mercoledì 19 novembre 2014

La bufala dell' “imminente prelievo forzoso” dai conti correnti

dal sito di ADUC associazione consumatori

Sono anni ormai che di tanto in tanto riemerge in rete una “notizia” relativa ad un “imminente prelievo forzoso” sui conti correnti nell'ordine del 10%. Ci giungono domande al servizio Aduc Investire Informati nelle quali ci chiedono come poter portare legalmente i soldi all'estero per evitare questo prelievo che, secondo alcuni, sarebbe imminente a settembre o comunque entro fine anno.
Lo diciamo chiaro e tondo: non esiste minimamente la possibilità che un tale prelievo venga fatto entro l'anno e riteniamo altissimamente improbabile che venga MAI fatto.

La “notizia-bufala” che gira recentemente sosterrebbe il Fondo Monetario Internazionale avrebbe ormai deciso questo provvedimento. Secondo alcune versioni della bufala sarebbe un provvedimento che riguarderebbe tutta l'Europa, secondo altre versioni, invece, sarebbe limitato all'Italia.
Chiunque abbia un minimo di cultura generale capisce che il Fondo Monetario Internazionale non ha alcun potere per decidere alcunché su questo tema e quindi non meriterebbe neppure approfondire la “notizia-bufala”. Ma se poi proprio si vuole approfondire ci si rende conto che lo stesso FMI si è preso la briga di scrivere una nota (risalente già ad ad Ottobre scorso) nella quale ha smentito di aver mai raccomandato una cosa del genere. L'equivoco è nato da un piccolo box pubblicato a pagina 49 della pubblicazione “Fiscal Monitor” del FMI (dell'ottobre 2013). Si tratta di una pubblicazione tecnica che è rivolta essenzialmente agli uffici studi. Non è in nessun modo una pubblicazione che possa prefigurare “imminenti decisioni” di nessun tipo. In questo box si diceva semplicemente che la situazione delle finanze pubbliche deteriorate di molti Paesi ha “ravvivato l'interesse” (testuale) per una patrimoniale sulla ricchezza privata e poi ha calcolato quanto servirebbe prelevare per riportare il debito ai livelli del 2007.

Quindi ci sentiamo di rassicurare tranquillamente chiunque. Non c'è nessun bisogno di portare i soldi all'estero se lo si fa solo per il timore di questa ipotesi che – lo ripetiamo – non è nel novero delle cose possibili né a breve, ma molto probabilmente neppure in futuro a meno che non accadano fatti ad oggi imprevedibili.

Visto che siamo in tema, aggiungiamo anche le ragioni per le quali riteniamo, a prescindere da come sia nata questa bufala, che un prelievo del 10% dai conti correnti sarebbe un suicidio sia economico che politico.
Sul piano politico è evidente che chiunque facesse una cosa del genere firmerebbe la sua dipartita dallo scenario politico. Che l'attuale Governo, guidato da un politico notoriamente particolarmente attento alla costruzione del consenso popolare, possa fare una scelta del genere è qualcosa che solo uno sprovveduto può pensare.
Sul piano economico, abbassare il rapporto Debito/Pil con un'operazione del genere è semplicemente pura follia poiché un provvedimento del genere implicherebbe una drastica diminuzione del PIL che farebbe peggiorare e non migliorare il rapporto Debito/PIL.

La realtà è che il contesto politico è significativamente cambiato rispetto al periodo buio nel quale regnava il folle dogma dell'austerità di stampo tedesco. Se, finalmente, sul piano monetario si è capito che la strada intrapresa era completamente sbagliata ancora non sono completamente maturi i tempi per comprendere che l'unico modo per uscire totalmente dalla crisi è il deficit-spending (che si può fare sia facendo investimenti produttivi, sia con significative riduzioni delle tasse, sia con una combinazione delle due cose).
Nel periodo più buio della così detta crisi del debito abbiamo scritto molto volte che noi non vedevamo nessuna ragione per il tanto temuto (allora) break up dell'Euro. Ciò perché in primo luogo il vero problema non è il debito pubblico, ma il governo della moneta. Secondariamente perché, dicevamo allora, la BCE ha tutti gli strumenti per evitare il break up e poiché il primo interesse diretto della BCE è quello di preservare sé stessa (e la BCE esiste solo fino a quando esiste l'Euro) non vi è alcun dubbio che l'Euro rimarrà. Il problema, allora, era il consenso politico affinché la BCE potesse fare determinate scelte. Passato un po' di tempo sono maturate le condizioni politiche e la BCE, di fatto, ha salvato l'Euro.

Oggi la situazione è simile. Quello che è necessario fare affinché la ripresa economica che sta ancora stentando si manifesti concretamente (e – sopratutto - sia in grado di creare posti di lavoro) è stranoto a chiunque si occupa di queste cose. L'unico modo è fare deficit, cioè mettere nelle tasche dei cittadini più soldi di quanto lo Stato prelievi. Questo innesca la ripresa, fa aumentare il PIL e, in ultima analisi, dopo un po' di tempo, fa diminuire il rapporto Debito/Pil. E' controintuitivo (come spesso lo è la macroeconomia) ma per ridurre il Debito/Pil bisogna fare debito.
Ad oggi, però, non ci sono ancora le condizioni politiche. Le condizioni politiche dipendono essenzialmente dalla “narrazione” del momento. Attualmente c'è ancora l'ossessione del debito, ma molto meno di quanto ci fosse alcuni trimestri fa. Il nostro debito pubblico attuale è peggiore di quello di qualche trimestre fa, ma – come si è visto – non succede niente di drammatico perché il problema è appunto come si governa la moneta ed i tassi d'interesse, non la quantità di debito che c'è (ovviamente entro un certo limite ed in rapporto con tanti altri dati macroeconomici).

A nostro avvisto le condizioni politiche stanno maturando affinché si possano fare anche gli ultimi passi, dopo aver impostato la politica monetaria verso una sostanziale espansione ed aver abbattuto l'irrazionale terrore dell'inflazione che hanno i tedeschi arriverà il tempo di abbattere l'irrazionale terrore verso le politiche di deficit spending. Le ultime elezioni europee hanno ridotto in maniera consistente le forze politiche pro-austerità, ma ciò che più conta è che – finalmente! - le conseguenze di queste folli politiche stanno iniziando a toccare anche la Germania in modo abbastanza visibile. Quando queste conseguenze inizieranno a toccare i cittadini tedeschi nel vivo, molto probabilmente inizierà a prendere piede una nuova narrazione. Forse servirà ancora qualche trimestre, ma alla fine i fatti sono più caparbi anche delle narrazioni. Per uscire da una crisi come quella in cui ci siamo cacciati servono politiche monetarie (che ormai sono state attuate e sono in corso di attuazione) e deficit spending. Gli USA sono usciti in questo modo (molti si sono scordati che non è stata solo la FED, ma l'enorme deficit di bilancio fatto dagli USA nel 2008/2009 ad innescare la ripresa che ha portato molti posti di lavoro negli anni successivi) ed è sempre stato così. Anche l'Europa, quando uscirà definitivamente, lo farà solo abbandonando definitivamente il folle dogma dell'austerità.

Tutto questo va nella direzione esattamente opposta alla bufala dell' “imminente prelievo forzoso” sui conti correnti che (siamo assolutamente certi) non avverrà quest'anno e non avverrà mai, a meno che non intervengano fatti totalmente nuovi e ad oggi totalmente imprevedibili. 

Prelievo forzoso conto corrente: torna il rischio in Italia

http://consulenza.soldiweb.com/

Si torna a parlare sul prelievo forzoso conto corrente: ecco le novità

Torna l'ipotesi del prelievo forzoso sui conti correnti in Italia e l'UE. Un documento non ufficiale della Commissione europea e dellaBce potrebbe prevedere, secondo alcune indiscrezioni su Il Giornale, "l'intervento diretto di azionisti, detentori di obbligazioni e correntisti in eventuali salvataggi bancari", minacciando i risparmiatori.

PRELIEVO FORZOSO - Ancora una volta si torna a parlare del prelievo forzoso sui conti correnti. Le indiscrezioni arrivano da Bruxelles e parlano di un testo che prevedrebbe una disposizione che elimina, in casi gravi, la tutela dei correntisti con giacenze sotto i 100mila euro.

L’ALLARME - È stato l’eurodeputato leghista, Gianluca Buonanno, a lanciare l’allarme, affermando che “Noi parlamentari abbiamo a disposizione i testi ufficiali dell’Ecofin e dell’Eurogruppo, stilati in aprile e a luglio, che contengono solo il piano organizzativo del ‘Meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie’. La verità, secondo quanto ci rivelano fonti interne alla Commissione, sarebbe ben diversa ed è per questo che abbiamo presentato l’interrogazione: voglio vedere se, questa volta, ci diranno tutto“.


L’IPOTESI DEL FMI - Sin dall’autunno scorso si parla dell’ipotesi di un prelievo forzoso sui conti correnti, quando il Fondo monetario internazionale ha sostenuto che per rimediare l’esperimento fallito della moneta unica europea, bisogna prelevare forzosamente il 10% sui saldi dei conti correnti di 15 paesi dell’eurozona.

MONITOR DELLE FINANZE - Lo riportava il giornale americano Wall Street Journal in un articolo intitolato Monitor delle finanze pubbliche. Secondo il Fmi, con questo 10% si potrebbe riportare il debito sovrano del blocco ai livelli pre-crisi. Anziché appesantire il carico fiscale delle aziende e ridurre gli stipendi, scriveva il giornale, è meglio impiegare i capitali dormenti.

DIMINUIRE IL DEBITO - Era stato suggerito, in particolare, un tasso di prelievo del 10% sui risparmi netti positivi delle famiglie di 15 paesi della zona euro. Così, il Fondo sollecita alla Bce e l’Ue di considerare quest’ipotesi, visto che non sono molte le alternative per diminuire il debito pubblico. Secondo il Fmi, una nuova tassa sul patrimonio o il ricorso all’inflazione non fanno altro che peggiorare la situazione, colpendo le fasce più deboli della popolazione.

martedì 11 novembre 2014

Rivoluzione catastale, abitazioni rivalutate in futuro anche del 180 per cento

Via al primo decreto delegato. Calcolo in base a prezzi di mercato e metri quadri Legge di Stabilità,  emendamenti bipartisan: meno tasse su Tfr e fondi

I fondi pensione hanno fatto nettamente meglio del Tfr

Nei primi nove mesi i negoziali hanno visto un rendimento del 5,8% contro l'1% del trattamento di fine rapporto. Leggi tutti i dati di Covip.

ROMA (WSI) - I fondi pensione hanno garantito un rendimento nettamente superiore rispetto al Trattamento di fine rapporto nei primi nove mesi dell'anno. 

Si parla di una differenza del 4,8%.

Detto ciò, secondo i dati pubblicati da Covip, solo i fondi negoziali hanno registrato un miglioramento dal 2013.

Dal 5,4% di rendimento, tali fondi pensione hanno registrato un miglioramento al 5,8%.

Al loro interno, salta all'occhio il rendimento delle linee azionarie (+7,5%), mentre le bilanciate hanno visto un +6,6% e le obbligazionarie miste un +6,4%. Le linee garantite hanno reso il 4,5%, mentre le obbligazionarie si sono fermate all'1,1%. 

I fondi aperti sono passati al 5,9% dall'8,1%. Entrando nello specifico, le linee che hanno reso di più sono state quelle bilanciate (+6,8%)

Ancora peggiore l'andamento delle polizze PIP (piani individuali pensionistici), le cui unit linked hanno offerto rendimenti pari al 5,1% contro il 12,2% del 2013. 

La rivalutazione netta del Tfr che resta in azienda ha invece riscontrato un calo, attestandosi all'1% dall'1,7%. 

Va sottolineato che i dati riportati dalle autorità scontano l'aliquota fiscale sui rendimenti dell'11,5% entrata in vigore lo scorso primo luglio. 

Se dovesse passare la proposta inserita nella bozza della Legge di Stabilità dell'anno prossimo, i gestori previdenziali dovranno fare i conti con una tassazione ancora più elevata (20%).

Al contempo, la nuova struttura giuridica prevede anche un aumento del prelievo fiscale sulla rivalutazione del Tfr dall'attuale 11% al 17%.

(DaC)

venerdì 24 ottobre 2014

Buoni Postali, delusi troppi italiani. Cosa fare per chi li ha ancora in portafoglio

C'è chi si aspettava di ricevere circa 90 mila euro, maturati in un trentennio. E che si è sentito dire che le regole erano cambiate. E che dunque avrebbe ricevuto la metà.

MILANO (WSI) - Torna calda la questione dei Buoni Postali che hanno deluso molti risparmiatori, rendendo meno di quanto promettevano all’inizio. 

Le Poste dicono che il taglio dei tassi durante gli anni è avvenuto a norma di legge, ma l’avvocato Marta Buffoni di Novara contesta che le cose stiano davvero così e ha promosso una serie di cause, ottenendo (per intanto) un primo risultato: tutti quelli che si sono rivolti a lei e si sono visti versare immediatamente egli interessi nella misura richiesta per ordine del Giudice. 

«Non è una vittoria definitiva - avverte l’avvocato - adesso bisogna aspettare le sentenze. Certamente si tratta di un passaggio importante verso una concreta tutela dei diritti dei risparmiatori». 

Ora si avvicina una data importante perché il 31 dicembre vanno in scadenza i Buoni postali trentennali serie O emessi nel 1984. Marta Buffoni lancia un appello ai titolari di buoni: «Non abbiate fretta di incassare alla scadenza, perché ci sono dieci anni per farlo. Se il conteggio presentato dall’impiegato postale non vi convince, fermatevi e fatevi aiutare da un esperto, per non compromettere definitivamente i vostro diritto a ottenere il rimborso del valore complessivo.». 

L’avvocato Buffoni è sovente inviata a parlare dell’argomento. La prossima conferenza per illustrare la questione; è fissata per sabato 25 a Borgosesia (Vercelli) organizzata dalla società di consulenza Utilia.org srl.

Ma in che cosa consiste il problema? Ecco un esempio che spiega tutto: in uno dei casi che l’avvocato ha avuto occasione di esaminare, il cliente era titolare di cinque buoni postali ordinari trentennali da 5 milioni l’uno che hanno raggiunto la scadenza. 

Si è presentato a incassarli, sulla base di quello che c’è scritto sugli stessi buoni si aspettava di ricevere circa 90 mila euro, maturati in un trentennio. E invece in Posta gli hanno detto che in base a certe regole, cambiate nel frattempo, ma cambiate a sua totale insaputa, gli vogliono liquidare circa la metà. 

Ai buoni postali si rivolgono soprattutto investitori poco esperti: casalinghe, pensionati. Ma nel lungo termine si sono rivelati un investimento molto azzeccato e remunerativo, «purché i patti vengano rispettati», dice l’avvocato Buffoni. Purtroppo da un certo punto in avanti non c’è stata più corrispondenza fra quanto scritto sui buoni e quanto maturava davvero. «I rendimenti sono stati più volte ridotti per legge, nel corso degli anni» dice l’avvocato Buffoni «ma i risparmiatori non sono stati adeguatamente informati sul rischio di riduzione dei tassi collegato all’operazione di investimento». 

Riportiamo la risposta scritta delle Poste a questi rilievi: «Poste Italiane, in quanto collocatore di prodotti di terzi, si è limitata ad applicare la variazione dei rendimenti come previsto dal decreto del ministero del Tesoro del 13/6/1986. La modifica del tassi di interesse rispetto a quanto riportato sul retro dei Buoni Postali Fruttiferi è stata disposta dal Ministro del Tesoro di concerto con il Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, e resa nota mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 148 del 28/06/1986». 

L’avvocato ritiene che l’obiezione delle Poste (formalmente ineccepibile) secondo cui tutto è stato fatto a termini di legge non impedirà di vedere le proprie difese accolte. 

La società Utilia.org srl si propone di sensibilizzare i risparmiatori nella conferenza «Buoni Fruttiferi Postali e rendimenti dimezzati: parliamone» fissata per sabato 25 ottobre, alle 10 del mattino, presso la Sala Congressi del Centro direzionale Lingottino di Borgosesia (Vercelli), in viale Varallo 33. 

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mercoledì 22 ottobre 2014

Rumor: 11 banche non supereranno stress test Bce, di cui tre italiane

wallstreetitalia

Ecco tutti i nomi. Bocciati anche istituti di Grecia, Portogallo, Austria, Cipro, Belgio

ROMA (WSI) - Le indiscrezioni mettono in agitazione gli operatori di tutto il mondo. Stando a quanto riportato dall'agenzia di stampa spagnola Efe, almeno undici banche europee non supereranno gli stress test della Bce.

Tra queste, tre italiane, tre greche e due austriache. I risultati ufficiali arriveranno nella giornata di domenica. Le italiane a essere state bocciate dalla Bce sono, secondo Efe, Banco Popolare, Monte dei Paschi di Siena e Banca Popolare di Milano. Le greche Alpha Bank, Piraeus Bank e Eurobank. 

L'agenzia ha fatto anche il nome della banca austriaca Erste, aggiungendo che altri istituti che non supereranno il test saranno anche la portoghese Millennium BCP e la belga Dexia. 

Nessun dettaglio è stato dato sull'ammontare dei buchi delle banche interessate.

Intanto immediata è stata la reazione della banca austriaca Erste Group Bank AG, che ha smentito il rumor, secondo cui sarebbe una delle 11 banche malate. No comment da parte invece di altri istituti menzionati. 

L'agenzia di stampa Efe ha parlato anche di un'altra banca austriaca e di una cipriota bocciate, senza fare però in questo caso i nomi.

La Bce ha riferito di non poter rilasciare commenti su istituti specifici o su speculazioni, ribadendo che i risultati finali saranno resi noti il prossimo 26 ottobre. Detto questo, le banche sono state già contattate sugli esiti degli stress test, attraverso "dialoghi di supervisione" con l'Eurotower; i risultati finali saranno trasmessi agli istituti giovedì, ovvero domani 23 ottobre, prima dell'annuncio pubblico di domenica, una settimana prima che la Bce diventerà ufficialmente organo di supervisione delle banche dell'Eurozona.

lunedì 20 ottobre 2014

Rientro dei capitali. La voluntary disclosure approvata alla camera

Immagine tratta da Ilsole24Ore di sabato 18 ottobre

Si scrive voluntary disclosure si legge sanatoria fiscale

E' l'operazione di far rientrare i capitali dei contribuenti italiani detenuti all'estero (ma si rivolge anche alle omesse dichiarazioni in Italia), un gettito mancato per l'Erario. 

Precisamo, non è uno "scudo fiscale", che somigliava ad un'operazione simile al riciclaggio di Stato, consentendo di pagare una minima percentuale di quanto dovuto, per giunta con il doppio scudo dell'anonimato e dell'assoluta mancanza di sanzioni penali.Quello dell'attuale maggioranza non è uno scudo, ma una sanatoria. 

Con la voluntary disclosure niente sanzioni penali (Non punibilità per omessa dichiarazione, non punibilità su omesso versamento dell'IVA e alle ritenute non operate come sostituto d'imposta, depenalizzazione della frode fiscale) e ravvedimento "speciale" su quanto evaso: chi farà rientrare i capitali pagherà quanto deve di tasse e intergrerà con delle lievi sanzioni ridotte (il tutto su più annualità). "Bastone e carota" secondo la definizione data da un parlamentare PD. A dire il vero si vede molta carota e poco bastone. Ma, abituati agli scudi fiscali dei primi anni Duemila, sembra un gran successo.

"Chi riemerge ha forti facilitazioni monetarie e non rischia di essere imputato per vari reati, chi non riemerge rischia non solo i reati tributari ma anche il nuovo reato di autoriciclaggio" ha sostenuto il relatore del provvedimento, il piddino Marco Causi. 




lunedì 15 settembre 2014

Mutui, cambiare in corsa vale un risparmio di 250 euro

da Corriere.it
di Gino Pagliuca

Quasi 150 euro al mese se si cambia a tasso fisso, oltre 250 se si punta sull’indicizzato. È il risparmio possibile sulla rata mensile se si surroga un mutuo trentennale in corso con un finanziamento ai tassi attuali. Un po’ più basso, ma comunque sensibile, il risparmio quando l’operazione avviene su un prestito originariamente stipulato a 20 anni e sempre con debito residuo di 100 mila euro: 132 euro se si opta di nuovo per il fisso, 228 se si sceglie l’indicizzato.
Per arrivare a questi risultati abbiamo considerato i tassi fissi stipulati alle condizioni medie rilevabili a settembre degli ultimi 10 anni ipotizzando per i prestiti partiti come ventennali la loro surroga con un finanziamento fisso al 4,4% o al 2,4% variabile; per i mutui trentennali abbiamo invece simulato un decimo di punto in più.
Si tratta di ipotesi prudenziali perché come si vede anche dalla tabella delle condizioni stilata da mutuionline sul mercato si trovano prodotti di costo più basso anche di 40 centesimi rispetto a quanto calcolato per questa simulazione.
Convenienza
La convenienza è molto più limitata se il mutuo da riconvertire è a tasso variabile. Bisogna fare attenzione allo spread e non al tasso del finanziamento per le semplice ragione che i prestiti indicizzati in corso stanno già beneficiando della riduzione dell’Euribor (o del tasso Bce). Il risparmio ipotizzabile passando da variabile vecchio a variabile nuovo è comunque nell’ordine dei 50 euro al mese.
Per omogeneità di calcolo abbiamo considerato un debito residuo uguale per tutti i mutui a 100 mila euro, ma il computo del risparmio sulla base delle condizioni considerate è facilmente effettuabile per qualsiasi altra cifra: basta dividere per 100 mila la differenza e moltiplicare il risultato per il debito residuo. Ad esempio ipotizziamo che si voglia rottamare un finanziamento a 20 anni da 140 mila euro partito nel 2009 al 6,2%. Il capitale da restituire ancora sarebbe di 119.249 euro; il risparmio ottenibile sulla rata sarebbe, calcolandolo come indicato sopra, di 113,63 euro restando a tasso fisso e di 230,84 euro passando a variabile.
Sono calcoli che comunque stanno facendo molti titolari di finanziamenti: l’ultimo osservatorio di mutuionline, aggiornato a tutto agosto 2014, segnala che le surroghe rappresentano oltre il 35% delle richieste di finanziamento e sono quindi tornate ai livelli che si registravano nel 2008, all’indomani dell’introduzione della rottamazione gratuita dei prestiti nel nostro ordinamento. Se si passa alle erogazioni si registra ancora uno scarto significativo rispetto alle richieste (16%).
È comunque indubitabile che le banche guardino con molta attenzione il cliente prima di surrogargli il prestito. Se capiscono che la richiesta di cambiare mutuo è dovuta a difficoltà economiche di sicuro negano il finanziamento; lo stesso fanno se il cliente ha già surrogato in passato il mutuo: siccome per un istituto accettare una surroga presenta costi fissi che si ammortizzano in anni (ricordiamo che non si possono richiedere spese di perizia e di istruttoria e che il costo del notaio per l’atto di trasferimento dell’ipoteca è a carico della banca) certo un cliente potenzialmente infedele non è gradito.

Meccanismi

Il mondo creditizio non ha mai amato il sistema delle surroghe introdotto dal cosiddetto decreto Bersani del 2007 e sta premendo per una modifica perlomeno del divieto di chiedere penali di anticipata estinzione. Il decreto le ha abrogate del tutto e da tempo l’Abi preme per una reintroduzione. A livello europeo appare evidente che i mutui fissi in Italia costano più che altrove. Una delle ragioni — secondo gli esponenti del mondo creditizio — è che i nostri istituti devono caricare qualche decimo di punto sugli spread proprio per ricoprirsi dal rischio della chiusura anzitempo del mutuo. Così la penale la pagano tutti i clienti e in anticipo.

martedì 24 giugno 2014

Un milione di Pmi rischia con la successione

da repubblica

UNO STUDIO DI BANCA ALBERTINI SYZ LANCIA L’ALLARME : LA METÀ DI QUESTE REALTÀ È DESTINATA A SCOMPARIRE A CAUSA DI UNA MANCATA PROGRAMMAZIONE DEL PASSAGGIO GENERAZIONALE AL TIMONE DELL’IMPRESA DI FAMIGLIA


Milano C’ è un nuovo pericolo all’orizzonte delle imprese familiari italiane: il passaggio generazionale che nei prossimi 10 anni coinvolgerà un milione di Pmi, il 20% del totale. Almeno la metà di esse è infatti destinata a scomparire a causa di una mancata programmazione della successione d’impresa. Le aziende più avvedute sono già corse ai ripari da tempo imponendosi regole ferree per governare la successione. Lo confermano gli oltre 200 “Patti di Famiglia” siglati sotto la regia di Ambrosetti. E lo certificano i nomi che filtrano attraverso la tradizionale cortina di riserbo da quello dei Lunelli (Cantine Ferrari) agli Illy, i re triestini del caffè, senza dimenticare i Monini di Spoleto (Olio Monini). A lanciare l’allarme è un rapporto di Banca Albertini Syz basato su studi della Commissione Europea e sulla loro proiezione a livello nazionale. Secondo queste fonti solo una quota compresa fra il 25% e il 33% delle aziende del vecchio continente manterranno sia la continuità operativa sia la continuità nell’assetto proprietario dopo il passaggio di seconda generazione. Una percentuale che scende fra il 10% e il 15% dopo il passaggio di terza generazione. Insomma, dimenticate il caso di Margherita Agnelli in fiero contrasto con i suoi figli per l’eredità del padre (e nonno) Gianni Agnelli. E lasciate in archivio lo scontro mitologico fra Bernardino Caprotti padre-padrone di Esselunga e i figlioli che hanno cercato invano

mercoledì 4 giugno 2014

Pressioni Ue, Italia pensa a tassa di successione

Secondo alcune voci al ministero dell'Economia starebbero studiando misure in stile patrimoniale per rispettare pareggio bilancio.

BRUXELLES (WSI) - L'Italia pare voglia correre ai ripari dopo la bocciatura dell'Ue.
Al ministero dell’Economia stanno studiando la la reintroduzione della tassa di successione.
Si tratta solo di voci per il momento ma "gia’ si trema per il terrificante casino che verra’ fuori, tra ipotesi e scadenze in continua 'rimodulazione', con il rischio di un remake del tormentone Imu e suoi derivati". 
"Tutto da studiare anche il timing, ma certo che così’ si avrebbe un altro bel pezzo di patrimoniale che si realizza".


giovedì 24 aprile 2014

Nuovo limite per segnalazione operazioni denaro da e per l'estero

Investing.com – L’Agenzia delle Entrate rende noto l’innalzamento da 10.000 a 15.000 Euro del limite di importo che rende obbligatoria la comunicazione dell’operazione da e verso l’estero, da parte degli operatori, all’Amministrazione Finanziaria; da oggi in avanti, pertanto la segnalazione sarà obbligatoria solo per operazioni di trasferimento di importo superiore ai 15.000 euro.
La variazione dei limiti ha effetto solo a partire dal 2014 , mentre per le operazioni pregresse rimangono in vigore le precedenti norme.

mercoledì 16 aprile 2014

I migliori Conti deposito a 12 mesi

Prorogata fino al 5 Maggio l'offerta di Banca Mediolanum sui conti deposito. Contattatemi per cogliere questa opportunità:
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L'inflazione frena ancora a marzo, +0, 4% rispetto al 2013

AGI) - Roma, 14 apr. - L'indice nazionale dei prezzi al consumo e' aumentato a marzo scorso (al lordo dei tabacchi) dello 0,1% rispetto al mese precedente e dello 0,4% nei confronti di marzo 2013, (era +0,5% a febbraio), confermando la stima preliminare. Il rallentamento dell'inflazione - spiega l'Istat - e' imputabile alla flessione su base annua dei prezzi dei beni energetici non regolamentati e degli alimentari non lavorati.
  L'"inflazione di fondo", al netto degli alimentari freschi e dei beni energetici, scende allo 0,9%, dall'1,0% di febbraio.
  Il lieve rialzo mensile e' da ascrivere principalmente agli aumenti - su cui incidono anche fattori stagionali - dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+0,6%) e di quelli ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,2%); contribuisce anche l'aumento congiunturale dei prezzi dei servizi relativi all'abitazione (+0,3%). L'inflazione acquisita per il 2014 sale allo 0,2%, dallo 0,1% di febbraio. Secondo la Confcommercio, il dato "e' un ulteriore segnale del permanere di una dinamica molto debole della domanda per consumi". Per Confesercenti, "e' ancora piu' evidente se si considera il peso delle tariffe, il cui aumento spiega da solo oltre la meta' dell'inflazione generale". Per il Codacons, l'inflazione, pur in frenata, tradotta in cifre, equivale, in termini di aumento del costo della vita, ad una tassa annua pari a 134 euro per una famiglia di 3 persone e a 115 euro per una coppia di pensionati senza figli, con piu' di 65 anni. La Confederazione Italiana agricoltori, l'agricoltura ha contribuito a frenare l'inflazione, ma il carrello della spesa rimane assolutamente vuoto: la forte flessione dei prezzi di frutta e verdura, calati rispettivamente del 3,7% e del 6%, concorre a tenere bassi i listini degli alimentari, ma non cambia in alcun modo la situazione dei consumi sulla tavola. La richiesta delle confederazioni del commercio e dell'agricoltura e' che il governo rilanci la domanda interna e favorisca la ripresa dei consumi, trasformando rapidamente i provvedimenti annunciati in misure concrete a favore di famiglie e imprese. (AGI) .

Ok definitivo del Parlamento Ue all'Unione bancaria: saranno i privati a soccorrere gli istituti di credito

da ilsole24ore

Il Parlamento europeo ha adottato oggi a larga maggioranza un pacchetto di norme che completano l'unione bancaria con le quali viene spostato innanzitutto sul settore privato (cioè azionisti e creditori degli istituti di credito) l'onere di intervenire per risanare e gestire in modo ordinato il fallimento (risoluzione). «Adesso disponiamo di un sistema effettivamente europeo per vigilare su tutte le banche della zona euro e gestire gli eventuali fallimenti», ha indicato il francese Michel Barnier che per l'esecutivo di Bruxelles ha presentato tutte le proposte per la riforma complessiva del sistema finanzario e bancario negli anni della crisi finanziaria. Ora toccherà al Consiglio adottare i testi in via formale.
Sono tre le misure che assicurano che le banche sosterranno i rischi di fallimento sulla base di un certo ordine per il cosiddetto "bail-in" che non si applicherà ai depositi protetti dal sistema di garanzia (fino a 100mila euro), ai finanziamenti interbancari a breve termine o ai crediti vantati dalle clearing house dai sistemi di pagamenti e regolazione (con scadenza di 7 giorni), agli asset dei clienti o passività come salari, pensioni o tasse. In casi eccezionali le autorità possono scegliere di escludere certe passività se strettamente necessario per assicurare la continuità dei servizi critici della banca o per prevenire contagi rischiosi in altre parti del sistema finanziario o se non possono essere "chiamate" (cioè usate) in tempi ragionevoli.
Quanto all'ordine di questa "chiamata", uno degli aspetti più controversi del difficile negoziato fra governi, Parlamento ed esecutivo di Bruxelles, gli azionisti saranno in prima posizione per assorbire le perdite, seguiranno i possessori debito subordinato, poi quelli di debito senior. I depositi di pmi e persone naturali, inclusi quelli di ammontare superiore a 100mila euro, arriveranno dopo i creditori senior. Il grado di distribuzione degli oneri degli interventi privati dipenderanno dalla banca, dall'ammontare delle perdite e della situazione economica generale. In casi eccezionali e se necessario per preservare la stabilità finanziaria, il "bail-in" potrebbe essere concluso una volta raggiunto l'8% delle passività della banca capitale incluse o alternativamente il 20% degli asset ponderati per il rischio in situazioni specifiche. Dopodiché scatta l'intervento del fondo di risoluzione che può assumere fino al 5% delle perdite. Fondi pubblici nazionali possono essere utilizzati per sostenere il fondo di risoluzione per coprire direttamente le perdite oltre il 5%. Solo in situazioni di stress sistemico severo i fondi pubblici possono essere rimpiazzati direttamente dal fondo di risoluzione ma solo dopo che c'é stato l'intervento privato fino all'8%.
Le regole del "bail-in" si applicheranno dal primo gennaio 2016 al più tardi a tutto il debito esistente come al nuovo. Gli Stati possono decidere se applicare tale strumento prima. Per quanto concerne la risoluzione, il meccanismo unico europeo sarà operativo dal 2016: fino ad allora le crisi bancarie saranno gestite sulla base delle regole nazionali. Le risorse nazionali per la gestione dei fallimenti (sulla base di un prelievo sugli istituti di credito pari all'1% dei depositi garantiti) saranno mutualizzate in otto anni gradualmente e a termine avrà a disposizione 55 miliardi di euro.

Per quanto concerne la garanzia dei depositi in caso di fallimento della banca, attualmente i fondi possono essere risarciti dopo venti giorni lavorativi. I tempi ora vengono accorciati: 15 giorni lavorativi dal primo gennaio 2019, 10 dal primo gennaio 2021, 7 dal primo gennaio 2024. La legge europea stabilisce il livello minimo di finanziamento effettivo allo 0,8% dei depositi garantiti. Il tetto può scendere a 0,5% sulla base di certe condizioni e dopo il via libera della Commissione europea. Le risorse finanziarie includono cash, depositi, asset a basso rischio che possono essere liquidati rapidamente. Gli impegni di pagamento devono essere pienamente 'collateralizzatì. Il testo segue l'accordo raggiunto fra Governi, esecutivo di Bruxelles ed Europarlamento

mercoledì 12 marzo 2014

Mediolanum My Life

Unicredit, 14 miliardi di perdite. Piano industriale da 8.500 esuberi

Forte pulizia del bilancio: svalutare gli avviamenti e coprire meglio le sofferenze porta a un rosso da 15 miliardi nel solo quarto trimestre. Il piano prevede 5.700 tagli in Italia, nel 2014 previsto utile di 2 miliardi. L'ad Ghizzoni: "Completato il processo avviato nel 2010, ora voltiamo pagina per fare più credito e tornare leader". Nel piano anche la bad bank su 87 miliardi di attivi e la quotazione di Fineco in estate

MILANO - Pulizia contabile di crediti e avviamenti, un altro rosso plurimiliardario e nuovi tagli del personale, ma anche una scelta di coraggio e fiducia per rilanciare una banca con una rete tra le più invidiate in Europa. Sarà un caso, ma il giorno dopo l'avvio della verifica da parte degli ispettori della Bce sui bilanci delle banche tricolori Unicredit annuncia a sorpresa una maxi pulizia nei conti che la porta a chiudere il 2013 in perdita per 14 miliardi, contro stime di utile di circa 400 milioni. L'istituto ha annunciato anche il piano industriale 2015-2018, che tra le altre cose prevede un taglio dei dipendenti da 8.500 persone, 5.700 delle quali lasceranno le strutture in Italia.

Nell'ultimo trimestre 2013 l'istituto guidato da Federico Ghizzoni ha anticipato dunque i tempi, visto che molto probabilmente una simile richiesta sarebbe arrivata al termine della Asset Quality Review, e ha rettificato il valore degli avviamenti per 9,3 miliardi svalutando così completamente l'avviamento riguardante l'Italia, l'Austria e l'Europa in genere. A ciò si aggiungono 7,2 miliardi di accantonamenti aggiuntivi sui crediti, che hanno portato il complesso del quarto trimestre a 9,3 miliardi e l'intero 2013 a 13,7 miliardi con una crescita del 46,8% rispetto all'anno prima. L'operazione è stata fatta "per riportare i rapporti di copertura in Italia ed Europa
ai livelli pre-crisi" a costo di registrare una perdita trimestrale di 15 miliardi.

"Il 2013 è stato l’anno della svolta - ha detto Ghizzoni -. Ora siamo pronti ad aumentare ulteriormente la nostra offerta di credito e a dare supporto all’economia reale in Italia e in Europa. Con le azioni annunciate oggi, abbiamo rafforzato ancora il nostro bilancio e completato il processo iniziato nel 2010. La decisione che abbiamo preso è stata assunta in autonomia - ha aggiunto il banchiere piacentino - e non è dettata da fattori esterni o regolamentari, quanto dalla convinzione che il recupero in atto nelle economie europee fosse l'occasione per voltare pagina". La pulizia dei conti riporta il costo del credito del gruppo su livelli fisiologici, praticamente dimezzandolo: dai 259 punti base del bilancio 2013 (in pratica 2,6 euro accantonati ogni 100 prestati) passerebbe a 123 punti base. Unicredit, anche in seguito all'acquisto di Capitalia nel 2007, aveva visto salire strutturalmente il costo del credito al disopra dei livelli italiani, raddoppiati dalla crisi dei subprime in poi. Con il piano il livello di copertura dei crediti deteriorati della banca salirà dal 45% al 52%. "Un livello che ci riporta al 2008, e che ci pone al top in Europa, e di gran lunga più elevato di quello delle banche italiane". 

Quanto agli altri numeri principali di bilancio, i ricavi sono ammontati a 24 miliardi (-4,1% su base annua), icosti operativi sono leggermente calati a 14,8 miliardi, il margine operativo lordo si è attestato a 9,2 miliardi (-9,9% annuo) e il patrimonio di vigilanza Cet1 si è attestato al 10,4% e al 9,4% anticipando pienamente gli effetti di Basilea3. L'istituto ha iscritto a conto economico, come profitto netto da investimenti nel quarto trimestre dell'anno, "il beneficio della valutazione della quota in Banca d’Italia", di cui Piazza Cordusio detiene il 22,1%, pari a 1,4 miliardi prima delle imposte. Se questa posta, sulla cui contabilizzazione sono in corso ancora verifiche delle autorità, fosse iscritta a patrimonio netto e non a conto economico il rosso si amplierebbe di 1,2 miliardi, cioè il valore della plusvalenza al netto delle imposte. Nonostante il profondo rosso, la banca ha escluso la necessità di un aumento di capitale. Quanto alla remunerazione degli azionisti, per quanto riguarda il bilancio 2013 la società ha deciso di distribuire un dividendo in azioni da 10 centesimi. Per l'esercizio in corso, Unicredit prevede un profitto di 2 miliardi.

L'Istituto illustra nella sua nota anche i principali elementi del piano industriale 2015-2018. Alla fine del periodo l'utile netto è previsto a 6,6 miliardi, mentre l'indicatore di redditività operativa (Rote) è previsto al 13%. "La qualità dell’attivo rimane una priorità con un tasso di copertura target al di sopra del 50% sui crediti deteriorati e un costo del rischio al di sotto di 70 punti base nel 2018". Il nuovo piano industriale prevede inoltre investimenti per 4,5 miliardi "per sostenere la crescita dei ricavi e di ridurre la base dei costi di ulteriori 1,3 miliardi". Tra le varie annotazioni, Unicredit segna la contabilizzazione di 727 milioni di oneri di ristrutturazione nel 2013, 699 milioni dei quali nel quarto trimestre: "Tali progetti determineranno una riduzione dell’organico di circa 8.500 unità entro il 2018 (di cui oltre 5.700 in Italia), consentendo risparmi per 300 milioni nel 2016 e 700 milioni su base ricorrente a partire dal 2018".

Tra le altre annotazioni spicca la direzione tracciata per una sorta di bad bank dell'istituto, progetto del quale si è detto a lungo anche con sinergie possibile con l'altra big italiana, Intesa Sanpaolo. Il piano "prevede un reporting distinto del portafoglio non core italiano, che si programma di ridurre del 63% entro il 2018. Il Portafoglio non core comprende circa €87 miliardi di crediti lordi, comprendente sia crediti in bonis (33%) sia crediti deteriorati (67%) dei quali più dell’80% originato prima del 2009". Unicredit, aggiunge la nota, diventa "la prima banca italiana a istituire e rendere pienamente operativo un portafoglio segregato e ad assicurare una totale trasparenza sul processo di riduzione con cadenza trimestrale".

Gli obiettivi del piano industriale, ha commentato Ghizzoni durante la conferenza stampa, "sono molto sfidanti ma alla nostra portata. La fiducia è molto alta e anche il morale. Oggigiorno ci vuole coraggio. Bisogna affrontare la situazione di petto e noi abbiamo deciso di farlo. Invece di risolvere la cosa su quattro-cinque anni abbiamo deciso di farlo tutto in un anno, così siamo pronti a ripartire"

Fuori dal piano, per una gestione più attiva del portafoglio partecipazioni, Unicredit ha confermato l'intenzione di quotare in Borsa Fineco "per imprimere un'ulteriore accelerazione alla sua crescita". L'operazione è prevista nel corso del 2014. In parallelo, UniCredit valuterà la potenziale cessione di UniCredit Credit Management Bank (UCCMB) la più grande piattaforma di riscossione di crediti in Italia, a un operatore specializzato. Questo consentirebbe a UniCredit di estrarre maggiore valore dall’ottimizzazione de recupero crediti".

Dopo un iniziale sbandamento, il mercato festeggia la pulizia di bilancio decisa dai vertici della società e acquista il titolo Unicredit in Borsa.