lunedì 19 novembre 2012

Fiscal Cliff, che cos'è il "precipizio fiscale" che terrorizza i mercati internazionali


Sta spaventando l’economia internazionale. Il fiscal cliff, letteralmente “precipizio fiscale”, è lo spauracchio che può mettere in ginocchio la ripresa americana. Il baratro fiscale è la congiuntura di diverse scadenze relative alla politica economica statunitense che, senza un intervento politico nei prossimi 45 giorni, dal primo gennaio 2013 porterà il Paese alla recessione e il governo federale a rischio default. Ma cos’è il tanto temuto fiscal cliff?

Sono principalmente due gli elementi da analizzare. Il primo è la scadenza dei tagli fiscali decisi dall’amministrazione Bush nel 2001: l’allora presidente per far passare le misure che riducevano le tasse dei redditi più alti, aveva fissato il limite temporale alla fine del 2012. Quindi dal primo gennaio scatterà un aumento indifferenziato di tasse per tutte le fasce della popolazione, con le aliquote che torneranno a salire per tutti. Per semplificare lo scenario, questo aumento, unito ad altri balzelli, provocherebbe un crollo del Pil di circa quattro punti, facendolo passare da un cauto +2% stimato ad un -2, o secondo qualche analista più pessimista, addirittura a -4%. Il che significherebbe affossare la lenta e difficoltosa ripresa economica a stelle e strisce.

L’altro fattore da considerare quando si parla di fiscal cliff è il “debt ceiling”, ossia il tetto di indebitamento. E qui entra in gioco il Congresso. In America, infatti, è la Camera, insieme al Senato, a decidere quanto il governo federale può indebitarsi, fissando un tetto. La Camera dei rappresentanti, però, è a maggioranza repubblicana e non ha alcuna intenzione di avallare la proposta del presidente Obama sull’aumento delle tasse per i redditi più alti. Se l’autorizzazione all’aumento del tetto di indebitamento non viene data, il governo dovrebbe mantenersi con il denaro delle sole imposte già incassate, con il risultato di rischiare il fallimento. Già nel 2011 il Congresso aveva dato il via libera per l’aumento del debt ceiling, ma a patto di richiedere una nuova autorizzazione entro il 31 dicembre 2012. Una data non certo causale, in concomitanza con la rielezione di Obama alla Casa Bianca.

La situazione, adesso, si sposta sulla disputa politica. La Camera dovrà varare una nuova legge in tema fiscale, ma le posizioni dei repubblicani e quelle di Barack Obama sulle imposte dei redditi elevati sono oggi inconciliabili. Se non si dovesse trovare un accordo, dal 2013 scatteranno aumenti per tutti, con stime che parlano di circa 3mila e 500 dollari che ogni famiglia americana di troverebbe a spendere in più all’anno. La Camera potrebbe, allora, decidere di non votare per l’aumento dell’indebitamento, con la conseguenza di una crisi gravissima per l’economia americana e, di rimando, anche per quella del resto del mondo.

Una soluzione, ad ogni modo, bisognerà trovarla. L’incertezza, diversamente, rischia di pesare sugli umori dei mercati. Se repubblicani e democratici non dovessero arrivare ad un accordo sul “cliff”, la faccenda potrebbe essere sistemata a gennaio o febbraio con una legge retroattiva. La Camera può non cedere sulla proposta democratica di aumentare le tasse limitatamente ai redditi superiori ai 250mila dollari annui. Obama, da canto suo, può lasciare che l’aumento automatico di tutte le aliquote fiscali si realizzi, per poi farsi promotore a gennaio di una legge che ne preveda la riduzione retroattiva, tranne che per i redditi superiori a 250mila dollari.

Si tratta, comunque, di ipotesi su scenari futuri. Il presidente degli Stati Uniti e il Congresso dovranno trovare la quadra del cerchio prima della fine dell’anno per evitare che l’incertezza, come detto, sulla politica fiscale non porti altri effetti negativi pronti a gravare sulle spese delle aziende e delle famiglie. Ad un compromesso, quindi, si arriverà. Magari che non stravolgerà gli equilibri, ma sufficiente per non far sprofondare gli Usa nel baratro fiscale.


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