martedì 31 gennaio 2012

Europa: nasce patto a 25

DA: ANSA-WSI
Bruxelles - Mario Monti e' soddisfatto, non tanto per l'approvazione del Fiscal Compact, che ha sempre ritenuto un ''di piu''' utile soprattutto in chiave interna per i Paesi rigoristi, Germania in testa. Quanto piuttosto per quello che, grazie al varo di norme piu' stringenti sulla disciplina di bilancio, ora l'Europa potra' fare.

Certo, il presidente del Consiglio parla di ''pagina importante per la stabilita''' dell'Eurozona a proposito dell'intesa che sara' formalizzata il primo marzo prossimo. Ma guarda gia' oltre, a quello che veramente interessa l'Italia: un piano europeo per la crescita e dei firewall che proteggano i Paesi piu' deboli dalle turbolenze dei mercati, anche se - precisa - l'Italia non ne avra' bisogno.

Il presidente del Consiglio si dice ''molto soddisfatto''. In primo luogo per aver evitato brutte sorprese sul debito. ''Non ci sono ulteriori appesantimenti o aggravi'' rispetto alle norme gia' introdotte nella normativa comunitaria attraverso il Six Pack.

Il rientro del debito per i Paesi sopra al 60% e' previsto di un ventesimo all'anno per la parte eccedente. Ma nel calcolare il cammino di risanamento si terra' conto dei ''fattori rilevanti'' (come il ciclo economico o altri elementi dell'economia) che alleggeriranno il rigore. Certo, l'azione di risanamento sara' pesante, ma Monti ritiene che sara' ''assolutamente sostenibile'' non appena ci sara' un po' di crescita.

Quello che lo preoccupa semmai e' la crescita. Anche perche' riconosce che l'Italia, come il resto d'Europa, ''non e' esente'' da rischi recessivi. Condivide perfino l'analisi di Moody's, secondo cui la manovra ridurra' il reddito degli italiani. ''Non lo escludo affatto, ma - precisa con un gioco di parole sul 'salva-Italia' - l'inerzia-Italia sarebbe stata molto peggio''. Inoltre, le misure del governo ''non aggraveranno la recessione, ma la attenueranno''. Nulla dice sui rischi per l'occupazione, che definisce la ''vera piaga'', soprattutto per i giovani.

Lui per primo e' consapevole della necessita' di risollevare il Pil. Ecco perche' sottolinea l'importanza del documento sulla crescita, in particolare nella parte in cui ''identifica obiettivi e linee guida'' per i singoli Paesi. Perche' se l'Italia ha fatto e fara' tanto sul fronte delle liberalizzazioni e della competitivita', e' tempo che anche altri (Germania in testa) facciano di piu'. Solo cosi' le imprese italiane, e dunque i lavoratori, potranno entrare in quei mercati finora preclusi (energia, trasporti, servizi). Un tema, quello del piano europeo per la crescita e l'occupazione, che sara' affrontato nel vertice di marzo.

La speranza dell'Italia e' che fra un mese si passi a misure concrete con un calendario ben definito. Perche', come sottolinea lo stesso Monti con ironia, sul fronte della disciplina di bilancio si e' fatto tutto, compreso il perfezionamento del ''pinnacolo e del merlo decorativo'' del Fiscal Compact. Mentre sul fronte del mercato unico c'e' ancora molta strada da fare.

Cosi' come tanta strada si dovra' fare sull'altro importante dossier che interessa l'Italia: i cosiddetti 'firewall', ovvero le barriere a protezione dei Paesi con tassi di interesse sul debito sovrano eccessivi.

Il premier rinnova l'auspicio che una volta ottenuto il Patto di bilancio, le istituzioni europee, a cominciare dalla Bce, si sentano piu' tranquille e agiscano con maggiori margini di manovra. Monti ritiene che l'Italia possa fare a meno delle risorse del fondo salva-Stati (Esm), ma giudica indispensabile un suo potenziamento. Anche perche', ribadisce, piu' risorse ha, meno probabilita' ci saranno di doverle utilizzare. Infine, il premier conferma che l'Italia riterrebbe una ''evoluzione positiva'' attribuire all'Esm le funzioni di una banca, che possa cosi' attingere ai prestiti 'illimitati' della Bce.

SI' A PATTO MA A 25, LEADER DIVISI SU GRECIA OLTRE LONDRA, FUORI ANCHE PRAGA. SFIDA PER LA CRESCITA

L'Unione europea raggiunge un accordo sul nuovo Patto di bilancio, che rafforza la disciplina imponendo regole di rigore comuni sui conti, e sulla crescita, ma perde pezzi per strada e resta divisa su come risolvere una volta per tutte la crisi greca. L'intesa sul nuovo 'Fiscal compact' è stata raggiunta, dopo un negoziato piuttosto serrato, solo da 25 stati membri: oltre che la Gran Bretagna - fuori fin dall'inizio - a sorpresa anche la Repubblica Ceca non ha sottoscritto l'accordo, pur precisando che potrebbe ritornare sui suoi passi.

Mentre la dichiarazione conclusiva sulla crescita e l'occupazione è stata approvata da tutti, tranne la Svezia il cui premier che guida un governo di minoranza, "per ragioni parlamentari", non è stato in grado di sottoscriverla. Tutti e 27 hanno invece firmato l'intesa sul nuovo fondo salva-stati Esm.

"L'accordo a 25 è un grande risultato, considerando che la Ue è composta da 27 stati membri", ha commentato soddisfatto il presidente Ue Herman van Rompuy. Soddisfatto anche il presidente della Bce Mario Draghi: "Il fiscal compact è un primo passo verso l'Unione fiscale", ha commentato.

"Certamente rafforzerà la fiducia nella zona dell'euro". La difficoltà della Grecia a raggiungere un accordo con i creditori privati e le polemiche suscitate dal documento tedesco che ha chiesto un commissariamento di fatto di Atene, sono stati i convitati di pietra: la questione è stata discussa dai leader "informalmente" a cena.

"Sono fermamente contrario a questa idea di una commissione che avrebbe per sola missione di sorvegliare la Grecia", ha detto Jean-Claude Juncker, il premier del Lussemburgo e presidente dell'Eurogruppo.

Per il cancelliere austriaco Werner Faymann la proposta tedesca è "vessatoria". Contrari anche Mario Monti e Nicolas Sarkozy, mentre un moderato appoggio a Berlino lo hanno dato l'Olanda e la Svezia.

Sulla Grecia "vogliamo un accordo globale da qui alla fine della settimana", ha dichiarato il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso.

Al termine del Vertice, Juncker, Barroso, Draghi e Van Rompuy si sono incontrati con il premier Lucas Papademos per fare il punto sulle trattative con i privati e sul secondo piano di aiuti da 130 miliardi di euro. Con il 'fiscal compact', comunque, il pareggio di bilancio diventa una "regola d'oro": accettando il nuovo Patto, i 25 paesi hanno accettato di inserire l'obbligo dell'equilibrio dei conti nelle Costituzioni nazionali o in leggi equivalenti e si sono impegnati a fare scattare sanzioni 'semi-automatiche' in caso di violazione.

I paesi che hanno un debito superiore al tetto fissato da Maastricht del 60% sul Pil si sono impegnati inoltre ad un piano di rientro pari ad 1/20 l'anno, tenendo però conto - come chiesto dall'Italia - dei fattori attenuanti già previsti dal six-pack, il pacchetto di disposizioni sulla nuova governance economica.

L'accordo sul nuovo Patto è stato tenuto in sospeso per alcune ore dalla Polonia, che - contestata dalla Francia - chiedeva di partecipare a tutti i summit dell'Eurogruppo. Alla fine ha prevalso un compromesso che ha accontentato Varsavia, ma non è bastato a Praga, che ha anche problemi di coesione interno al governo. I leader riuniti a Bruxelles, paralizzata dalla prima neve e da uno sciopero generale contro l'austerità, hanno anche dato il via libera alla creazione del fondo salva-stati permanente Esm, che dal primo luglio sostituirà quello provvisorio Esfm, rinviando però al vertice del primo di marzo la decisione sulle risorse (500 miliardi, come vorrebbe la Germania, o almeno 750 come chiedono altri paesi, Italia inclusa, la Commissione e il Fmi). E - come prevedeva l'agenda ufficiale - hanno soprattutto discusso di crescita e di occupazione perché "stabilità finanziaria e consolidamento di bilancio sono "condizioni necessarie per la crescita, ma non sufficienti". "Bisogna fare di più affinché l'Europa superi la crisi", affermano i leader nelle conclusioni del summit. A ricordare che non c'é solo la strada dell'austerità, ci hanno pensato i sindacati belgi che hanno presentato simbolicamente il primo eurobond ai capi di Stato e di governo. Mentre il presidente del parlamento Ue Martin Schulz ha reiterato la richiesta di introdurre subito una Tobin tax sulle transazioni finanziarie.

Barroso ha presentato un rapporto dettagliato sulle prossime tappe per la crescita e l'occupazione che abbonda di freccette e grafici, ma scarseggia di risorse. Bruxelles è pronta però ad accelerare l'impiego dei fondi europei non spesi: un tesoretto di 82 miliardi entro il 2013 - di cui otto miliardi per l'Italia - che dovranno essere destinati a progetti di creazione di posti di lavoro soprattutto giovanile. Il presidente della Commissione ha proposto di inviare un team di esperti europei in Italia e in altri sette Paesi ad alta disoccupazione, tra cui Grecia e Spagna, che lavorerà con governi e parti sociali per valutare progetti di lavoro anche con l'aiuto dei fondi Ue non spesi.

Promotori finanziari, le 5 sorelle del risparmio gestito


di Francesco D'Arco

Alla fine del 2011 aumenta la quota di mercato detenuta dalle prime cinque reti. Al 31 dicembre le società leader per raccolta netta controllano ben l'80% dell'industria, contro il 65% dell'anno scorso. Una crescita che però è dovuta non tanto all'aumento dei volumi raccolti dai primi della classe, ma piuttosto al calo registrato da molte delle altre associate Assoreti (esclusi i leader, delle 15 realtà di cui è possibile confrontare i dati solo 2 hanno visto aumentare la raccolta netta tra il 2010 e il 2011: Finanza & Futuro e Banca Ipibi, ndr).
Numeri alla mano alla fine del 2011 Banca Mediolanum, FinecoBank, Allianz Bank F.A., Banca Fideuram e Banca Generali si confermano leader del mercato con una raccolta netta complessiva pari a 8,51 miliardi di euro, contro i 10,66 miliardi registrati dall'intera industria delle reti. Nel 2010 queste stesse cinque realtà avevano raccolto quasi 8,20 miliardi mentre l'industria era riuscita a registrare un saldo complessivo superiore ai 12,2 miliardi di euro.

Un risultato che conferma la tendenza al consolidamento di un settore che alla fine del 2011 deve fare i conti con un calo del numero dei clienti (3.605.241 contro i 3.662.435 del 2010) e dei promotori finanziari (22.331 contro i 23.068 del 2010). 

lunedì 30 gennaio 2012

Prova di fuoco per l'Italia: oggi asta cruciale per BTP

ANSA:
Roma - Test di fuoco per l'Italia, oggi sui mercati, per l'asta di Btp a cinque e dieci anni per un valore complessivo compreso tra i 5,5 e gli 8 miliardi di euro, a conclusione di un round di emissioni, partite il 26 gennaio scorso, per un valore totale di 25 miliardi. 

Tre giorni fa, il 26 gennaio, nella prima di questa serie di aste, la performance del Tesoro è stata positiva con la vendita di tutti i 4,5 miliardi di Ctz con scadenza gennaio 2014, per un rendimento del 3,763%, in netto calo dal 4,853% (-1,090%) pagato in precedenza. Buona la domanda, pari a 1,71 volte l'importo offerto. 

Successo anche per il collocamento di tutti i 500 milioni di euro di Btp con scadenza settembre 2014 indicizzati all'inflazione dell'area euro ad un tasso del 3,2% con un boom di richieste in questo caso con un rapporto bid-to-cover pari a 2,79. 

Un risultato soddisfacente soprattutto dopo il taglio del rating sovrano di due gradini da parte dell'agenzia Standard & Poor's il 13 gennaio. E venerdì scorso, l'Italia ha fatto di nuovo il pieno nell'asta di titoli collocati con tassi in calo sotto il 2%. 

Ma ciò non è bastato ad evitare la scure di Fitch che in serata, seguendo l'esempio di Standard & Poor's, ha abbattuto di due gradini il giudizio sui titoli di Stato italiani, portandolo ad A- da A+ con outlook negativo. 

Nell'asta di venerdì, il Tesoro è riuscito a piazzare il massimo ammontare di titoli che si era prefissato, 11 miliardi di Bot, spuntando tassi decisamente più bassi rispetto ai mesi scorsi. Nel dettaglio, Via XX Settembre ha venduto otto miliardi di Bot semestrali offrendo un rendimento inferiore al 2% per la prima volta da giugno dell'anno scorso e pari all'1,969%, in forte calo dal 3,251% pagato per vendere gli stessi titoli nell'asta del 28 dicembre ed in picchiata dal rendimento record del 6,5% offerto a novembre, all'apice della crisi. 

La domanda é stata pari a 1,35 volte l'importo offerto contro 1,69 dell'ultima asta. Il Tesoro ha anche assegnato 3 miliardi di Bot flessibili a 331 giorni con un rendimento del 2,214% e richieste pari a 1,821 volte l'offerta. Il risultato del collocamento di venerdì ha spinto ulteriormente al ribasso lo spread. La forbice tra il Btp a 10 anni e il bund tedesco si è ristretta in chiusura a 404 punti col rendimento in calo sotto la soglia del 6% al 5,90%. 

Oggi, dunque, in concomitanza con il vertice Ue a Bruxelles, si vedrà come l'Italia affronterà la nuova asta e come risponderà il mercato.

sabato 28 gennaio 2012

Financial Times: «L'Italia è tornata»


da "Ilsole24Ore"
«Italy is back», avevamo una gran voglia di sentirlo dire. Ieri lo ha strillato in una lunga analisi sul Financial Times, Philip Stephens uno degli editorialisti più quotati del giornale rosa che si stampa sulla riva Sud del Tamigi. Il «ritorno dell'Italia» va oltre l'azione di risanamento dei conti pubblici e delle dinamiche economiche del nostro Paese, perché «sulle spalle di Monti siede l'Europa», ha riassunto con enfasi la titolazione.
Per solleticare il ritrovato orgoglio nazionale bastava molto meno, ma tanti, ben argomentati concetti sono anche la conseguenza della visita londinese del premier la settimana scorsa. Un successo assoluto doppiato dal seguito di Vittorio Grilli, pure apprezzato nei vicoli della City.
Il tambureggiamento dei media britannici da allora è crescente, in secca distonia con il rumore di martelli che nei mesi scorsi aveva accompagnato il tramonto della stagione politica precedente (quando Berlusconi «faceva battute pesanti sull'aspetto della Merkel»). Asfissianti allora le discese - figlie anche di inevitabili esemplificazioni - entusiasmanti oggi le risalite di credibilità. Non è un caso che anche l'Economist, l'altra metà della prestigiosa cattedrale del giornalismo britannico, abbia speso parole di grande apprezzamento per il presidente del Consiglio italiano. Nei giorni scorsi ci aveva messo del suo anche George Soros ricordando Tommaso Padoa Schioppa e celebrando i Mario & Mario, ovvero Monti e Draghi.
Al presidente della Banca centrale europea dedica qualche riga di rispettoso encomio anche Stephens che però punta l'editoriale su Mario Monti. Non ci dilungheremo sulla descrizione dell'opera di riforma a livello nazionale oggi sotto gli occhi di tutti, ma vale la pena sottolineare il ruolo che è assegnato al presidente del consiglio nel negoziato multilaterale. Monti non solo «è il politico più interessante d'Europa...ma il destino del continente può dipendere da lui». Per il columnist l'annuncio diffuso dalla Casa Bianca per confermare la visita del capo del Governo italiano, con tanti riferimenti a crescita e sviluppo va tradotto così: «Il signor Obama sostiene il signor Monti in tutto e per tutto. Anche quando mette pressione sulla signora Merkel». Ed ecco che, secondo il Financial Times, si ritorna ai tempi di quando «l'Italia contava in Europa», idea buona per ripercorrere il palmares, dalle spinte all'integrazione degli anni Ottanta, al summit milanese del 1985 che spianò la strada al mercato unico, fino a quello di Roma nel 1990 con l'agenda sull'euro e le resistenze di una Margaret Thatcher ormai al nadir della stagione politica. 
Per riportare l'Italia ad allora, Monti, nella versione di Stephens, ha due assi da giocare. Il primo consiste nell'azione sul fronte interno per risanare un Paese che è essenziale alla sopravvivenza dell'euro. Il secondo è che ha i numeri per farsi sentire dai tedeschi, essendo «indiscutibile la sua azione da riformista liberale in seno alla Commissione. La sua condotta smentisce tutti gli stereotipi sull'irresponsabile Europa del Sud. Oh, e Obama è con lui - ripete il commentatore - quando dice alla signora Merkel che austerità infinita significa trasformare il patto fiscale in patto suicida».
Monti uber alles, ci verrebbe da aggiungere, inevitabile e rassicurante pensiero, anche perchè Stephens insinua il dubbio di un discreto risentimento francese per l'ombra che il premier italiano stende su Nicolas Sarkozy. Eppure il successo nella complessa mano sulle liberalizzazioni, nell'analisi di Ft, non è del tutto scontato. Da lì passa molto per superare la polarizzazione del dibattito nell'Unione, fino a condurre all'interrogativo ultimo, ovvero se l'Europa possa competere in un mondo in cui l'Occidente non ha più il controllo. «Per questo - conclude Stephens - quanto Monti sta facendo in Italia è davvero importante»

Eni colloca bond a tasso fisso da un miliardo

ENI ha lanciato oggi con successo un'emissione obbligazionaria a tasso fisso del valore nominale di 1 miliardo di euro collocata sul mercato degli Eurobond. Il prestito obbligazionario - informa la società in una nota - ha una durata di 8 anni, paga una cedola annua del 4,250% e ha un prezzo di re-offer di 99,502%.Secondo fonti vicine all'operazione il book è stato coperto ben 14 volte. La richiesta è stata fatta da oltre 700 investitori internazionali, soprattutto dal Regno Unito, Francia e Germania. Le banche coinvolte sono Credit Agricole, Hsbc, JP Morgan, Mps e Unicredit.Le obbligazioni saranno quotate presso la Borsa di Lussemburgo. «L'operazione - informa una nota del gruppo - ha riscosso successo in Italia e all'estero, in un mercato ancora caratterizzato da elevata volatilità. L'interesse da parte di un numero significativo di investitori istituzionali di elevata qualità è stato determinato dal merito di credito della Società e dall'eccellente reputazione di Eni».

venerdì 27 gennaio 2012

Bot a 6 mesi, rendimenti scesi all'1,96%


Il rendimento dell'ultima asta del 28 dicembre era stato del 3,25%

Milano: Il Tesoro ha collocato presso gli investitori tutti gli undici miliardi di euro programmati di Bot. Il tasso medio dei semestrali (offerta di 8 miliardi di euro, tutta coperta) è in calo all'1,969% dal 3,251% dello scorso 28 dicembre.
BOT FLESSIBILI - I Bot flessibili a 331 giorni sono stati invece collocati per i previsti 3 miliardi al rendimento di 2,214% e con rapporto di copertura di 1,821.

Juncker preme sulla Bce Per il caso Grecia spunta la soluzione Efsf

da: lastampa

Francoforte potrebbe cedere 40 miliardi di titoli al fondo

TONIA MASTROBUONI
Dopo le «fortissime pressioni» che secondo indiscrezioni continuano ad arrivare dal Fondo monetario internazionale perché la Bce partecipi alla ristrutturazione del debito greco, è arrivato ieri Jean-Claude Juncker a rendere ormai asfissiante l’accerchiamento di Francoforte. Il presidente dell’Eurogruppo ha detto a Le Figaro che la questione del taglio sui circa 40 miliardi di euro detenuti dall’Eurotower «si pone». E l’influente Joseph Ackermann, presidente dell’Iif, l’organizzazione dei creditori verso Atene, ha fatto eco al concetto analogo già espresso dal direttore generale Dallara giorni fa.

Tra i 23 banchieri di Francoforte la discussione sulla partecipazione ai sacrifici che i privati stanno negoziando con il governo greco continua, nonostante le smentite. Il nodo legale sembrava ad oggi - molto più delle ricadute economiche che verrebbero spalmate sulle 17 banche centrali - il vero scoglio insormontabile per una ristrutturazione dei bond detenuti dalla Bce. Ma fonti qualificate dell’Eurotower sostengono che si comincia a ragionare attorno alla possibilità di aggirare i vincoli dei Trattati, sfruttando il fondo salva-Stati Efsf. «L’idea è quella di girare i titoli ellenici al fondo salva-Stati. I vincoli dei Trattati sarebbero, in questo modo, rispettati», sostiene la fonte. Ad aiutare direttamente un Paese europeo partecipando a un negoziato su uno scambio di titoli di Stato fianco a fianco delle banche sarebbe, a quel punto, Klaus Regling e non Mario Draghi.

Tuttavia ai vertici della Bce si sarebbe creata, su questo delicato dossier, una divisione. Contrariamente ad alcune voci che parlano della solita spaccatura tra «falchi» e «colombe», cioè tra Paesi nordici, più rigorosi e guardiani dell’ortodossia, e meridionali, più propensi a far assumere alla Banca centrale la flessibilità necessaria a superare i momenti di crisi, «le cose non stanno così» secondo una fonte dell’Eurotower. Per fare un facile gioco di parole, «in questo caso non c’è in ballo l’inflazione ma l’esposizione», continua. Quanto a Draghi, agli osservatori più attenti è già saltato agli occhi che ha un approccio più pragmatico alla vexata quaestio rispetto al suo predecessore, Jean-Claude Trichet. Il francese aveva sempre ripetuto rigidamente che la Bce restava fuori dai negoziati sulla ristrutturazione greca. Di recente l’ex governatore della Banca d’Italia ha risposto alla domanda diretta «vedremo come va il negoziato (coi creditori privati, ndr) e poi ci faremo un’idea».

A guidare i ragionamenti dei membri del governing council anche di «area germanica», chiamiamola così, è il grado di esposizione verso la Grecia delle banche dei propri Paesi. Se i negoziati sulla ristrutturazione, che sono ripresi ieri sera ad Atene con un incontro definito «informale» tra Dallara e ilpremier greco Lucas Papademos si arenassero definitivamente, il Paese dell’Egeo fallirebbe, con conseguenze devastantisui creditori. Ovvio che i Paesi con gli istituti di credito più appesantiti da bond greci sono i più disponibili a ragionare su una partecipazione Bce alla ristrutturazione cosiddetta «volontaria». Anche in Germania, per dire, sull’ortodossia vince il portafoglio, in questo caso.

Ieri il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha detto a Reuters che «ci sarà bisogno di aumentare le risorse pubbliche» per aiutare Atene, «anche se non con cifre drammatiche». È la prima volta che la Commissione Ue ammette che il nuovo piano da 130 miliardi per salvare la Grecia concordato ad ottobre e strettamente vincolato alla ristrutturazione del debito non basterà. Fonti della troika parlano di progressi «catastrofici» del risanamento greco e stamane il ministro delle Finanze tedesco Schäuble sostiene su un quotidiano di averne «abbastanza degli annunci: il governo di Atene deve continuare ad agire». Altrimenti, niente nuovi aiuti.

I mercati, intanto, continuano a ignorare lo stallo sui negoziati, contrariamente a qualche settimana fa. Forse fanno già i conti con l’ipotesi peggiore. Ma intanto, la ricetta della Fed che ha fatto sapere mercoledì che manterrà i tassi ai minimi fino al 2014 e che è pronta a usare altre munizioni per scongiurare scossoni sui mercati, ha messo la ali ai listini. Effetti che si combinano positivamente con quelli della megaasta dicembrina della Bce da 489 miliardi e che stanno regalando anche al mercato dei bond statali un po’ di respiro. L’asta italiana con scadenza a gennaio del 2014 ha collocato tutti i 4,5 miliardi di Ctz offrendo un rendimento al 3,7 per cento. E anche i rendimenti sui nostri decennali è sceso per la prima volta da dicembre sotto il 6 per cento. Tradotto in differenziale con il Bund tedesco, ha chiuso a 418 punti.

giovedì 26 gennaio 2012

Asta Italia: collocato tutto il debito previsto, tassi stabili

Roma - Il Tesoro ha collocato tutti i 4,5 miliardi di nuovi Ctz con scadenza 31 gennaio 2014, con un rendimento del 3,763%, in calo dell'1,090% rispetto all'asta precedente. 

Collocati anche tutti i 500 milioni di euro di Btp con scadenza 15 settembre 2014 indicizzati all'inflazione dell'area euro a un tasso del 3,2%.

Lo spread continua a calare dopo l'esito positivo dell'emissione, con il differenziale tra il rendimento a dieci anni del debito italiano e quello tedesco che scende a 412 punti.

Quando al costo per assicurarsi per cinque anni contro l'ipotesi di default, i credit default swap sono in calo a 410 punti base (-29). In Spagna pure (-18 a 350), mentre in Portogallo sono in rialzo di 6 punti base a 1.300. In Irlanda - che tra i Piigs pare essere quello meglio ripresosi dalla crisi - in ribasso di 18 punti base.

Perché Soros consiglia di puntare sui bond italiani

da: WSI
New York - Rendimenti fantastici sui bond italiani. Ottimo investimento per speculare. Ma si tratta comunque di una puntata rischiosa. Se le cose dovessero peggiorare il rischio è di perdere tanti soldi. Il finanziere americanoGeorge Soros non esclude la possibilità di un default italiano, ma comunque un finale che sicuramente "potrebbe essere evitato".

"Attraversando un periodo di deflazione, un 6% sui titoli italiani a 10 anni rappresenta un ottimo rendimento, che non rimarrà più a questi livelli una volta che le cose si sistemeranno. Dunque credo che per speculare, sono un investimento molto interessante".

"Ma si tratta comunque di un investimento rischioso, perché se le cose dovessero andare male, i rendimenti potrebbero balzare fino al 10%. Correresti il rischio di perdere gran parte del tuo denaro".

"Dunque, al 6%-7% i bond italiani sono ottimi per speculare. Al 5%-4% sarebbero invece una interessante possibilità di investimento di lungo periodo. È uno dei paradossi che mostra come i mercati finanziari al momento non stanno funzionando come dovrebbero".

"Credo che si possa evitare (il default). Se così non fosse, sarebbe la fine dell’Europa. Le conseguenze negative si spargerebbero tutt’intorno".

mercoledì 25 gennaio 2012

Partito Indipendente: default unica soluzione per salvare l'Italia

Terapia shock del Partito Indipendente. La nuova formazione politica, ancora piccola, in fase di pre-lancio e gia' in forte crescita, nella prima bozza del Programma Politico in 10 punti, al capitolo intitolato "Finanza pubblica ed Euro", scrive che per riaffermare sovranita' e autonomia monetaria e ripartire da zero con la crescita dell'Italia, "la riduzione del debito pubblico di 1,9 trilioni di euro non si risolve se non con il default preventivo e concordato". Tra le altre misure proposte dal Partito Indipendente: Euro a due velocita', la moneta viene stampata dalla Banca d'Italia (nazionalizzata, di proprieta' dello stato e non dei privati), l'Europa come area di libero scambio commerciale, la nazionalizzazione delle banche in crisi e non patrimonializzate, lo stop alla speculazione finanziaria, tasse piu' basse e pagate da tutti, investimenti massicci per rendere l'Italia competitiva.

Ecco il dettaglio del programma in 10 punti, molto duro e radicale per lo standard politico medio italiano ma realizzabile, concreto, razionale e soprattutto ineluttabile, se si vuole smontare l'ipocrisia in cui vive l'intera classe politica italiana: ci stanno portando al crack economico-finanziario, mascherandolo con bugie e falsita' e facendo soffrire a dismisura la vasta classe media, disperata e soffocata da tasse, vessazioni e misure depressive.

Allarme del Fmi: "L'Italia non puo' farcela da sola"

da: AGI

(AGI) - Washington, 24 gen. -  L'Italia ha bisogno di "firewall piu' forti in Europa". Il monito e' del direttore del Dipartimento Affari fiscali delFondo monetario internazionale, Carlo Cottarelli, che promuove la "forte correzione" dei conti pubblici operata dal Governo Monti ma avverte: "Ora servono le riforme strutturali". La terza cosa, ha spiegato Cottarelli, "di cui c'e' bisogno, e questo va oltre cio' che l'Italia puo' fare da sola, e' la disponibilita' di firewall piu' forti in Europa, maggiore finanziamento, perche' questo facilitera' il declino dei tassi d'interesse che e' un bene per i conti pubblici e per l'economia".
FMI: ITALIA IN RECESSIONE, PIL -2,2% NEL 2011 E -0,6% NEL 2012
L'Italia sprofonda in recessione. A certificarlo e' l'aggiornamento del Rapporto economico mondiale del Fondo monetario internazionale secondo cui il Pil del nostro Paese scendera' del 2,2% quest'anno e dello 0,6% il prossimo. Una sforbiciata pesante rispetto alle stime pubblicate dallo stesso istituto nel settembre scorso: il taglio e' del 2,5% sulle previsioni 2012 e dell'1,1% sul 2013. Le cose migliorano un po' guardando alle previsioni quarto trimestre su quarto trimestre che appesantiscono il calo al 2,7% quest'anno ma vedono una ripresa dello 0,9% il prossimo. Il momento difficile dell'economia si fara' sentire anche sui conti pubblici che vedranno allontanarsi l'obiettivo del pareggio di bilancio. Secondo il Fondo, il rapporto tra deficit e Pil e' destinato ad attestarsi al 2,8% nel 2012 e al 2,3% nel 2013, con un peggioramento rispettivamente pari allo 0,4% e all'1,1% rispetto alle stime autunnali. Il dato resta comunque migliore rispetto alla media dell'Eurozona fissata rispettivamente al 3,4 e al 2,9% nei due anni considerati. Il rapporto tra indebitamente e Pil corretto per il ciclo e' previsto invece pari allo 0,8% quest'anno per poi riportarsi in pareggio il prossimo. Anche il debito non inventira' la tendenza all'aumento. Secondo l'Fmi, il rapporto con il Pil dovrebbe collocarsi al 125,3% nel 2012 per poi crescere al 126,6% nel 2013. Il peggioramento rispetto al Rapporto di settembre e' rispettivamente pari al 3,9 e al 6,5%.
FMI: PROMOSSA RIFORMA PENSIONI, SPESA ANNUA -1,75% PIL
Il Fondo monetario internazionale promuove la riforma delle pensioni decisa dal Governo Monti. "Grazie a questa e alle precedenti riforme", si legge nell'aggiornamento del Rapporto economico mondiale, "la spesa pensionistica annua e' prevista diminuire dell'1,75% del Pil nei prossimi 20 anni". Si tratta, afferma l'Fmi, "della miglior performance tra i Paesi avanzati, dove la spesa media e' stimata aumentare dell'1,25% del Pil, sebbene il livello iniziale della spesa previdenziale sia tra i piu' alti". Il Fondo spende parole positive anche per gli sforzi fatti sul versante del deficit. "Il pacchetto addizionale approvato a dicembre aumentera' dell'1,25% del Pil il consolidamento fiscale previsto per il periodo 2012-2014, dopo i pacchetti di luglio e settembre che si traducono in uno sforzo fiscale pari al 3,25% e all'1,25% del Pil rispettivamente per quest'anno e il prossimo". Secondo il Fondo, la manovra e' "sufficiente per portare il bilancio in pareggio in termini aggiustati per il ciclo l'anno prossimo".
FMI: RIPRESA GLOBALE IN STALLO, RISCHI AL RIBASSO AUMENTANO
Particolarmente dura la situazione in Italia e in Spagna. Nel nostro Paese il Pil e' stimato diminuire del 2,2% nel 2012 e dello 0,6% nel 2013. In Spagna si ridurra' dell'1,7% e dello 0,3% rispettivamente nei due anni. Germania e Francia resteranno invece in territorio positivo. Il Pil tedesco salira' rispettivamente dello 0,3% e dell'1,5%, quello francese dello 0,2% e dell'1%. Nel complesso, il prodotto delle economie avanzate salira' dell'1,2% quest'anno e dell'1,9% il prossimo.
  L'economia migliore sara' quello statunitense, il cui Pil e' previsto in aumento dell'1,8% nel 2012 e del 2,2% nel 2013. Il prodotto giapponese salira' invece rispettivamente dell'1,7 e dell'1,6%. In rallentamento le economie emergenti e in via di sviluppo. Nel complesso il loro Pil crescera' del 5,4% quest'anno e del 5,9% il prossimo, con una riduzione rispettivamente pari allo 0,7 e allo 0,6% rispetto a quanto stimato nell'autunno scorso. Non fanno eccezione ai tagli neanche Cina e India la cui crescita resta comunque robusta.
  L'economia cinese salira dell'8,2% (-0,8%) nel 2012 e dell'8,8% nel 2013 (-0.7%), quella indiana rispettivamente del 7% (-0,5%) e del 7,3% (-0,8%). Secondo il Fondo, "la sfida politica piu' immediata e' riportare fiducia e porre fine alla crisi nell'area del'euro". Tre le priorita' individuate dall'Fmi: aggiustamento sostenuto ma graduale delle finanze pubbliche, ampia liquidita' e politica monetaria accomodante soprattutto nelle economie avanzate, recupero della fiducia nella capacita' di agire delle autorita'. (AGI) .

martedì 24 gennaio 2012

Fisco: si agli scontrini detraibili dalla dichiarazione redditi

da AGI:
Roma - Scontrini e fatture detraibili dalla dichiarazione dei redditi? "Si', ma a patto che non si crei in parallelo un'industria delle fatture false, sarebbe un fatto gravissimo che danneggerebbe lo Stato. 

Il governo prende in considerazione ogni proposta che ci consenta di portare avanti la lotta all'evasione. Ma non possiamo affrettare le decisioni". Lo ha affermato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricala', intervenendo a 'Otto e mezzo'.

lunedì 23 gennaio 2012

Sondaggio: i gestori danno fiducia all'Europa



di: Sara Silano (Morningstar)


I gestori, interpellati da Morningstar nel consueto sondaggio mensile sulle previsioni per i prossimi sei mesi,sono meno pessimisti sulle sorti dell’Europa. 

Giudicano la situazione ancora critica, ma hanno più fiducia sulla capacità delle autorità politiche e monetarie di trovare una soluzione alla crisi. E’ convinzione diffusa che la propensione al rischio aumenterà nei prossimi sei mesi, con conseguente riduzione della liquidità nei portafogli a vantaggio di altre asset class.

Europa, meno pessimismo 
Il Vecchio continente rimane l’anello debole dei mercati finanziari globali. L’evoluzione della crisi resta avvolta nell’incertezza. La crisi del debito sovrano e le difficoltà delle banche potrebbero richiedere nuovi interventi da parte degli organismi nazionali e internazionali. 

Resta l’incognita sulla crescita economica, che presenterà valori negativi in alcuni paesi. Tuttavia, i gestori sono più fiduciosi rispetto al passato sulla capacità dei leader politici di trovare una soluzione. Non appena le Borse se ne accorgeranno, le quotazioni risaliranno. Per il 45% dei fund manager, la svolta potrebbe avvenire già nei prossimi sei mesi, mentre per il 40% il mercati continueranno ad oscillare attorno agli attuali livelli. I pessimisti passano dal 28% di dicembre al 15%.

Italia, cambio di marcia 
Come a dicembre, il giudizio dei gestori su Piazza affari è più ottimista rispetto al resto dell’area Euro. Il 60% degli intervistati prevede un apprezzamento del listino milanese nei prossimi sei mesi, contro il 10% che si attende una discesa. 

Nel 2011, il mercato italiano ha fatto peggio di quello continentale a causa del rallentamento economico, dell’acuirsi della crisi del debito sovrano e delle pressioni sul settore bancario. Oggi, i titoli sono tra i più economici del Vecchio continente, ma per fare tornare gli investitori servono ulteriori rassicurazioni sul fronte del pesante fardello pubblico. 

Wall Street riconquista i manager 
Rispetto a dicembre, è aumentato l’ottimismo sulla Borsa americana, che salirà per il 65% dei gestori (erano il 44% a dicembre). Wall Street potrebbe essere tra i maggiori beneficiari del ritorno dell’appetito per il rischio da parte degli investitori, almeno fino a quando l’Europa non volterà definitivamente pagina. Gli Stati Uniti sono meglio posizionati sia dal punto di vista della congiuntura sia dei profitti aziendali. Tra i settori favoriti, c’è quello tecnologico. Permangono, però, le incognite sul fronte del debito pubblico.

Lo yen zavorra Tokyo 
La divisa nipponica continua ad essere troppo forte rispetto alle valute internazionali e penalizza le aziende locali e la Borsa. Per questa ragione, il 40% dei gestori non prevede grandi variazioni del listino rispetto agli attuali livelli. Il 45%, invece, si attende un apprezzamento, dal momento che le valutazioni sono considerate molto attraenti. 

Asia più forte 
L’area del Pacifico si conferma in cima alle preferenze dei gestori. Il 75% stima un aumento delle quotazioni azionarie nei prossimi sei mesi (erano il 67% a dicembre). Come altre aree emergenti, quelle asiatiche hanno mostrato maggior solidità dei paesi sviluppati. Le turbolenze che li coinvolgono sono cicliche più che strutturali, per cui destinate ad essere superate.

Titoli di stato al palo 
Le obbligazioni governative delle principali economie, come Stati Uniti, Germania e Regno Unito, sono intorno (o sotto) il 2%, un livello troppo basso per giudicarle attraenti. Per i gestori le possibilità di apprezzamento sono limitate, in un contesto di tassi di interesse fermi, crescita economica modesta e banche centrali impegnate ad acquistare titoli di stato. 

In Europa, l’attenuarsi delle tensioni, dovrebbe portare a una riduzione dello spread tra il Bund tedesco e il BTp italiano. Dalla seconda parte dell’anno, dunque, potrebbe esserci una minor corsa alla qualità (flight to quality) e un ritorno sui titoli periferici. In ogni caso, molti gestori preferiscono non prendere rischi su questa asset class, optando per le obbligazioni societarie e high yield.

Euro debole 
Le previsioni sul cambio euro-dollaro non sono variate significativamente rispetto a dicembre. Il 55% dei gestori prevede un indebolimento della divisa comunitaria, mentre solo il 5% stima un apprezzamento. Gran parte dei gestori indica un range di oscillazione compreso tra 1,25 e 1,35. Una forte diminuzione dell’avversione al rischio potrebbe però riportare flussi di investimento sulla moneta unica.

venerdì 20 gennaio 2012

Monte dei Paschi: è rischio nazionalizzazione

da: WSI
Milano - Fari puntati su Monte dei Paschi, che rischia sempre di più di la nazionalizzazione "parziale o totale". E' quanto afferma un articolo del Financial Times, che riporta le preoccupazioni delle autorità di regolamentazione europee. 

Insieme a Commerzbank, spiega il quotidiano britannico, MPS potrebbe infatti non essere capace di presentare piani credibili sul miglioramento del proprio capitale, tanto che le stesse autorità affermano che "una iniezione di mezzi freschi" da parte dell'Italia -nel caso di Monte dei Paschi- e dalla Germania -nel caso di Commerzbank - "è quasi inevitabile". Si tratta, ha detto un funzionario, "di grandi casi".

Gli stress test che sono stati lanciati lo scorso dicembre dallo European Banking Authority (Eba) hanno messo in evidenza per MPS un bisogno di capitale di 3,3 miliardi di euro; nel caso di Commerzbank, il buco sarebbe di 5,3 miliardi. 

Entrambe le banche non hanno rilasciato alcun commento sul rischio che debbano bussare alle porte dei relativi stati, e anzi hanno insistito sulla loro capacità di risolvere la questione. 

Tra le banche europee più importanti, recentemente solo Unicredit, la banca numero uno per asset, ha lanciato un'operazione di aumento di capitale. Gli analisti intervistati dal Ft sottolineano però che il forte tonfo del titolo seguito all'annuncio rappresenta per altri istituti di credito un deterrente nell'andare nella la stessa direzione.

Forti, dunque, i timori sul futuro di MPS, che secondo il Financial Times è al rischio maggiore di essere costretta, almeno, a una nazionalizzazione parziale. Tre fonti di mercato hanno affermato che in questo caso, interverrebbe la Cassa Depositi e Prestiti, che potrebbe fornire fondi o direttamente alla banca o indirettamente, attraverso il principale azionista, la Fondazione Monte dei Paschi.

mercoledì 18 gennaio 2012

La silenziosa scalata di Abu Dhabi nel capitale di Unicredit


da:di: Massimo Restelli (Il Giornale) 
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
Mentre le Fondazioni italiane ricorrono ad artifici da hedge fund per racimolare qualche soldo e limitare i danni in Unicredit, i sultani di Abu Dhabi ne ipotecano la poltrona di primo azionista pagando in petrodollari.

Il fondo sovrano Aabar ha rastrellato i diritti necessari per salire dal 4,9% al 6,5% di Piazza Cordusio. Controllerà da solo un pacchetto pari alla metà di quello (12,5%) che le Fondazioni italiane, tutte insieme, faticheranno a presevare al termine della ricapitalizzazione da 7,5 miliardi.

Stante i limiti dello statuto Abu Dhabi, come già la Libia, potrà votare «solo» per il 5% e professa una fiducia incondizionata in Piazza Cordusio: «Intendiamo partecipare all’aumento e sostenere la società e il suo management nel futuro», ha detto il presidente di Aabar, Khadem Al Qubaisi, aggiungendo di credere sia «nel valore intrinseco della banca» sia nella sua «rilevanza» in ambito italiano ed europeo. 

Aabar aggiunge che intende essere «uno degli azionisti più significativi» di Unicredit e garantisce il proprio «supporto» all’attuale squadra di vertice. «Siamo stati azionisti di Unicredit dal marzo 2009 e continuiamo - conclude Al Qubaisi - ad essere favorevolmente colpiti dalla posizione del gruppo quale leader italiano ed europeo nel mercato bancario».

L’avanzata ha dato slancio a Unicredit in Borsa (+2,8% a 3,01 euro) mentre i diritti si impennavano del 12,3% a 1,93 euro. La giornata ha poi sancito il ritorno di istituzionali di «qualità» come Capital Research che ha ufficializzato di aver raggiunto il 2,5%, e l’accavallarsi dei report: Deutsche Bank ha fissato un target price di 5,3 euro. 

La silenziosa scalata di Abu Dhabi, cui probabilmente si accoderanno altri Paesi del Golfo come il Qatar, nella principale banca italiana non può che aver tenuto banco al summit dell’ad Federico Ghizzoni e del vice presidente Fabrizio Palenzona con Roberto Napolitano.

Aabar ha comprato a prezzi di saldo: Unicredit passa di mano in Borsa a valori prossimi al 34% dei mezzi propri tangibili contro una media del 55% per le concorrenti europee. Poco, secondo gli analisti, anche considerando che Piazza Cordusio è meno generosa in termini di Roe, complice un costo dell’equity stimato al 12% (contro il 6,5% dei Btp) e il problema della qualità del credito.

Il paradosso è che a spianare la strada agli esteri sono state le Fondazioni italiane. A corto di liquidità e privi di dividendi, alcuni Enti si sono lanciati in arditi arbitraggi sui diritti (a partire da quelli legati al prestito Cashes custodito da Mediobanca) e nell’utilizzo di derivati che hanno finito con l’esacerbare la tempesta che ha flagellato Unicredit nei primi giorni dell’aumento. 

Carimonte non solo si è diluita dal 3,1% al 2,9% ma ha dato in «prestito» un pacchetto pari all’1,6%, lasciando in cassaforte solo il restante 1,3%. È probabile che tale strada sia stata percorsa anche da Cassamarca, CariTorino e da altri enti minori alla ricerca di denaro da reinvestire sull’istituto. 

La fondazione piemontese dovrebbe comunque essere l’unica ad arrotondare la quota (dal 3,3% al 4,2%) grazie ai diritti legati ai Cashes, diventando il primo socio italiano al posto di CariVerona che, invece, ha deciso di scendere dal 4,2% al 3,5%, così come molleranno la presa Fondazione Manodori (dall’0,8% allo 0,4% stimato) e il Banco di Sicilia (0,32%). Inalterate, infine, Cassamarca e CariTrieste.