venerdì 24 ottobre 2014

Buoni Postali, delusi troppi italiani. Cosa fare per chi li ha ancora in portafoglio

C'è chi si aspettava di ricevere circa 90 mila euro, maturati in un trentennio. E che si è sentito dire che le regole erano cambiate. E che dunque avrebbe ricevuto la metà.

MILANO (WSI) - Torna calda la questione dei Buoni Postali che hanno deluso molti risparmiatori, rendendo meno di quanto promettevano all’inizio. 

Le Poste dicono che il taglio dei tassi durante gli anni è avvenuto a norma di legge, ma l’avvocato Marta Buffoni di Novara contesta che le cose stiano davvero così e ha promosso una serie di cause, ottenendo (per intanto) un primo risultato: tutti quelli che si sono rivolti a lei e si sono visti versare immediatamente egli interessi nella misura richiesta per ordine del Giudice. 

«Non è una vittoria definitiva - avverte l’avvocato - adesso bisogna aspettare le sentenze. Certamente si tratta di un passaggio importante verso una concreta tutela dei diritti dei risparmiatori». 

Ora si avvicina una data importante perché il 31 dicembre vanno in scadenza i Buoni postali trentennali serie O emessi nel 1984. Marta Buffoni lancia un appello ai titolari di buoni: «Non abbiate fretta di incassare alla scadenza, perché ci sono dieci anni per farlo. Se il conteggio presentato dall’impiegato postale non vi convince, fermatevi e fatevi aiutare da un esperto, per non compromettere definitivamente i vostro diritto a ottenere il rimborso del valore complessivo.». 

L’avvocato Buffoni è sovente inviata a parlare dell’argomento. La prossima conferenza per illustrare la questione; è fissata per sabato 25 a Borgosesia (Vercelli) organizzata dalla società di consulenza Utilia.org srl.

Ma in che cosa consiste il problema? Ecco un esempio che spiega tutto: in uno dei casi che l’avvocato ha avuto occasione di esaminare, il cliente era titolare di cinque buoni postali ordinari trentennali da 5 milioni l’uno che hanno raggiunto la scadenza. 

Si è presentato a incassarli, sulla base di quello che c’è scritto sugli stessi buoni si aspettava di ricevere circa 90 mila euro, maturati in un trentennio. E invece in Posta gli hanno detto che in base a certe regole, cambiate nel frattempo, ma cambiate a sua totale insaputa, gli vogliono liquidare circa la metà. 

Ai buoni postali si rivolgono soprattutto investitori poco esperti: casalinghe, pensionati. Ma nel lungo termine si sono rivelati un investimento molto azzeccato e remunerativo, «purché i patti vengano rispettati», dice l’avvocato Buffoni. Purtroppo da un certo punto in avanti non c’è stata più corrispondenza fra quanto scritto sui buoni e quanto maturava davvero. «I rendimenti sono stati più volte ridotti per legge, nel corso degli anni» dice l’avvocato Buffoni «ma i risparmiatori non sono stati adeguatamente informati sul rischio di riduzione dei tassi collegato all’operazione di investimento». 

Riportiamo la risposta scritta delle Poste a questi rilievi: «Poste Italiane, in quanto collocatore di prodotti di terzi, si è limitata ad applicare la variazione dei rendimenti come previsto dal decreto del ministero del Tesoro del 13/6/1986. La modifica del tassi di interesse rispetto a quanto riportato sul retro dei Buoni Postali Fruttiferi è stata disposta dal Ministro del Tesoro di concerto con il Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, e resa nota mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 148 del 28/06/1986». 

L’avvocato ritiene che l’obiezione delle Poste (formalmente ineccepibile) secondo cui tutto è stato fatto a termini di legge non impedirà di vedere le proprie difese accolte. 

La società Utilia.org srl si propone di sensibilizzare i risparmiatori nella conferenza «Buoni Fruttiferi Postali e rendimenti dimezzati: parliamone» fissata per sabato 25 ottobre, alle 10 del mattino, presso la Sala Congressi del Centro direzionale Lingottino di Borgosesia (Vercelli), in viale Varallo 33. 

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

Copyright © La Stampa. All rights reserved

mercoledì 22 ottobre 2014

Rumor: 11 banche non supereranno stress test Bce, di cui tre italiane

wallstreetitalia

Ecco tutti i nomi. Bocciati anche istituti di Grecia, Portogallo, Austria, Cipro, Belgio

ROMA (WSI) - Le indiscrezioni mettono in agitazione gli operatori di tutto il mondo. Stando a quanto riportato dall'agenzia di stampa spagnola Efe, almeno undici banche europee non supereranno gli stress test della Bce.

Tra queste, tre italiane, tre greche e due austriache. I risultati ufficiali arriveranno nella giornata di domenica. Le italiane a essere state bocciate dalla Bce sono, secondo Efe, Banco Popolare, Monte dei Paschi di Siena e Banca Popolare di Milano. Le greche Alpha Bank, Piraeus Bank e Eurobank. 

L'agenzia ha fatto anche il nome della banca austriaca Erste, aggiungendo che altri istituti che non supereranno il test saranno anche la portoghese Millennium BCP e la belga Dexia. 

Nessun dettaglio è stato dato sull'ammontare dei buchi delle banche interessate.

Intanto immediata è stata la reazione della banca austriaca Erste Group Bank AG, che ha smentito il rumor, secondo cui sarebbe una delle 11 banche malate. No comment da parte invece di altri istituti menzionati. 

L'agenzia di stampa Efe ha parlato anche di un'altra banca austriaca e di una cipriota bocciate, senza fare però in questo caso i nomi.

La Bce ha riferito di non poter rilasciare commenti su istituti specifici o su speculazioni, ribadendo che i risultati finali saranno resi noti il prossimo 26 ottobre. Detto questo, le banche sono state già contattate sugli esiti degli stress test, attraverso "dialoghi di supervisione" con l'Eurotower; i risultati finali saranno trasmessi agli istituti giovedì, ovvero domani 23 ottobre, prima dell'annuncio pubblico di domenica, una settimana prima che la Bce diventerà ufficialmente organo di supervisione delle banche dell'Eurozona.

lunedì 20 ottobre 2014

Rientro dei capitali. La voluntary disclosure approvata alla camera

Immagine tratta da Ilsole24Ore di sabato 18 ottobre

Si scrive voluntary disclosure si legge sanatoria fiscale

E' l'operazione di far rientrare i capitali dei contribuenti italiani detenuti all'estero (ma si rivolge anche alle omesse dichiarazioni in Italia), un gettito mancato per l'Erario. 

Precisamo, non è uno "scudo fiscale", che somigliava ad un'operazione simile al riciclaggio di Stato, consentendo di pagare una minima percentuale di quanto dovuto, per giunta con il doppio scudo dell'anonimato e dell'assoluta mancanza di sanzioni penali.Quello dell'attuale maggioranza non è uno scudo, ma una sanatoria. 

Con la voluntary disclosure niente sanzioni penali (Non punibilità per omessa dichiarazione, non punibilità su omesso versamento dell'IVA e alle ritenute non operate come sostituto d'imposta, depenalizzazione della frode fiscale) e ravvedimento "speciale" su quanto evaso: chi farà rientrare i capitali pagherà quanto deve di tasse e intergrerà con delle lievi sanzioni ridotte (il tutto su più annualità). "Bastone e carota" secondo la definizione data da un parlamentare PD. A dire il vero si vede molta carota e poco bastone. Ma, abituati agli scudi fiscali dei primi anni Duemila, sembra un gran successo.

"Chi riemerge ha forti facilitazioni monetarie e non rischia di essere imputato per vari reati, chi non riemerge rischia non solo i reati tributari ma anche il nuovo reato di autoriciclaggio" ha sostenuto il relatore del provvedimento, il piddino Marco Causi.