco delle banche sarebbe, a quel punto, Klaus Regling e non Mario Draghi.
Tuttavia ai vertici della Bce si sarebbe creata, su questo delicato dossier, una divisione. Contrariamente ad alcune voci che parlano della solita spaccatura tra «falchi» e «colombe», cioè tra Paesi nordici, più rigorosi e guardiani dell’ortodossia, e meridionali, più propensi a far assumere alla Banca centrale la flessibilità necessaria a superare i momenti di crisi, «le cose non stanno così» secondo una fonte dell’Eurotower. Per fare un facile gioco di parole, «in questo caso non c’è in ballo l’inflazione ma l’esposizione», continua. Quanto a Draghi, agli osservatori più attenti è già saltato agli occhi che ha un approccio più pragmatico alla vexata quaestio rispetto al suo predecessore, Jean-Claude Trichet. Il francese aveva sempre ripetuto rigidamente che la Bce restava fuori dai negoziati sulla ristrutturazione greca. Di recente l’ex governatore della Banca d’Italia ha risposto alla domanda diretta «vedremo come va il negoziato (coi creditori privati, ndr) e poi ci faremo un’idea».
A guidare i ragionamenti dei membri del governing council anche di «area germanica», chiamiamola così, è il grado di esposizione verso la Grecia delle banche dei propri Paesi. Se i negoziati sulla ristrutturazione, che sono ripresi ieri sera ad Atene con un incontro definito «informale» tra Dallara e ilpremier greco Lucas Papademos si arenassero definitivamente, il Paese dell’Egeo fallirebbe, con conseguenze devastantisui creditori. Ovvio che i Paesi con gli istituti di credito più appesantiti da bond greci sono i più disponibili a ragionare su una partecipazione Bce alla ristrutturazione cosiddetta «volontaria». Anche in Germania, per dire, sull’ortodossia vince il portafoglio, in questo caso.
Ieri il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha detto a Reuters che «ci sarà bisogno di aumentare le risorse pubbliche» per aiutare Atene, «anche se non con cifre drammatiche». È la prima volta che la Commissione Ue ammette che il nuovo piano da 130 miliardi per salvare la Grecia concordato ad ottobre e strettamente vincolato alla ristrutturazione del debito non basterà. Fonti della troika parlano di progressi «catastrofici» del risanamento greco e stamane il ministro delle Finanze tedesco Schäuble sostiene su un quotidiano di averne «abbastanza degli annunci: il governo di Atene deve continuare ad agire». Altrimenti, niente nuovi aiuti.
I mercati, intanto, continuano a ignorare lo stallo sui negoziati, contrariamente a qualche settimana fa. Forse fanno già i conti con l’ipotesi peggiore. Ma intanto, la ricetta della Fed che ha fatto sapere mercoledì che manterrà i tassi ai minimi fino al 2014 e che è pronta a usare altre munizioni per scongiurare scossoni sui mercati, ha messo la ali ai listini. Effetti che si combinano positivamente con quelli della megaasta dicembrina della Bce da 489 miliardi e che stanno regalando anche al mercato dei bond statali un po’ di respiro. L’asta italiana con scadenza a gennaio del 2014 ha collocato tutti i 4,5 miliardi di Ctz offrendo un rendimento al 3,7 per cento. E anche i rendimenti sui nostri decennali è sceso per la prima volta da dicembre sotto il 6 per cento. Tradotto in differenziale con il Bund tedesco, ha chiuso a 418 punti.
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